2019-04-09
Entra nella partita «l’alleato» Qatar. Il governo italiano ha le mani legate
Mentre la Russia prova a diventare arbitro decisivo dello scacchiere nordafricano, Roma sta a guardare. Colpa anche dell'interventismo dell'emirato: Matteo Renzi e Paolo Gentiloni ci hanno legato a Doha in modo irreparabile.Aerei del generale attaccano l'unico scalo funzionante di Tripoli Sembra probabile, ora, il rinvio della conferenza di Ghadames.Lo speciale contiene due articoliLady Pesc è intervenuta sulla Libia. Ha parlato un minuto e 53 secondi con il vuoto negli occhi. Senza essere in grado di esprimere un piano concreto sull'area, tanto meno una way out al caos esploso attorno alla capitale. L'inutile diplomazia europea è però in queste ore in buona compagnia. A cominciare da quella del governo italiano, che si è limitato a mandare il nostro ambasciatore Giuseppe Buccino a incontrare il premier Fayez Al Serraj alla sede del Consiglio presidenziale nella capitale libica, per un colloquio che «ha riguardato gli ultimi sviluppi della situazione politica e di sicurezza in Libia». La notizia è stata diffusa dal portavoce del consiglio della Tripolitania e non dal nostro ministero degli esteri: un modo per smorzare la posizione, e cercare di camuffarla tra un bombardamento e l'altro. In realtà sembra una mossa per prendere tempo, sperando che le fazioni trovino un accordo in loco senza coinvolgere troppo il nostro Paese. Peccato che le possibilità che Haftar si fermi sono remote. A meno che Serraj non consegni al generale della Cirenaica la cassa del compagnia petrolifera e pure quella del fondo d'investimento sovrano. Altrimenti andrà avanti, anche se dal punto di vista militare non è stabile quanto vuole fare immaginare. In ogni caso ieri ha racimolato il primo sostegno ufficiale della Russia.Il rappresentante di Mosca all'Onu ha messo il veto a una nota Onu che chiedeva alle milizie fedeli ad Haftar di fermare immediatamente l'avanzata verso Tripoli. Tutti sanno che gli «statement» dell'Onu sono inutili quanto gli ultimatum dei Caschi blu. La mossa, però, chiarisce un po' di più gli interessi di Vladimir Putin e anticipa la possibilità che oltre ai paramilitari di Wagner possa inviare dalle basi siriane consulenti militari e sostegno logistico. D'altronde, secondo le accuse mosse dal governo di Tripoli, sarebbero già presenti sul campo consulenti militari francesi, mentre a parare il fianco Ovest ad Haftar restano i militari egiziani di Abd Al Fattah Al Sisi. Lo scorso sabato è volato al Cairo il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov: qui ha incontrato il collega egiziano e ha lasciato il compito di una dichiarazione diplomatica al suo vice, Mikhail Bogdanov. Il quale si è limitato a dire che Mosca supporta una soluzione politica, mentre era al telefono con il generale di Bengasi. Il sostegno ad Haftar si rende fondamentale per la Russia nel momento in cui in Qatar si riuniscono i Fratelli musulmani e i rappresentanti del cosiddetto Daesh (cioè l'Isis) che trovano denaro e logistica per spezzare l'avanzata verso Tripoli e al tempo stesso fiaccare il governo di Serraj per indebolire l'intera coalizione. Nonostante i progetti di Haftar fossero noti a tutti gli osservatori internazionali, in Europa si è mossa solo la Francia, che per settimane ha aiutato militarmente l'esercito di Bengasi alla conquista del Fezzan. L'Italia è rimasta a osservare, e ora si trova schiacciata tra diverse coalizioni con l'unica possibilità di scegliere il male minore. Mezzo mondo sta con Haftar e solo la Mogherini e l'Onu sostengono Tripoli. Roma non può certo schierarsi con la Russia, anche se gli Usa si sono defilati e il Qatar controlla le nostre mosse promettendo altri soldi e investimenti in Italia. Un'eredità che ci portiamo avanti dai governi Renzi e Gentiloni, ma che l'attuale esecutivo non è riuscito o non ha voluto spezzare. Basti pensare che, a quanto risulta alla Verità, per la trattativa sulla liberazione in Kenya di Silvia Romano ci saremmo affidati al sostegno di Doha, escludendo a priori quello della Turchia. Governo e aziende stanno facendo affari d'oro con il Qatar (anche in vista dei Mondiali), ma il prezzo da pagare in futuro potrebbe essere alto. E non commensurabile. A cominciare dalla perdita di terreno dell'Eni in Libia e l'avanzata delle aziende russe e francesi. I nodi arrivano sempre al pettine soprattutto quando la cavalleria Usa ci lascia soli con le nostre responsabilità.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/entra-nella-partita-lalleato-qatar-il-governo-italiano-ha-le-mani-legate-2634054252.