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2019-03-17
Emissari siriani e l’ombra degli 007 stranieri. Quanti misteri su Imane
Ansa
Se Paolo Sorrentino avrà voglia di girare il terzo episodio di Loro, film diviso in due parti che racconta gli aspetti più privati della epopea politica di Silvio Berlusconi, non potrà trascurare la vita e la morte di Imane Fadil, la modella marocchina deceduta in circostanze misteriose il primo marzo scorso dopo un mese di agonia, uccisa da un mix di sostanze radioattive che hanno provocato il cedimento progressivo degli organi. Era teste chiave nel processo Ruby ter, che vede Berlusconi imputato con l'accusa di aver corrotto una serie di testimoni, tra cui alcune «olgettine», per mentire sulla vera natura delle cosiddette «cene eleganti». La Procura di Milano indaga per omicidio volontario. Imane Fadil era nota per essere la «pentita del bunga bunga»: aveva raccontato, sia ai magistrati sia in diverse interviste, la sua versione, dipingendo un quadro a tinte hard di quanto accadeva nella villa di Arcore, con tanto di riti orgiastici, presenza di Lucifero, e successivi tentativi di corruzione da parte dell'entourage dell'ex premier.
IL CALVARIO
Imane Fadil viene ricoverata all'Humanitas di Rozzano il 29 gennaio scorso, per una gravissima disfunzione del midollo osseo che aveva smesso di produrre globuli bianchi, rossi e piastrine. Va prima in terapia intensiva e poi rianimazione. Il 28 febbraio entra in coma, muore il primo marzo. Solo 15 giorni dopo, l'altroieri, il procuratore Francesco Greco rende noto il decesso. Nei giorni immediatamente precedenti, l'aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio hanno ascoltato alcuni testimoni, tra i quali il fratello e il legale della povera Imane, i quali raccontano ai giudici che la ragazza aveva ripetuto più volte di temere di «essere stata avvelenata». Nella cartella clinica sequestrata dalla Procura si parla di forti dolori al ventre e «cedimento progressivo degli organi». Imane è morta a causa di un mix di sostanze radioattive, stando a quanto risulta dagli esiti degli esami. I sintomi, come l'assenza di globuli bianchi e il fegato compromesso, per i pm sono «compatibili con un avvelenamento». Le indagini si concentrano sui metalli individuati nel sangue della Fadil: cobalto, cromo, nichel e molibdeno. Si attendono gli esiti dell'autopsia.
IL PRIMO interrogativo
Il procuratore Greco, dando la notizia della morte di Imane e delle indagini per omicidio volontario per un sospetto avvelenamento, ha detto che l'ospedale Humanitas non ha mai comunicato nulla alla magistratura, né durante il mese di ricovero né quando la ragazza è morta, sebbene non fossero chiare le cause del decesso. L'Humanitas ha fornito una versione diversa: «Al decesso della paziente, il primo marzo scorso, l'autorità giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma. Il 6 marzo, Humanitas ha avuto gli esiti tossicologici degli accertamenti richiesti, e lo ha prontamente comunicato agli inquirenti».
IL PROCESSO
Imane Fadil rivestiva un ruolo di primo piano già nel processo Ruby-bis, a carico di Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, accusati di aver reclutato lei e altre ragazze per partecipare alle «cene eleganti» di Arcore e di averle invitate a «intrattenere rapporti intimi con il presidente Berlusconi». Lei ha sempre negato di averne avuti col Cavaliere, però nel 2011 ha raccontato ai pm di Milano la sua versione di quelle serate: «Ciò che mi ha spinto a questo passo», disse agli inquirenti, «è lo schifo che provo per quei parassiti che sfruttano Berlusconi e le sue debolezze». Il processo si concluse con la condanna di Lele Mora ed Emilio Fede a 7 anni per favoreggiamento e induzione alla prostituzione. La Minetti fu condannata a 5 anni. Da questo processo scaturisce il cosiddetto Ruby ter: Berlusconi, alla sbarra insieme ad altre 23 persone, è accusato di aver pagato le ragazze che partecipavano alle serate perché ammorbidissero le loro testimonianze. La Fadil era testimone. Fu stata esclusa come parte civile dal processo lo scorso 14 gennaio: «Ho sempre detto la verità», dichiarò, infuriata, ai giornalisti, «al contrario degli altri e ho respinto tantissimi tentativi di corruzione da parte di Berlusconi e di tutto il suo entourage».
