
La storia di Richard Mason, che ha ripudiato i figli perché non erano biologicamente suoi, fotografa la crisi dell'uomo di oggi Il maschio non deve cedere al sentimentalismo e all'isteria femminile. Chi è rimasto fragile e immaturo fa del male agli altri.Un caso di cronaca, e i commenti suscitati, ha dimostrato la confusione esistente su un fatto elementare e importantissimo della vita umana, come la paternità. Un milionario inglese di 55 anni, fondatore di un moneymarket online di successo, ritirando delle analisi apprende di avere la fibrosi cistica, malattia genetica che dà sterilità fin dalla nascita. Lui però ha tre figli. Il mondo gli crolla addosso. Chiede chiarimenti alla moglie (da cui aveva ottenuto il divorzio dieci anni fa, versandole 4 milioni di sterline) e lei ammette di aver avuto a fine anni Ottanta anni una lunga relazione con il padre dei figli. A questo punto l'uomo, che dopo il divorzio aveva tenuto con sé i figli, li butta fuori di casa. E comincia una disperata battaglia per sapere chi è il vero padre, cui vorrebbe chiedere di occuparsi dei ragazzi. Ai quali però del padre naturale non importa niente. Il più grande si fa i fatti suoi, mentre i due gemelli diciannovenni vogliono stare con lui, che considerano comunque il loro padre. Lui fa causa alla moglie per averlo frodato sulla paternità dei figli e chiede la restituzione dei 4 milioni, ma soprattutto vuole il nome dell'altro. Che non esce: la moglie gli versa 250.000 sterline pur di tacere. L'uomo racconta allora tutto ai giornali sperando di far uscire dall'ombra il vero padre e suscita cosi l'indignazione del figlio maggiore, che non ne vuole più sapere di lui. La causa è la prima del genere, e scoperchia una bomba sociale finora nascosta: la fragilità dell'attuale famiglia di fronte a costumi completamente cambiati. Queste modifiche, come è evidente da questo caso, fanno dei figli le prime vittime della situazione: i tre ragazzi (per fortuna abbastanza grandi) si ritrovano senza padre. Quello che hanno sempre considerato tale non ne vuole più sapere e l'altro è un fantasma che tale vuole rimanere, con la collaborazione della madre e sua ex amante. Non si creda che le persone in questa situazione siano poche: sono moltissime, molte di più di alcune complicate categorie portate in primo piano dalla propaganda politica Lgbt, per garantire le quali i Parlamenti hanno discusso mesi e che occupano quotidianamente le pagine dei giornali. In Europa, a seconda dei Paesi, i figli il cui padre è diverso da quello ufficiale oscillano attorno a uno su sette. Un popolo di finti orfani di padre cui gli Stati chiedono sostanzialmente di cavarsela da soli, come sta accadendo a questi ragazzi. La situazione è poi resa più difficile dall'immaturità emotiva (e in fondo civile) dimostrata anche in questo caso dai genitori. Il trauma di quest'uomo nell'apprendere contemporaneamente di avere una seria malattia, e di non essere il padre di quelli che aveva sempre considerato i suoi figli, è comprensibile. Ma allontanarli da casa non è per nulla un gesto paterno, né maschile: è un acting out piuttosto isterico, come lanciare la campagna di stampa che ha giustamente offeso il figlio ventunenne, molto più adulto di lui. Esce da tutta questa storia la fragilità di uomini magari di notevole successo nell'affermazione personale e finanziaria, ma fragilissimi sul piano (in realtà decisivo) degli affetti e delle responsabilità personali. Qui questi uomini «vincenti» diventano non solo perdenti, ma anche estremamente distruttivi verso le altre persone coinvolte (come in questo caso i figli). Anche tutto il delicato campo delle violenze verso le donne non è lontano da questo scenario. In esse, questo tipo di maschio «soft», condiscendente e spesso anche preda della donna, diventa un bambino furibondo incapace di reggere l'abbandono o l'imbroglio della partner, vissuta come una madre cattiva. Che spesso è: ma a lui, uomo adulto, ciò non dovrebbe importare più di tanto. Altri impegni e sfide lo aspettano, a cominciare da quella, decisiva, della paternità. Quest'uomo era stato padre a tutti gli