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="haftar-bombarda-laeroporto-ma-serraj-non-molla" data-post-id="2634054252" data-published-at="1758194116" data-use-pagination="False"> Haftar bombarda l’aeroporto Ma Serraj non molla In Libia si combatte per il controllo degli aeroporti. Ieri un cacciabombardiere Mig-21 (un velivolo di fabbricazione sovietica anni Cinquanta) delle forze dell'Esercito nazionale libico guidato da Khalifa Haftar ha colpito con due missili l'aeroporto di Mitiga, a Est di Tripoli, l'unico attualmente operativo nella capitale. È la risposta alla controffensiva lanciata domenica dalle forze fedeli a Fayez Al Serraj che avevano riconquistato l'aeroporto internazionale di Tripoli e costretto alla ritirata dal Sud della della città i militari di Haftar. L'attacco di ieri rappresenta per le forze della Cirenaica un tassello fondamentale nell'implementazione della «no fly zone» sulla Libia occidentale. Lo scalo di Mitiga è stato infatti evacuato e chiuso immediatamente dopo l'attacco. L'aviazione dell'Esercito nazionale libico ha cercato più volte di evitare il bombardamento ma non è stato possibile, ha spiegato ieri il capo delle operazioni Mohammad Al Manfour: «I crimini delle milizie ci hanno portati a usare l'unica arma che loro sono in grado di comprendere», ha dichiarato Al Manfour rievocando la promessa di Haftar di sconfiggere il terrorismo, dietro alla quale però si nasconde la volontà di prendere il controllo della capitale. Le forze governative, invece, hanno accusato le autorità di Bengasi di aver colpito un aeroporto civile. Tuttavia, ciò non corrisponde alla realtà: lo scalo è infatti spesso utilizzato anche come base militare ed è soprattutto il quartier generale delle milizie filogovernative e una prigione militare. Intanto, il bilancio è salito ad almeno 32 morti e 50 feriti, secondo il ministro della Sanità tripolino Ahmed Omar. Quattordici, invece, le vittime tra le forze Haftar. Più di 2.800 gli sfollati secondo il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per la Libia, Maria Ribeiro. Sempre ieri Haftar ha incassato un'importante vittoria a livello politico. Ali Al Qatrani, da sempre a lui vicino, si è dimesso da vicepresidente del consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale di Al Serraj, «controllato» a suo dire dalle milizie, per schierarsi al fianco del generale. Mentre l'Onu continua a chiedere una tregua umanitaria rimbalzata da entrambe le fazioni in campo, Abd Hadi Houweish, ministro degli Esteri del governo di Tobruk (l'esecutivo che appoggia Haftar), ha chiesto il contributo della Russia a una soluzione per l'emergenza in Libia in un'intervista all'agenzia russa Sputnik. Il tutto dopo il mezzo passo indietro degli Stati Uniti. Washington ha infatti temporaneamente ritirato un contingente a sostegno del comando in Africa, offrendo un assist alle forze della Cirenaica. Per gli Usa è il tempo della politica più che degli eserciti. Ieri il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha chiesto ad Haftar di «fermare immediatamente» l'offensiva contro Tripoli: «Non c'è una soluzione militare al conflitto in Libia», ha spiegato richiamando «tutte le parti coinvolte» alla «responsabilità di ridurre urgentemente la tensione» per «tornare ai negoziati politici mediati dall'inviato Onu, Ghassan Salamé». Il quale potrebbe annunciare già oggi, al massimo domani, il rinvio della conferenza nazionale prevista per il 14 al 16 aprile, a Ghadames. Non sembra entusiasta dell'avanzata del generale neppure la Francia, sua storica sostenitrice assieme a Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita e accusata da Al Serraj di aver contribuito all'offensiva di Haftar inviando consiglieri militari per coordinare l'attacco. Per Le Monde Haftar con il suo tentativo sulla capitale libica avrebbe «degradato» il ruolo di Parigi puntando tutto sul via libera saudita e sull'appoggio del gruppo radicale salafita dei madkhalisti. L'Italia monitora la situazione in Tripolitania, dove ha, con Eni, i maggiori interessi. «Alcune aziende italiane operative a Tripoli, anche del settore Oil & Gas, sono rientrate» dopo gli scontri, ha spiegato all'Adnkronos il presidente della Camera di commercio italo-libica, Gianfranco Damiano, precisando che invece gli imprenditori italiani a Misurata e Bengasi sono rimasti in Libia. Ieri l'ambasciatore italiano Giuseppe Maria Buccino Grimaldi è stato ricevuto da Al Serraj, che ha espresso apprezzamento per la posizione dell'Italia. Secondo quanto riferito dall'ufficio stampa tripolino, il diplomatico italiano «ha espresso il rifiuto da parte di Roma dell'aggressione che minaccia la vita dei civili». Fondamentale per l'Italia è l'asse con Misurata, dove è presente con un ospedale da campo situato nella base area della città-Stato. Ed è stata smentita la voce circolata nella mattinata di ieri sul ritiro dei circa 200 militari italiani a presidio dell'ospedale misuratino. Fonti della Verità spiegano che si trattava di una possibilità al vaglio della diplomazia italiana ma subito scartata dopo l'intervista rilasciata ieri alla Stampa da Ahmed Maiteeq, vice di Al Serraj in rappresentanza di Misurata (le cui forze si sono rivelate fondamentali per la riconquista di terreno da parte dei governativi), che chiedeva al nostro Paese di «fare di più» contro l'avanzata di Haftar.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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