I RACCONTI
Imane, tra 2010 e 2011, partecipò a otto cene. Durante una di queste, ha raccontato sia ai magistrati sia in diverse interviste, vide spogliarelli, atteggiamenti intimi, travestimenti. Ha ammesso di aver partecipato alle serate «perché ero disperata, lavoravo poco e ambivo a incarichi importanti. In quella casa», ha raccontato, «accadevano oscenità continue. Una sorta di setta, fatta di sole donne. In quella casa ci sono presenze inquietanti. Là dentro c'è il Male, io l'ho visto, c'è Lucifero». E ancora: «Eravamo in piedi», disse in aula riferendosi a una serata del febbraio 2010, «stavamo prendendo da bere al bar, la Faggioli stava facendo una performance nella saletta del bunga bunga. Dopo 10 minuti scomparve con la Minetti, poi si presentarono con una tunica nera, una croce e un copricapo bianco e fecero una performance che non mi sarei mai aspettata. Fecero Sister Act, poi ballarono, si dimenarono e si tolsero la tunica, restando solo con l'intimo».
IL mediorientale
La Fadil raccontò ai magistrati di un incontro con un siriano, Saed Ghanaymu, direttore commerciale di una grande azienda di Costa Masnaga che vende ferro: «Diceva di essere amico di Berlusconi e mi propose di andare a un incontro nella villa dell'ex premier per avere dei soldi». L'uomo fu a sua volta interrogato dai pm milanesi e che alla loro precisa domanda: «Per ragioni del suo lavoro ha rapporti con apparati pubblici di sicurezza?», rispose con uno sconcertante «non mi ricordo». Ma c'è una pista ancor più oscura: «Nel caso Fadil, Berlusconi non c'entra», ha scritto su Twitter Souad Sbai, ex deputata del Pdl, giornalista e saggista italiana originaria del Marocco, «le responsabilità vanno ricercate altrove, in una certa alta “diplomazia" con cui la ragazza aveva lavorato e che gli ha chiuso la bocca per paura denunciasse la verità».
Lo specialista: «Sembra un’influenza invece muoiono le cellule del sangue»
È stato trovato cobalto 60, radioattivo, nel corpo della giovane Imane Fadil, teste del processo Ruby, morta dopo un mese di ricovero all'Humanitas di Rozzano (Milano). Ma ad ucciderla potrebbe essere stato anche altro. «Quando parliamo di avvelenamento radioattivo», spiega Lorenzo Bianchi dell'Associazione italiana di fisica medica, «in realtà ci riferiamo a una sindrome acuta da radiazioni. I tempi in cui è avvenuta questa morte sono compatibili con questa causa». La cosa che è difficile da spiegare, secondo l'esperto, è come possa essere stato il solo cobalto 60 il motivo di questa morte. «Il cobalto 60 è usato in campo medico, in radioterapia», spiega Bianchi. «Quando viene assunto con il cibo, e in quantità nell'ordine di cucchiai, impiega tempi medio lunghi per dare danni da avvelenamento, che di solito sono tumori a carico di fegato, reni e ossa». Il cobalto 60, per essere mortale, «deve essere irradiato ad alte dosi. Per intenderci, livelli di radiazioni assolutamente più elevate di quelle impiegate su un tessuto tumorale in medicina. Inoltre», continua, «il cobalto irradiato non lascia traccia e non sarebbe rilevabile all'interno dell'organismo». Se si trova il cobalto, significa che «deve esserci altro, che deve essere stato incorporato in un mix di sostanze radioattive. In natura», continua l'esperto, «ci sono altri isotopi che possono dare la morte in tempi relativamente rapidi, per esempio il polonio 218, quello che ha causato la morte della spia russa qualche anno fa». In altre parole, il cobalto è un metallo abbastanza stabile ma, per le sue caratteristiche, viene arricchito di neutroni per essere impiegato in medicina ma anche a livello industriale. I vari composti sono detti isotopi e sono radioattivi perché emettono radiazioni più o meno penetranti e dannose. Tanto per avere un'idea, il polonio può dare la sindrome da radiazione a dosaggi 5.000 volte più bassi del cobalto, per questo è più facile scioglierlo in una bevanda o liberarlo nell'aria da una piccola capsula. «Una sindrome acuta, con cobalto, si può spiegare solo con l'esposizione a più sostanze», continua Bianchi. «Il cobalto 60 emette due raggi gamma molto energetici che attraversano il copro umano dando effetti a lungo termine. Il polonio 210, ad esempio, emette particelle alfa che hanno un percorso (range) nel corpo che è brevissimo, quindi liberano tutta la loro energia localmente con un effetto altamente distruttivo sui tessuti e compatibile con una morte acuta da radiazione». Gli effetti di tale esposizione sono simili a quelli della bomba di Hiroshima con la morte del midollo osseo, cioè del tessuto da cui hanno origine le cellule del sangue. «L'organismo è altamente debilitato. Inoltre, se non ci sono piastrine, si può morire per un'emorragia», afferma Bianchi, «se mancano le difese immunitarie, una semplice infezione può essere letale». Il punto è che la sintomatologia non è specifica, anzi: stanchezza, nausea, vomito. Praticamente sembra una sindrome influenzale. Tale condizione è confermata anche dal fatto che, al momento del ricovero all'Humanitas, la ragazza aveva già una sindrome grave al midollo osseo, ma non riconducibile a un tumore del sangue. Definire la composizione del mix radioattivo non è semplice: «Il cobalto si trova molto in fretta perché emette raggi gamma», osserva Bianchi. «Per trovare del polonio, che emette raggi alfa, si devono cercare le radiazioni all'interno dei tessuti con tecniche molto complesse».
