2019-03-17
Emissari siriani e l’ombra degli 007 stranieri. Quanti misteri su Imane
La teste chiave riferì di essere stata avvicinata da un uomo che le promise denaro. L'esito degli esami è arrivato dopo la morte, «secretata» per 15 giorni.Il midollo era distrutto: «Non basta il cobalto in sé, dev'esserci un mix di sostanze». Se Paolo Sorrentino avrà voglia di girare il terzo episodio di Loro, film diviso in due parti che racconta gli aspetti più privati della epopea politica di Silvio Berlusconi, non potrà trascurare la vita e la morte di Imane Fadil, la modella marocchina deceduta in circostanze misteriose il primo marzo scorso dopo un mese di agonia, uccisa da un mix di sostanze radioattive che hanno provocato il cedimento progressivo degli organi. Era teste chiave nel processo Ruby ter, che vede Berlusconi imputato con l'accusa di aver corrotto una serie di testimoni, tra cui alcune «olgettine», per mentire sulla vera natura delle cosiddette «cene eleganti». La Procura di Milano indaga per omicidio volontario. Imane Fadil era nota per essere la «pentita del bunga bunga»: aveva raccontato, sia ai magistrati sia in diverse interviste, la sua versione, dipingendo un quadro a tinte hard di quanto accadeva nella villa di Arcore, con tanto di riti orgiastici, presenza di Lucifero, e successivi tentativi di corruzione da parte dell'entourage dell'ex premier.IL CALVARIOImane Fadil viene ricoverata all'Humanitas di Rozzano il 29 gennaio scorso, per una gravissima disfunzione del midollo osseo che aveva smesso di produrre globuli bianchi, rossi e piastrine. Va prima in terapia intensiva e poi rianimazione. Il 28 febbraio entra in coma, muore il primo marzo. Solo 15 giorni dopo, l'altroieri, il procuratore Francesco Greco rende noto il decesso. Nei giorni immediatamente precedenti, l'aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio hanno ascoltato alcuni testimoni, tra i quali il fratello e il legale della povera Imane, i quali raccontano ai giudici che la ragazza aveva ripetuto più volte di temere di «essere stata avvelenata». Nella cartella clinica sequestrata dalla Procura si parla di forti dolori al ventre e «cedimento progressivo degli organi». Imane è morta a causa di un mix di sostanze radioattive, stando a quanto risulta dagli esiti degli esami. I sintomi, come l'assenza di globuli bianchi e il fegato compromesso, per i pm sono «compatibili con un avvelenamento». Le indagini si concentrano sui metalli individuati nel sangue della Fadil: cobalto, cromo, nichel e molibdeno. Si attendono gli esiti dell'autopsia.IL PRIMO interrogativoIl procuratore Greco, dando la notizia della morte di Imane e delle indagini per omicidio volontario per un sospetto avvelenamento, ha detto che l'ospedale Humanitas non ha mai comunicato nulla alla magistratura, né durante il mese di ricovero né quando la ragazza è morta, sebbene non fossero chiare le cause del decesso. L'Humanitas ha fornito una versione diversa: «Al decesso della paziente, il primo marzo scorso, l'autorità giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma. Il 6 marzo, Humanitas ha avuto gli esiti tossicologici degli accertamenti richiesti, e lo ha prontamente comunicato agli inquirenti».IL PROCESSOImane Fadil rivestiva un ruolo di primo piano già nel processo Ruby-bis, a carico di Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, accusati di aver reclutato lei e altre ragazze per partecipare alle «cene eleganti» di Arcore e di averle invitate a «intrattenere rapporti intimi con il presidente Berlusconi». Lei ha sempre negato di averne avuti col Cavaliere, però nel 2011 ha raccontato ai pm di Milano la sua versione di quelle serate: «Ciò che mi ha spinto a questo passo», disse agli inquirenti, «è lo schifo che provo per quei parassiti che sfruttano Berlusconi e le sue debolezze». Il processo si concluse con la condanna di Lele Mora ed Emilio Fede a 7 anni per favoreggiamento e induzione alla prostituzione. La Minetti fu condannata a 5 anni. Da questo processo scaturisce il cosiddetto Ruby ter: Berlusconi, alla sbarra insieme ad altre 23 persone, è accusato di aver pagato le ragazze che partecipavano alle serate perché ammorbidissero le loro testimonianze. La Fadil era testimone. Fu stata esclusa come parte civile dal processo lo scorso 14 gennaio: «Ho sempre detto la verità», dichiarò, infuriata, ai giornalisti, «al contrario degli altri e ho respinto tantissimi tentativi di corruzione da parte di Berlusconi e di tutto il suo entourage».I RACCONTIImane, tra 2010 e 2011, partecipò a otto cene. Durante una di queste, ha raccontato sia ai magistrati sia in diverse interviste, vide spogliarelli, atteggiamenti intimi, travestimenti. Ha ammesso di aver partecipato alle serate «perché ero disperata, lavoravo poco e ambivo a incarichi importanti. In quella casa», ha raccontato, «accadevano oscenità continue. Una sorta di setta, fatta di sole donne. In quella casa ci sono presenze inquietanti. Là dentro c'è il Male, io l'ho visto, c'è Lucifero». E ancora: «Eravamo in piedi», disse in aula riferendosi a una serata del febbraio 2010, «stavamo prendendo da bere al bar, la Faggioli stava facendo una performance nella