effetti: aveva cresciuto con affetto e attenzione tre figli, e se li era tenuti quando la relazione con la moglie era naufragata. Ma non ha poi retto la situazione. Come tanti altri fratelli maschi, non riesce a prendere distanza dalla situazione, si fa del male, e fa male a tutti gli altri coinvolti nella vicenda. Che oltretutto sempre più spesso trasforma, come in questo caso, in uno psicodramma collettivo. Tirando fuori un lato teatrale, esibizionista e attoriale, in cui furono bravissime per secoli le donne, mentre ora vedono sempre più impegnati dei maschi. Naturalmente questa regressione maschile è favorita e alimentata dall'importanza che la dimensione pubblica ha guadagnato (anche con lo sviluppo del Web, dove appunto questo padre sembra abilissimo), a scapito dell'ambito dell'intimità e dell'approfondimento affettivo. È qui che nasce l'autentica forza umana e la corrispondente capacità di reggere frustrazioni e delusioni. Questa teatralizzazione però, comporta un indebolimento dell'identità maschile, che invece è da sempre legata al segreto, al silenzio, alla discrezione, alla presa di distanza. Dispiace, ma in questa storia è molto più maschile l'uomo del mistero (che magari è una carogna, ma forse anche uno che non sa nulla di tutto il pandemonio suscitato), che questo padre così mediaticamente impegnato e tuttavia insicuro.Il fatto è che il padre oggi non conosce nulla della sua lunga storia. Le radici della paternità affondano, più che in aspetti sentimentali e affettivi, nel suo rapporto istintivo con la vita. Fino a non molto tempo fa, poche centinaia di anni prima di Cristo, non si sapeva che i bambini erano generati con l'atto sessuale. La spiegazione più diffusa era quella che l'antropologo Bronislaw Malinowsky trovò ancora alle isole Trobriand solo un secolo fa: che i bambini li mandavano gli dei, e non c'entravano nulla con il rapporto. In quella cultura, relativamente avanzata, si pensava che li mandassero al padre attraverso la donna, ma in quelle più antiche, dove non c'era ancora la famiglia, erano direttamente delle donne. Gli uomini dunque si prendevano le donne con i bambini che loro nascevano. I bambini non erano i «loro» bambini: i maschi se ne occupavano, li allevavano e addestravano come servizio al gruppo, alla società. Molto tempo dopo, nell'avanzatissima società romana, era il padre di famiglia che, sollevando il bambino a sé e mettendoselo sulle ginocchia, lo riconosceva come figlio. Poteva essere un bambino della moglie, ma anche il figlio di un suo soldato morto, di un parente che non era in grado di allevarlo, di un servo fedele, o altro. Insomma il figlio, a livello profondo, è chi tu, padre, riconosci come figlio. Può aver a che fare con il sangue, con contratti matrimoniali, ma anche no. La paternità è prima di tutto un servizio, qualcosa che tu doni al bambino, alla donna che l'ha generato, e soprattutto alla società e alla vita che così continua. Ciò è iscritto nel profondo dell'inconscio collettivo maschile ed è ciò che dà (quando viene riconosciuto) forza e stabilità nell'atteggiamento dell'uomo verso la paternità. Altrimenti, tutto è condensato nella saggezza (anche qui) del diritto romano che sapeva perfettamente che sul piano biologico: «Mater semper certa. Pater incertus», la madre è sempre certa, il padre incerto. Da questa insicurezza si esce, certo, con la prova del sangue e del riconoscimento di paternità, ma quando è già avvenuto il riconoscimento di paternità sostanziale, quando il padre non solo ha già per anni accudito e cresciuto i bambini, ma se li è tenuti quando la madre li ha lasciati lì, non c'è dubbio che il padre sia lui. Che è poi, in questo caso, ciò che riconoscono i figli più giovani, e forse avrebbe fatto anche il grande se il padre non avesse montato tutto questo teatro. Padre è - senza dubbio - chi lo fa, perché la paternità è un servizio e non un possesso. Il mestiere del padre, poi, è un dono, non il godimento di un bene. Quindi meno sentimentalismo, meno scene, e più sicurezza. È padre chi è capace di darsi.
Ansa
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