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Riduci
La teste chiave riferì di essere stata avvicinata da un uomo che le promise denaro. L'esito degli esami è arrivato dopo la morte, «secretata» per 15 giorni.Il midollo era distrutto: «Non basta il cobalto in sé, dev'esserci un mix di sostanze». Se Paolo Sorrentino avrà voglia di girare il terzo episodio di Loro, film diviso in due parti che racconta gli aspetti più privati della epopea politica di Silvio Berlusconi, non potrà trascurare la vita e la morte di Imane Fadil, la modella marocchina deceduta in circostanze misteriose il primo marzo scorso dopo un mese di agonia, uccisa da un mix di sostanze radioattive che hanno provocato il cedimento progressivo degli organi. Era teste chiave nel processo Ruby ter, che vede Berlusconi imputato con l'accusa di aver corrotto una serie di testimoni, tra cui alcune «olgettine», per mentire sulla vera natura delle cosiddette «cene eleganti». La Procura di Milano indaga per omicidio volontario. Imane Fadil era nota per essere la «pentita del bunga bunga»: aveva raccontato, sia ai magistrati sia in diverse interviste, la sua versione, dipingendo un quadro a tinte hard di quanto accadeva nella villa di Arcore, con tanto di riti orgiastici, presenza di Lucifero, e successivi tentativi di corruzione da parte dell'entourage dell'ex premier.IL CALVARIOImane Fadil viene ricoverata all'Humanitas di Rozzano il 29 gennaio scorso, per una gravissima disfunzione del midollo osseo che aveva smesso di produrre globuli bianchi, rossi e piastrine. Va prima in terapia intensiva e poi rianimazione. Il 28 febbraio entra in coma, muore il primo marzo. Solo 15 giorni dopo, l'altroieri, il procuratore Francesco Greco rende noto il decesso. Nei giorni immediatamente precedenti, l'aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio hanno ascoltato alcuni testimoni, tra i quali il fratello e il legale della povera Imane, i quali raccontano ai giudici che la ragazza aveva ripetuto più volte di temere di «essere stata avvelenata». Nella cartella clinica sequestrata dalla Procura si parla di forti dolori al ventre e «cedimento progressivo degli organi». Imane è morta a causa di un mix di sostanze radioattive, stando a quanto risulta dagli esiti degli esami. I sintomi, come l'assenza di globuli bianchi e il fegato compromesso, per i pm sono «compatibili con un avvelenamento». Le indagini si concentrano sui metalli individuati nel sangue della Fadil: cobalto, cromo, nichel e molibdeno. Si attendono gli esiti dell'autopsia.IL PRIMO interrogativoIl procuratore Greco, dando la notizia della morte di Imane e delle indagini per omicidio volontario per un sospetto avvelenamento, ha detto che l'ospedale Humanitas non ha mai comunicato nulla alla magistratura, né durante il mese di ricovero né quando la ragazza è morta, sebbene non fossero chiare le cause del decesso. L'Humanitas ha fornito una versione diversa: «Al decesso della paziente, il primo marzo scorso, l'autorità giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma. Il 6 marzo, Humanitas ha avuto gli esiti tossicologici degli accertamenti richiesti, e lo ha prontamente comunicato agli inquirenti».IL PROCESSOImane Fadil rivestiva un ruolo di primo piano già nel processo Ruby-bis, a carico di Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, accusati di aver reclutato lei e altre ragazze per partecipare alle «cene eleganti» di Arcore e di averle invitate a «intrattenere rapporti intimi con il presidente Berlusconi». Lei ha sempre negato di averne avuti col Cavaliere, però nel 2011 ha raccontato ai pm di Milano la sua versione di quelle serate: «Ciò che mi ha spinto a questo passo», disse agli inquirenti, «è lo schifo che provo per quei parassiti che sfruttano Berlusconi e le sue debolezze». Il processo si concluse con la condanna di Lele Mora ed Emilio Fede a 7 anni per favoreggiamento e induzione alla prostituzione. La Minetti fu condannata a 5 anni. Da questo processo scaturisce il cosiddetto Ruby ter: Berlusconi, alla sbarra insieme ad altre 23 persone, è accusato di aver pagato le ragazze che partecipavano alle serate perché ammorbidissero le loro testimonianze. La Fadil era testimone. Fu stata esclusa come parte civile dal processo lo scorso 14 gennaio: «Ho sempre detto la verità», dichiarò, infuriata, ai giornalisti, «al contrario degli altri e ho respinto