saletta del bunga bunga. Dopo 10 minuti scomparve con la Minetti, poi si presentarono con una tunica nera, una croce e un copricapo bianco e fecero una performance che non mi sarei mai aspettata. Fecero Sister Act, poi ballarono, si dimenarono e si tolsero la tunica, restando solo con l'intimo».IL mediorientale La Fadil raccontò ai magistrati di un incontro con un siriano, Saed Ghanaymu, direttore commerciale di una grande azienda di Costa Masnaga che vende ferro: «Diceva di essere amico di Berlusconi e mi propose di andare a un incontro nella villa dell'ex premier per avere dei soldi». L'uomo fu a sua volta interrogato dai pm milanesi e che alla loro precisa domanda: «Per ragioni del suo lavoro ha rapporti con apparati pubblici di sicurezza?», rispose con uno sconcertante «non mi ricordo». Ma c'è una pista ancor più oscura: «Nel caso Fadil, Berlusconi non c'entra», ha scritto su Twitter Souad Sbai, ex deputata del Pdl, giornalista e saggista italiana originaria del Marocco, «le responsabilità vanno ricercate altrove, in una certa alta “diplomazia" con cui la ragazza aveva lavorato e che gli ha chiuso la bocca per paura denunciasse la verità». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/emissari-siriani-e-lombra-degli-007-stranieri-quanti-misteri-su-imane-2631870426.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-specialista-sembra-uninfluenza-invece-muoiono-le-cellule-del-sangue" data-post-id="2631870426" data-published-at="1757965449" data-use-pagination="False"> Lo specialista: «Sembra un’influenza invece muoiono le cellule del sangue» È stato trovato cobalto 60, radioattivo, nel corpo della giovane Imane Fadil, teste del processo Ruby, morta dopo un mese di ricovero all'Humanitas di Rozzano (Milano). Ma ad ucciderla potrebbe essere stato anche altro. «Quando parliamo di avvelenamento radioattivo», spiega Lorenzo Bianchi dell'Associazione italiana di fisica medica, «in realtà ci riferiamo a una sindrome acuta da radiazioni. I tempi in cui è avvenuta questa morte sono compatibili con questa causa». La cosa che è difficile da spiegare, secondo l'esperto, è come possa essere stato il solo cobalto 60 il motivo di questa morte. «Il cobalto 60 è usato in campo medico, in radioterapia», spiega Bianchi. «Quando viene assunto con il cibo, e in quantità nell'ordine di cucchiai, impiega tempi medio lunghi per dare danni da avvelenamento, che di solito sono tumori a carico di fegato, reni e ossa». Il cobalto 60, per essere mortale, «deve essere irradiato ad alte dosi. Per intenderci, livelli di radiazioni assolutamente più elevate di quelle impiegate su un tessuto tumorale in medicina. Inoltre», continua, «il cobalto irradiato non lascia traccia e non sarebbe rilevabile all'interno dell'organismo». Se si trova il cobalto, significa che «deve esserci altro, che deve essere stato incorporato in un mix di sostanze radioattive. In natura», continua l'esperto, «ci sono altri isotopi che possono dare la morte in tempi relativamente rapidi, per esempio il polonio 218, quello che ha causato la morte della spia russa qualche anno fa». In altre parole, il cobalto è un metallo abbastanza stabile ma, per le sue caratteristiche, viene arricchito di neutroni per essere impiegato in medicina ma anche a livello industriale. I vari composti sono detti isotopi e sono radioattivi perché emettono radiazioni più o meno penetranti e dannose. Tanto per avere un'idea, il polonio può dare la sindrome da radiazione a dosaggi 5.000 volte più bassi del cobalto, per questo è più facile scioglierlo in una bevanda o liberarlo nell'aria da una piccola capsula. «Una sindrome acuta, con cobalto, si può spiegare solo con l'esposizione a più sostanze», continua Bianchi. «Il cobalto 60 emette due raggi gamma molto energetici che attraversano il copro umano dando effetti a lungo termine. Il polonio 210, ad esempio, emette particelle alfa che hanno un percorso (range) nel corpo che è brevissimo, quindi liberano tutta la loro energia localmente con un effetto altamente distruttivo sui tessuti e compatibile con una morte acuta da radiazione». Gli effetti di tale esposizione sono simili a quelli della bomba di Hiroshima con la morte del midollo osseo, cioè del tessuto da cui hanno origine le cellule del sangue. «L'organismo è altamente debilitato. Inoltre, se non ci sono piastrine, si può morire per un'emorragia», afferma Bianchi, «se mancano le difese immunitarie, una semplice infezione può essere letale». Il punto è che la sintomatologia non è specifica, anzi: stanchezza, nausea, vomito. Praticamente sembra una sindrome influenzale. Tale condizione è confermata anche dal fatto che, al momento del ricovero all'Humanitas, la ragazza aveva già una sindrome grave al midollo osseo, ma non riconducibile a un tumore del sangue. Definire la composizione del mix radioattivo non è semplice: «Il cobalto si trova molto in fretta perché emette raggi gamma», osserva Bianchi. «Per trovare del polonio, che emette raggi alfa, si devono cercare le radiazioni all'interno dei tessuti con tecniche molto complesse».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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