2025-01-21
L’era di Trump: nulla come prima
Donald Trump (Getty Images)
Dall’immigrazione alla giustizia, dai combustibili fossili ai dazi, fino alla restaurazione di una società con solo due generi: maschile e femminile. Donald annuncia la sua rivoluzione che investirà il mondo e che trasformerà l’Europa. Giorgia Meloni lo ha capito.Per l’Europa cambia tutto dall’energia ai conti pubblici. Per non farsi prendere in contropiede, la via sono gli accordi bilaterali, con priorità al settore militare. E Bruxelles dovrà rivedere rapporti con la Cina e Patto di stabilità.Lo speciale contiene due articoli.L’America è tornata. E, stavolta, per davvero. È questo il senso più profondo del discorso inaugurale pronunciato ieri da Donald Trump in Campidoglio: un vero e proprio intervento programmatico, in cui il neo presidente ha chiarito i principi (e la complessità) del concetto di «America First». «L’età dell’oro dell’America inizia proprio ora. Da questo giorno in poi, il nostro Paese prospererà e sarà di nuovo rispettato in tutto il mondo. Saremo l’invidia di ogni nazione», ha dichiarato. «Metterò, molto semplicemente, l’America al primo posto», ha aggiunto.Trump ha quindi sottolineato la necessità di difendere la sovranità nazionale. «La nostra sovranità verrà rivendicata, la nostra sicurezza verrà ripristinata. La bilancia della giustizia verrà riequilibrata». Una stoccata, quest’ultima, al Partito democratico, che Trump ha ripetutamente accusato di aver politicizzato il Dipartimento di Giustizia. «La feroce, violenta e ingiusta militarizzazione del Dipartimento di Giustizia e del nostro governo finirà e la nostra massima priorità sarà quella di creare una nazione che sia orgogliosa, prospera e libera», ha detto, per poi proseguire: «L’America sarà presto più grande, più forte e molto più eccezionale di quanto non sia mai stata prima».Gli strali all’amministrazione Biden non si sono comunque fermati qui. «Ora abbiamo un governo che non riesce a gestire nemmeno una semplice crisi in patria, mentre allo stesso tempo inciampa in un continuo elenco di eventi catastrofici all’estero», ha dichiarato Trump. Un Trump che ha anche ribadito la propria convinzione di essersi salvato, a Butler, grazie a un intervento divino. «Solo pochi mesi fa, in un bellissimo campo della Pennsylvania, un proiettile di un assassino mi ha squarciato l’orecchio, ma allora ho sentito e credo ancora di più ora che la mia vita è stata salvata per un motivo. Sono stato salvato da Dio per rendere di nuovo grande l’America», ha affermato.Durante il discorso, il neo presidente ha anche annunciato alcune delle prime misure che intende adottare. E ne ha specificato gli obiettivi: stretta all’immigrazione clandestina, contrasto all’inflazione attraverso una più efficace politica energetica, tariffe sul piano commerciale, lotta alla censura e sradicamento delle politiche ultra progressiste che si annidano nelle istituzioni. Il tutto è stato sintetizzato in un concetto: quello di una «rivoluzione del buon senso».È dunque in questo quadro che Trump si è rivolto ai pilastri della sua variegata coalizione elettorale, cercando di portare avanti la sua idea di un nazionalismo interclassista. In primo luogo, ha guardato alla working class degli Stati operai di Michigan, Pennsylvania, Wisconsin e Ohio. «Oggi, porremo fine al Green New Deal e revocheremo l’obbligo dei veicoli elettrici, salvando la nostra industria automobilistica e mantenendo la mia sacra promessa ai nostri grandi lavoratori americani dell’auto», ha dichiarato, non esitando inoltre a rinverdire i suoi amati fasti jacksoniani, criticando l’«establishment corrotto».In secondo luogo, Trump si è implicitamente rivolto ai nuovi mondi che si sono innestati sul suo movimento, a partire dal settore ipertecnologico. In tal senso, ha encomiato «gli esploratori, i costruttori, gli innovatori, gli imprenditori e i pionieri». «Lo spirito della frontiera è scritto nei nostri cuori». In terzo luogo, il neo presidente si è rivolto alle minoranze etniche: