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2021-06-14
L'Europeo di chi non vuole inginocchiarsi
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Ansa
Il politically correct entra ancora una volta a gamba tesa sul calcio. E lo fa in una manifestazione continentale dall'enorme visibilità come il campionato europeo. In meno di una settimana dall'avvio di Euro 2020 è infiammata sui social, e non solo, la polemica relativa al gesto di inginocchiarsi, che i calciatori delle nazionali dovrebbero compiere prima del fischio di inizio delle partite, tra il rito degli inni nazionali e il kick-off. Un gesto tanto caro ai fan del Black lives matter, un gesto nobile, ma che dovrebbe essere spontaneo e che invece fa indignare se qualcuno decide di non eseguirlo.
Sono quattro le nazionali che hanno deciso di non volersi inginocchiare, comunicando in più di una circostanza il desiderio e la volontà di combattere il razzismo con fatti concreti e non attraverso un gesto plateale che ci vuole tutti conformi in un'unica direzione. La prima a non inginocchiarsi è stata la Russia, scesa in campo sabato sera alla Gazprom Arena di San Pietroburgo contro il Belgio di Romelu Lukaku. L'attaccante dell'Inter, da sempre in prima linea nella lotta al razzismo, insieme a tutti i suoi compagni di squadra, si è inginocchiato prima del fischio d'inizio del direttore di gara spagnolo Antonio Mateu Lahoz, anch'egli in ginocchio al centro del campo, così come il resto della squadra arbitrale. I giocatori russi, non avendo aderito al movimento nato negli Stati Uniti lo scorso anno dopo la morte di George Floyd, hanno deciso di rimanere in piedi. Lo stesso è avvenuto ieri, nel match che vedeva opposte Inghilterra e Croazia, con gli inglesi in ginocchio e i croati in piedi. La Federcalcio croata ha risposto così alle critiche: «I giocatori della nazionale croata hanno deciso insieme prima dell'amichevole contro il Belgio che non si sarebbero inginocchiati e sono rimasti rispettosamente in silenzio durante il simbolico gesto dei loro colleghi belgi.Rispettiamo la posizione dei giocatori su questo e non imporremo l'obbligo per i giocatori croati di mettersi in ginocchio, poiché questo gesto non ha alcun legame simbolico con la lotta contro il razzismo e la discriminazione nel contesto della cultura e tradizione croata».
Nello stesso girone figurano Scozia e Repubblica Ceca, in campo una contro l'altra questo pomeriggio all'Hampden Park di Glasgow. Entrambe le federazioni avevano annunciato alla vigilia dell'Europeo che non avrebbero svolto il gesto di inginocchiarsi e così è stato. Dalla Scozia hanno voluto sottolineare la volontà di rimanere in prima linea nella battaglia per sconfiggere ogni forma di razzismo e discriminazione. Curioso che le due nazionali siano contro sul campo, ma unite nella lotta al razzismo, senza la necessità di compiere il gesto plateale del Black lives matter, ricordando quanto accadde lo scorso 18 marzo durante la partita di Europa League tra Glasgow Rangers e Slavia Praga, quando il centrocampista finlandese di origini sierraleonesi, Glen Kamara sarebbe stato vittima di un episodio di razzismo che costò a Ondrej Kudela una squalifica di 10 turni e assente dalla lista dei convocati del ct Jaroslav Šilhavý proprio a causa di quella maxi squalifica. Kudela che, secondo le ricostruzioni del post partita, si sarebbe vendicato aggredendo Kamara nel tunnel che conduce agli spogliatoi. Quest'ultimo aveva denunciato il calciatore ceco di avergli sussurrato a un orecchio le parole «maledetta scimmia».
Sul tema si è espresso anche il capitano della nazionale scozzese, Andy Robertson. Il terzino che gioca nel Liverpool ha detto: «È importante continuare ad affrontare il problema del razzismo e sensibilizzare sulla necessità di cambiare la mentalità delle persone, ma anche i loro comportamenti. Prima delle nostre qualificazioni ai Mondiali di marzo, abbiamo parlato in gruppo e sentivamo che prendere posizione era il modo migliore per mostrare solidarietà e anche per rafforzare la necessità di un cambiamento significativo nella società». Dall'altra parte anche la Repubblica Ceca ha deciso di non inginocchiarsi prima della sfida contro l'Inghilterra in programma a Wembley. La nazionale ha diramato un comunicato spiegando quali saranno i gesti che verranno fatti dai giocatori per sostenere la lotta al razzismo: «A Uefa Euro 2020, la nazionale ceca continuerà a sostenere la giustizia nello stesso modo in cui ha fatto durante la partita di qualificazione ai Mondiali in Galles il 30 marzo, ovvero indicando la scritta "Uefa Respect" sulla manica sinistra delle maglie nazionali. La squadra ceca non ha intenzione di inginocchiarsi prima delle partite del torneo».
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Dopo Russia, Scozia e Croazia anche la nazionale della Repubblica Ceca ha rinunciato al gesto che accompagna da oltre un anno la lotta al razzismo nel segno del Black lives matter. Dalla Federcalcio ceca spiegano: «Sosterremo la lotta al razzismo indicando la scritta "Uefa Respect" sulla manica sinistra delle maglie».Il politically correct entra ancora una volta a gamba tesa sul calcio. E lo fa in una manifestazione continentale dall'enorme visibilità come il campionato europeo. In meno di una settimana dall'avvio di Euro 2020 è infiammata sui social, e non solo, la polemica relativa al gesto di inginocchiarsi, che i calciatori delle nazionali dovrebbero compiere prima del fischio di inizio delle partite, tra il rito degli inni nazionali e il kick-off. Un gesto tanto caro ai fan del Black lives matter, un gesto nobile, ma che dovrebbe essere spontaneo e che invece fa indignare se qualcuno decide di non eseguirlo.Sono quattro le nazionali che hanno deciso di non volersi inginocchiare, comunicando in più di una circostanza il desiderio e la volontà di combattere il razzismo con fatti concreti e non attraverso un gesto plateale che ci vuole tutti conformi in un'unica direzione. La prima a non inginocchiarsi è stata la Russia, scesa in campo sabato sera alla Gazprom Arena di San Pietroburgo contro il Belgio di Romelu Lukaku. L'attaccante dell'Inter, da sempre in prima linea nella lotta al razzismo, insieme a tutti i suoi compagni di squadra, si è inginocchiato prima del fischio d'inizio del direttore di gara spagnolo Antonio Mateu Lahoz, anch'egli in ginocchio al centro del campo, così come il resto della squadra arbitrale. I giocatori russi, non avendo aderito al movimento nato negli Stati Uniti lo scorso anno dopo la morte di George Floyd, hanno deciso di rimanere in piedi. Lo stesso è avvenuto ieri, nel match che vedeva opposte Inghilterra e Croazia, con gli inglesi in ginocchio e i croati in piedi. La Federcalcio croata ha risposto così alle critiche: «I giocatori della nazionale croata hanno deciso insieme prima dell'amichevole contro il Belgio che non si sarebbero inginocchiati e sono rimasti rispettosamente in silenzio durante il simbolico gesto dei loro colleghi belgi.Rispettiamo la posizione dei giocatori su questo e non imporremo l'obbligo per i giocatori croati di mettersi in ginocchio, poiché questo gesto non ha alcun legame simbolico con la lotta contro il razzismo e la discriminazione nel contesto della cultura e tradizione croata».Nello stesso girone figurano Scozia e Repubblica Ceca, in campo una contro l'altra questo pomeriggio all'Hampden Park di Glasgow. Entrambe le federazioni avevano annunciato alla vigilia dell'Europeo che non avrebbero svolto il gesto di inginocchiarsi e così è stato. Dalla Scozia hanno voluto sottolineare la volontà di rimanere in prima linea nella battaglia per sconfiggere ogni forma di razzismo e discriminazione. Curioso che le due nazionali siano contro sul campo, ma unite nella lotta al razzismo, senza la necessità di compiere il gesto plateale del Black lives matter, ricordando quanto accadde lo scorso 18 marzo durante la partita di Europa League tra Glasgow Rangers e Slavia Praga, quando il centrocampista finlandese di origini sierraleonesi, Glen Kamara sarebbe stato vittima di un episodio di razzismo che costò a Ondrej Kudela una squalifica di 10 turni e assente dalla lista dei convocati del ct Jaroslav Šilhavý proprio a causa di quella maxi squalifica. Kudela che, secondo le ricostruzioni del post partita, si sarebbe vendicato aggredendo Kamara nel tunnel che conduce agli spogliatoi. Quest'ultimo aveva denunciato il calciatore ceco di avergli sussurrato a un orecchio le parole «maledetta scimmia».Sul tema si è espresso anche il capitano della nazionale scozzese, Andy Robertson. Il terzino che gioca nel Liverpool ha detto: «È importante continuare ad affrontare il problema del razzismo e sensibilizzare sulla necessità di cambiare la mentalità delle persone, ma anche i loro comportamenti. Prima delle nostre qualificazioni ai Mondiali di marzo, abbiamo parlato in gruppo e sentivamo che prendere posizione era il modo migliore per mostrare solidarietà e anche per rafforzare la necessità di un cambiamento significativo nella società». Dall'altra parte anche la Repubblica Ceca ha deciso di non inginocchiarsi prima della sfida contro l'Inghilterra in programma a Wembley. La nazionale ha diramato un comunicato spiegando quali saranno i gesti che verranno fatti dai giocatori per sostenere la lotta al razzismo: «A Uefa Euro 2020, la nazionale ceca continuerà a sostenere la giustizia nello stesso modo in cui ha fatto durante la partita di qualificazione ai Mondiali in Galles il 30 marzo, ovvero indicando la scritta "Uefa Respect" sulla manica sinistra delle maglie nazionali. La squadra ceca non ha intenzione di inginocchiarsi prima delle partite del torneo».
(Totaleu)
Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
Getty Images
Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
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