2023-10-04
«Eni deve uscire male dal processo. De Pasquale non può fare figuracce»
Il pm Paolo Storari racconta in tribunale la stagione dei veleni alla Procura di Milano durante l’inchiesta flop sul petrolio in Nigeria: «Vincenzo Armanna era un calunniatore e abbindolava tutti con storie sui servizi segreti».«Guarda Fabio che sta emergendo che Vincenzo Armanna e Piero Amara sono due calunniatori». Risposta: «Crei un clima sfavorevole al processo Eni-Nigeria. Non sai tutto. Stai boicottando il processo». È solo uno dei tanti episodi raccontati dal sostituto procuratore Paolo Storari, sul banco dei testimoni del tribunale di Brescia per spiegare il suo punto di vista sulla stagione dei veleni nella Procura di Milano, tra il 2019 e il 2021, quando era diretta da Francesco Greco.Di fronte a lui, a una manciata metri, c’è proprio De Pasquale insieme con Sergio Spadaro i due pm che hanno dato la caccia all’Eni per quasi 8 anni, accusando l’azienda petrolifera di una mazzetta da più di un miliardo di euro, ma che poi alla fine non sono riusciti a dimostrare alcuna responsabilità a carico dei vertici del Cane a sei zampe nelle trattative per l’acquisizione il giacimento Opl245 in Nigeria: i 15 tra manager, politici e presunti intermediari e persino persone giuridiche (Eni e Shell) sono stati tutti assolti in via definitiva.Imputati a Brescia per rifiuto d’atti d’ufficio (avrebbero nascosto prove a favore degli imputati), difesi dall’avvocato Massimo Dinoia, De Pasquale e Spadaro hanno assistito all’udienza in prima fila. La strategia difensiva dei pm sembra essere quella di screditare l’attendibilità di Storari e perdere più tempo possibile. Dinoia ha infatti chiesto un controesame del sostituto procuratore con più di cento domande, facendo slittare al 18 gennaio del 2024 la testimonianza di Fabio Tremolada, il presidente della V Sezione del tribunale di Milano che aveva assolto a marzo 2021 tutti i vertici Eni. Una testimonianza molto importante, perché Amara aveva provato a delegittimare Tremolada persino durante il processo. Peccato che poi, durante l’esame, Dinoia abbia fatto domande a Storari completamente fuori contesto, in particolare sulla Loggia Ungheria, diverse volte stoppate dal presidente Roberto Spanò e anche dalle parti civili. Caso vuole che Spanò e Dinoia si conoscano da tempo. Si sono incrociati su alcuni processi a carico dell’ex pm di Mani pulite Antonio Di Pietro e persino in quello sulla tangente Enimont degli anni ‘90, quando si suicidò l’ex presidente Eni Gabriele Cagliari, arrestato ai tempi proprio su richiesta di De Pasquale. Storari ha raccontato il clima che si era creato nei suoi confronti, solo per aver contestato la credibilità di Armanna. Come quando appunto nel settembre del 2020, ne aveva parlato proprio con De Pasquale nel suo ufficio. Gli aveva fatto presente che le dichiarazioni di Amara e Armanna contro i vertici di Eni Claudio Descalzi, Claudio Granata e Paolo Scaroni erano false. E si era sentito rispondere che stava boicottando il processo Eni Nigeria. Storari veniva persino accusato di essere troppo «corporativo»: aveva difeso anche il giudice Fabio Tremolada che secondo De Pasquale, Spadaro e Pedio era troppo «appiattito» sulle difese di Eni. Storari lo ha ribadito ancora una volta. «Io ero una spina nel fianco, avevo pensato di mollare ma poi ho deciso di non lasciargli campo libero». Storari ha dato anche una sua versione sull’importanza che aveva assunto il processo Eni Nigeria in Procura. A spiegarglielo era stata la collega Laura Pedio, che all’epoca gli aveva confidato: «Dobbiamo fare squadra, non dobbiamo andare troppo a scavare, non possiamo permetterci di perdere questo processo. Eni non deve uscirne bene». Storari aveva anche spiegato più volte come la Procura sarebbe comunque uscita benissimo dal processo, in maniera «trasparente e indipendente», se «avesse raccontato che Armanna era un calunniatore». Ma perché la Procura teneva così tanto a questo processo? Chiede il presidente Spanò. Perché, sostiene Storari, una sconfitta avrebbe messo in seria difficoltà la struttura organizzativa della Procura di Greco, ovvero «il terzo dipartimento governato da De Pasquale, un dipartimento che gestiva pochi fascicoli tanto da essere soprannominato viaggi e vacanze....». Insomma, perdere significava mettere in discussione questa scelta organizzativa da parte di Greco e forse ridicolizzare lo storico palazzo di Giustizia meneghino. «E alla fine ne siamo usciti comunque a pezzi», chiosa Storari. Il sostituto procuratore ripercorre punto per punto la durata temporale del procedimento Eni Nigeria, da quando Armanna aveva rilasciato le prime dichiarazioni il 31 luglio del 2014 contro Descalzi, fino alle ritrattazioni nel luglio 2017 e ancora, ricordando infine la ritrattazione della ritrattazione durante il processo, il 22 luglio del 2019. Secondo Storari, ascoltare Armanna era inutile e dannoso, perché «parlava sempre di servizi segreti e non c’erano mai riscontri. Mentre per Pedio e Greco era importante». Eppure stando a quanto sostenevano Amara e Armanna, il manager di Eni Claudio Granata aveva provato a depistare le indagini su Eni Nigeria, prima durante un pranzo all’hotel Jumeirah, poi alla Rinascente di Roma, infine ancora tramite alcuni messaggi che aveva falsificato lo stesso Armanna: erano tutte falsità.Sono tutte ipotesi che Storari ha smontato tramite le sue indagini e di cui ha informato Pedio, De Pasquale e il numero uno della Procura. «Eppure Greco mi continuava a ripetere che c’erano di mezzo i servizi e che non potevamo fidarci» aggiunge. A quanto pare, sostiene Storari, questa protezione su Armanna sarebbe ancora in corso, dal momento che una denuncia del 2019 dell’avvocato di Eni Stefano Speroni su un conto ad Abu Dhabi dello stesso Armanna non ha mai avuto seguito. Mentre solo domani, dopo quasi 5 anni, ci sarà udienza preliminare per il rinvio a giudizio per calunnia a carico di Amara e Armanna. Un’indagine che Storari aveva provato a portare avanti più volte, ma su cui era stato sempre bloccato dai suoi superiori per non rovinare il processo Eni Nigeria.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
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