galassie rispetto a cui, lo scorso novembre, ha guadagnato enormemente terreno dal punto di vista elettorale. «Oggi è il Martin Luther King Day: in suo onore ci impegneremo insieme per rendere il suo sogno una realtà. Faremo sì che il suo sogno diventi realtà», ha affermato il neo presidente, che, nel vero spirito del reverendo King, ha preso le distanze dalla «identity politics». «Porremo fine alla politica governativa che cerca di manipolare socialmente razza e genere in ogni aspetto della vita pubblica e privata», ha non a caso precisato.E attenzione poi alla politica estera. Trump ha citato esplicitamente due suoi predecessori di inizio Novecento: William McKinley e Teddy Roosevelt. Entrambi furono noti per una linea piuttosto energica nell’Emisfero Occidentale. E infatti, ieri, il tycoon è tornato sulla questione del Canale di Panama. «La Cina sta gestendo il Canale di Panama. E non lo abbiamo dato noi alla Cina. Lo abbiamo dato a Panama e ce lo riprenderemo», ha detto. Parole con cui il neo presidente ha intenzione di ripristinare quella capacità di deterrenza che gli Stati Uniti hanno fondamentalmente perduto nei quattro anni dell’amministrazione Biden. Trump non punta soltanto a una riedizione aggiornata della Dottrina Monroe. Punta anche a farsi percepire come pericoloso, in un chiaro messaggio non solo ai cinesi ma anche ai russi e agli iraniani. Dall’altra parte, il tycoon ha però anche sottolineato di essere un «pacificatore» e un «unificatore», in un chiaro riferimento ai dossier di Ucraina e Medio Oriente.Quattro anni fa, Joe Biden si insediava trionfalmente, circondato da esponenti dello star system e da una narrazione mediatica osannante, che ignorava o fingeva di ignorare la debolezza politica su cui la sua amministrazione si sarebbe andata a poggiare. Trump, di contro, sembrava finito, sconfitto e destinato a marcire nella polvere della Storia. Eppure, non si è arreso. Deriso, incriminato, vittima di un attentato... Il tycoon si è rialzato. E, piaccia o meno, ha compiuto una straordinaria riscossa politica. Butler è la chiave di tutto. A Butler c’è l’essenza del trumpismo. Gli americani cercavano disperatamente un leader. E a Butler, quel fatidico 13 luglio, lo hanno trovato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/era-trump-nulla-come-prima-2670896896.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="per-leuropa-cambia-tutto-dallenergia-ai-conti-pubblici-e-la-meloni-lo-ha-capito" data-post-id="2670896896" data-published-at="1737418674" data-use-pagination="False"> Per l’Europa cambia tutto dall’energia ai conti pubblici. E la Meloni lo ha capito Donald Trump parte in quarta. Un discorso caricato a pallettoni in cui annuncia la «nuova età dell’oro americana», riscrive l’agenda economica e sociale del Paese tanto da ribattezzare il nome del giorno dell’insediamento con quello della liberazione. Un discorso scandito punto per punto e già con la penna in mano per firmare una lunga lista di ordini esecutivi. Obiettivo? Rivedere gli equilibri del commercio internazionale per abbattere l’inflazione e tagliare il costo della vita. Mettere in sicurezza i confini fisici, virtuali della nazione (compresi quelli commerciali attraverso la ripresa di Panama), avviare piani di pace in Medioriente e in Ucraina, rimettere gli Usa sul podio dei Paesi che dominano il settore energetico. Dulcis in fundo, rivoltare come un guanto le logiche che hanno spinto le auto elettriche con la promessa di abbattere il Green new deal. È molto presto per dire se sarà una nuova età dell’oro. Molto probabile lo sia per gli Usa, più difficile per il resto del globo. Ma di sicuro la sterzata di Trump ci porta in un nuovo secolo diverso totalmente dagli ultimi 25 anni. Non stiamo qui ad elencare i cambiamenti culturali e la fine della cultura woke, quello che interessa è l’effetto a cascata che colpirà il Vecchio Continente che da troppo tempo langue. Non è un caso, ma forse un segno del destino che mentre a Washington giura il presidente numero 47, la numero uno della Commissione, Ursula von der Leyen sia desaparecida. Scomparsa dalla scena pubblica dopo essere stata ricoverata il 2 gennaio per polmonite. Le comunicazioni ufficiali sono state in ritardo e lacunose e sono un segno del vuoto di potere e della mancanza di strategia industriale e politica. Trump potrà cambiare o imporrà di cambiare all’Unione europea, molto più di quanto sia stato possibile agli elettori. Il cui voto è stato accartocciato e messo in un cestino. Tre capitoli fondanti delle decisioni di Bruxelles si troveranno a scontrarsi contro il muro trumpiano. Le rinnovabili saranno rimesse al loro posto, quello di energia complementare. Le nuove tecnologie torneranno a basarsi su gas e nucleare. Vale per l’automotive, per l’acciaio o in generale per l’industria pesante. Niente sarà più come prima soprattutto per noi europei. Anche se Trump può sembrare un buffo rappresentante delle istituzioni dovremmo metterci in testa che stavolta la macchina che gli sta dietro è poderosa. Non è più The Donald del primo mandato privo di ganci veri al Pentagono e dentro la macchina del Partito. Lo si è capito subito da due cose. Prima, il passaggio ordinato di consegne con Joe Biden sui temi di politica estera. Secondo, la velocità nel mettere in piedi la squadra di governo e nel tirare a sé le grandi aziende big tech. Non solo Elon Musk e Peter Thiel di Palantir, ma anche il resto della Silicon Valley che stavolta ha fiutato la fine del secolo lungo targato Obama. Quando il neo presidente punta il dito su Panama non fa folclore. Tanto meno quando dice di voler annettere la Groenlandia o il Canada. Egli intende applicare la dottrina Monroe in chiave moderna. Cioè creare un cuscinetto di interessi economici attorno agli Usa e gestirlo come camera di compensazione della propria economia. Significa che la Casa Bianca tornerà a concentrarsi anche sul Sudamerica abbandonato dai suoi predecessori e trascurato pure durante la sua prima presidenza. Scordiamoci di sbandierare l’accordo con il Mercosur come fosse una leva per le nostre industrie. Adesso sarà molto più difficile esportare là, anche se in Brasile c’è un comunistone come Lula. Non solo. Avere potere sulla Groenlandia significa controllare maggiori riserve di materie prime e vincere la sfida dell’Artico. Sia contro la Russia, ma soprattutto contro la Cina. Chi resta in mezzo? Come detto centinaia di volte, noi europei. Come uscirne? Con gli accordi bilaterali. A partire dalla componente militare. Perché il primo metro di paragone che userà Trump sarà l’approccio dei singoli Paesi Ue alla Nato. E qui ci conforta che ieri, vicino al presidente argentino Milei, ci fosse Giorgia Meloni. La stessa che sembra aver capito che Starlink di Musk non è solo una porta alla tecnologia avanzata delle comunicazioni ma anche un posto al sole nella Nato del futuro. Certo non piace alle cancellerie europee che temono gli accordi bilaterali per imbrigliare gli Stati. Non piace a chi ha interessi nella Difesa comune che per favorire Francia e Germania è disposto a tenere il Vecchio Continente vincolato da tecnologie obsolete. La nuova era Trump porterà anche instabilità in varie zone del globo. Il tycoon non si interesserà granché del Sahel che rischia di diventare un Far west più violento di quanto lo sia oggi. Sono i nostri vicini di casa, però. E toccherà a noi occuparcene. La nuova era di Trump porterà a bivi decisivi. Rivedere non solo il Green deal dell’Ue ma anche i rapporti con tra Europa e Cina (partirà una serie di rappresaglie contro chi ha fatto intelligence con i cinesi su temi tecnologici e infrastrutturali), Probabilmente saranno da mettere in discussione trattati basilari come quello di Lisbona e il nuovo Patto di stabilità. Tanta roba.
Ecco #DimmiLaVerità dell'8 settembre 2025. Il generale Giuseppe Santomartino ci parla dell'attentato avvenuto a Gerusalemme: «Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? Il ruolo di Hamas e la questione Cisgiordania».
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