2018-10-13
Ermini esordisce al Csm e conferma il pm di Etruria
Il Consiglio, di cui il renziano David Ermini è appena diventato vicepresidente, proroga l'incarico come procuratore capo ad Arezzo per Roberto Rossi, magistrato del caso Boschi. Pier Luigi Boschi, papà di Maria Elena, resta indagato per bancarotta nel filone sul crac di Etruria. Mentre si sono chiuse le polemiche che hanno contrassegnato l'elezione al vertice del Csm di un profilo spiccatamente politico come quello di Ermini.Tutto è perdonato. Il procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi, potrà restare al suo posto per altri quattro anni. Nonostante il clamore mediatico che lo ha investito a partire dal 2015, quando si scoprì che il pm dell'inchiesta Etruria aveva pure una consulenza a Palazzo Chigi. Ne era venuta fuori una polemica politica asprissima che aveva investito in pieno il giglio magico del Pd a trazione renziana. Di cui il neoeletto vicepresidente del Consiglio della Magistratura, David Ermini è stato fino a poco tempo fa esponente di stretta osservanza, salvo poi chiedere di essere sospeso dal partito pochi giorni fa, dopo la sua elezione sullo scranno più alto di Palazzo dei Marescialli. La pratica con cui il Csm mercoledì prorogherà il procuratore Rossi farà certo discutere. Perché Pier Luigi Boschi, papà di Maria Elena Boschi, resta indagato per bancarotta nel filone sul crac di Etruria (la Procura di Arezzo ha chiesto, per lui e per il resto del vecchio consiglio d'amministrazione della banca, l'archiviazione dell'accusa di falso in prospetto e ricorso abusivo al credito). Mentre si sono chiuse - con molta fatica - le polemiche che hanno contrassegnato l'elezione al vertice del Csm di un profilo spiccatamente politico come quello di Ermini. Ma cosa dice la pratica che verrà portata all'approvazione del plenum nei prossimi giorni? Che il Consiglio giudiziario di Firenze - nella seduta del 12 luglio scorso - ha espresso all'unanimità un giudizio «pienamente favorevole alla conferma nell'incarico» di Rossi. Che ha chiesto di poter proseguire fino al 2022 alla guida dell'ufficio aretino. Sulla proroga non sono giunte critiche o doglianze neppure dal Consiglio dell'ordine degli avvocati. E, sempre stando alla pratica in esame al Csm, «nessun elemento ostativo alla conferma emerge dalla documentazione esistente presso il Consiglio superiore (programmi organizzativi e tabellari, vicende disciplinari, procedure pendenti o definite presso la prima commissione, attività di formazione, eventuali incarichi extragiudiziari), né dagli esiti delle ispezioni ministeriali». Neppure la vicenda che ha dato la stura alle polemiche che nel recente passato hanno fatto accendere i riflettori di Palazzo dei Marescialli. Polemiche che, ad un certo momento, sembravano dover costare il trasferimento al magistrato. Che invece è restato e resterà al suo posto: a luglio del 2016 infatti il Csm ha deciso, seppure a maggioranza (11 voti a favore, un contrario e 9 astenuti), che la consulenza al Dipartimento affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio era legittima, perché all'esito di una lunga e complessa istruttoria la Prima commissione non aveva ravvisato elementi suscettibili di mettere Rossi in condizione di non esercitare le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità. Il pm si era difeso dimostrando che la consulenza era stata attivata nel 2013, quando a Palazzo Chigi c'era sì un maggiorente del Pd, di sicuri natali toscani, ma si trattava di Enrico Letta e non di Matteo Renzi (che comunque confermò l'incarico). Il Rottamatore avrebbe portato Maria Elena Boschi a Palazzo Chigi come ministro delle Riforme solo a febbraio 2014, ossia pochi mesi prima che suo padre, Pier Luigi Boschi, fosse promosso vicepresidente di Etruria. Il Csm da parte sua si era peritato di sostenere che non vi fossero elementi neppure per configurare un rapporto di conoscenza tra il pm aretino e il ministro Boschi. E che dovessero escludersi rapporti pregressi anche tra il procuratore e Pierluigi Boschi, nonostante le ispezioni della Banca d'Italia sulla Bpel da cui era scaturita l'indagine della Procura aretina, Né rispetto ad altre indagini. «Sul punto», si legge nella pratica che conferma Rossi alla Procura di Arezzo, «va anche rilevato che la competente Commissione ha osservato che dalla documentazione inviata dalla Procura generale di Firenze, risultano procedimenti penali archiviati a partire dal 2010 in cui figurano il dottor Rossi come pubblico ministero e il signor Boschi come indagato, ma tale circostanza non è rilevante ai fini dell'affermazione che vi sia un rapporto di conoscenza tra i due, ulteriore rispetto a quello concernente l'esercizio della funzione giurisdizionale, in grado di appannare l'immagine di imparzialità del magistrato». Che ora potrà dunque concludere il suo lavoro.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci