2021-07-20
Errori di Letta, re Mida al contrario che riesce a far sorridere solo Renzi
In quattro mesi il segretario dem ha sbagliato tutto. Si è buttato nelle braccia di Giuseppe Conte, ha attaccato Matteo Salvini sulla governabilità, vuole cambiare la riforma della giustizia, non toccare ddl Zan e reddito di cittadinanza. Povero Enrico Letta! Doveva essere l'asso in grado di rilanciare un Pd in difficoltà, e invece a Largo del Nazareno si aggira ormai una specie di re Mida al contrario, il cui tocco - lungi dal trasformare tutto in oro - rende ogni cosa politicamente radioattiva: sondaggi in picchiata, ascolti tv non brillanti, vendite-flop del suo libro. E tutto questo dopo un tempo brevissimo. Letta, infatti, è divenuto segretario il 14 marzo, poco più di quattro mesi fa: dovrebbe cioè essere in piena luna di miele, e invece la sensazione è che abbia già stancato tutti. La stessa mossa di candidarsi a Siena trasmette una doppia sensazione di debolezza: un segretario che cerca disperatamente una postazione istituzionale, e - peggio ancora - il paradosso di elettori e militanti costretti a risolvere i problemi del segretario, anziché avere un leader capace di risolvere lui i problemi del partito. La realtà è che non si tratta di un problema di comunicazione, ma di sostanza politica. Letta ha sbagliato linea su tutto. Dapprima ha provato ad accreditare la Lega come forza destabilizzante del governo, quando invece sono state proprio le sue proposte (voto ai sedicenni, aumento della tassa di successione, ius soli, legge Zan) a creare un clima divisivo. Poi non è riuscito a nascondere l'ostilità che lo anima sia nei confronti di Matteo Salvini sia - ancor più, e per ferite antiche - verso Matteo Renzi. E infine si è buttato nelle braccia di Giuseppe Conte, puntando tutto sull'intesa con l'ex premier. In questo, Letta ha perfino superato in corsia di sorpasso le interviste liriche di Goffredo Bettini e la surreale sortita di Nicola Zingaretti («Conte è un punto di riferimento fortissimo di tutte le forze progressiste»). Motivazione della scelta lettiana? La convinzione o l'illusione che Conte possa schierare indefettibilmente i grillini a fianco del Pd, normalizzandoli e facendone l'equivalente dei cespugli che a suo tempo stavano accanto alla quercia del Pds. Peccato per lui che l'abbraccio si riveli ogni giorno più spericolato, perché schiaccia il Pd su posizioni perdenti, come testimoniano almeno tre esempi. Il primo ha a che fare con la riforma della giustizia. Nel weekend, a sorpresa, proprio per fare sponda a Conte, Letta ha evocato ipotetici «miglioramenti» dei testi del ministro Marta Cartabia, con ciò dando la sensazione di riaprire il circo di un nuovo spossante negoziato. Esattamente ciò che la Guardasigilli e soprattutto Mario Draghi non sembrano aver intenzione di fare (se non, eventualmente, per aspetti marginali): anzi, come La Verità ha scritto due volte la scorsa settimana, appare probabile che il governo porrà la fiducia, proprio per neutralizzare ogni tentativo di modifica sostanziale. Morale: a meno di colpi di scena, Letta si è infilato in un vicolo cieco. Secondo esempio, il reddito di cittadinanza. Anche qui, per compiacere i grillini, il segretario Pd è parso desideroso di salvare in qualche modo la misura. Ma lo ha fatto proprio nei giorni in cui sono esplosi uno dopo l'altro casi di abusi, che, al di là dello stesso carattere assistenziale della misura, la rendono sempre meno difendibile. Un altro autogol. Terzo esempio, il ddl Zan. Qui è proprio Letta, che sembra consapevolmente in cerca di un incidente parlamentare, a trascinare i grillini sulla linea massimalista dell'immodificabilità della legge («Non parlo con Salvini perché è omofobo in Europa», ha sibilato ieri Letta). Rischiando una clamorosa sconfitta in Aula. E siccome le disgrazie (per Letta) non vengono mai da sole, rispetto a ognuna di queste mosse masochistiche alla Tafazzi (il tipo che in tv si percuoteva le parti intime), proprio il suo arcinemico Matteo Renzi ha assunto un posizionamento uguale e contrario (e, va riconosciuto, decisamente più sensato): la riforma Cartabia va votata senza altre modifiche, il reddito di cittadinanza va rottamato, la legge Zan va modificata se la si vuole approvare. Ciò che toglie il sonno a Letta non è solo il fatto che il volpone Renzi rischi di averla vinta su ognuno dei tre dossier citati. Ma soprattutto il fatto che l'attuale capo di Italia viva, con questo filotto di potenziali successi, sembri pronto a lanciare una sorta di Opa sul Pd (o su quel che ne resterà), facendo leva sui diversi amici che gli sono rimasti nel partito (dall'ex capogruppo al Senato Andrea Marcucci alla componente Base Riformista). I conti si faranno dopo le amministrative di ottobre. E dopo le suppletive di Siena.