tantissimi tentativi di corruzione da parte di Berlusconi e di tutto il suo entourage».I RACCONTIImane, tra 2010 e 2011, partecipò a otto cene. Durante una di queste, ha raccontato sia ai magistrati sia in diverse interviste, vide spogliarelli, atteggiamenti intimi, travestimenti. Ha ammesso di aver partecipato alle serate «perché ero disperata, lavoravo poco e ambivo a incarichi importanti. In quella casa», ha raccontato, «accadevano oscenità continue. Una sorta di setta, fatta di sole donne. In quella casa ci sono presenze inquietanti. Là dentro c'è il Male, io l'ho visto, c'è Lucifero». E ancora: «Eravamo in piedi», disse in aula riferendosi a una serata del febbraio 2010, «stavamo prendendo da bere al bar, la Faggioli stava facendo una performance nella saletta del bunga bunga. Dopo 10 minuti scomparve con la Minetti, poi si presentarono con una tunica nera, una croce e un copricapo bianco e fecero una performance che non mi sarei mai aspettata. Fecero Sister Act, poi ballarono, si dimenarono e si tolsero la tunica, restando solo con l'intimo».IL mediorientale La Fadil raccontò ai magistrati di un incontro con un siriano, Saed Ghanaymu, direttore commerciale di una grande azienda di Costa Masnaga che vende ferro: «Diceva di essere amico di Berlusconi e mi propose di andare a un incontro nella villa dell'ex premier per avere dei soldi». L'uomo fu a sua volta interrogato dai pm milanesi e che alla loro precisa domanda: «Per ragioni del suo lavoro ha rapporti con apparati pubblici di sicurezza?», rispose con uno sconcertante «non mi ricordo». Ma c'è una pista ancor più oscura: «Nel caso Fadil, Berlusconi non c'entra», ha scritto su Twitter Souad Sbai, ex deputata del Pdl, giornalista e saggista italiana originaria del Marocco, «le responsabilità vanno ricercate altrove, in una certa alta “diplomazia" con cui la ragazza aveva lavorato e che gli ha chiuso la bocca per paura denunciasse la verità». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/emissari-siriani-e-lombra-degli-007-stranieri-quanti-misteri-su-imane-2631870426.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-specialista-sembra-uninfluenza-invece-muoiono-le-cellule-del-sangue" data-post-id="2631870426" data-published-at="1765632907" data-use-pagination="False"> Lo specialista: «Sembra un’influenza invece muoiono le cellule del sangue» È stato trovato cobalto 60, radioattivo, nel corpo della giovane Imane Fadil, teste del processo Ruby, morta dopo un mese di ricovero all'Humanitas di Rozzano (Milano). Ma ad ucciderla potrebbe essere stato anche altro. «Quando parliamo di avvelenamento radioattivo», spiega Lorenzo Bianchi dell'Associazione italiana di fisica medica, «in realtà ci riferiamo a una sindrome acuta da radiazioni. I tempi in cui è avvenuta questa morte sono compatibili con questa causa». La cosa che è difficile da spiegare, secondo l'esperto, è come possa essere stato il solo cobalto 60 il motivo di questa morte. «Il cobalto 60 è usato in campo medico, in radioterapia», spiega Bianchi. «Quando viene assunto con il cibo, e in quantità nell'ordine di cucchiai, impiega tempi medio lunghi per dare danni da avvelenamento, che di solito sono tumori a carico di fegato, reni e ossa». Il cobalto 60, per essere mortale, «deve essere irradiato ad alte dosi. Per intenderci, livelli di radiazioni assolutamente più elevate di quelle impiegate su un tessuto tumorale in medicina. Inoltre», continua, «il cobalto irradiato non lascia traccia e non sarebbe rilevabile all'interno dell'organismo». Se si trova il cobalto, significa che «deve esserci altro, che deve essere stato incorporato in un mix di sostanze radioattive. In natura», continua l'esperto, «ci sono altri isotopi che possono dare la morte in tempi relativamente rapidi, per esempio il polonio 218, quello che ha causato la morte della spia russa qualche anno fa». In altre parole, il cobalto è un metallo abbastanza stabile ma, per le sue caratteristiche, viene arricchito di neutroni per essere impiegato in medicina ma anche a livello industriale. I vari composti sono detti isotopi e sono radioattivi perché emettono radiazioni più o meno penetranti e dannose. Tanto per avere un'idea, il polonio può dare la sindrome da radiazione a dosaggi 5.000 volte più bassi del cobalto, per questo è più facile scioglierlo in una bevanda o liberarlo nell'aria da una piccola capsula. «Una sindrome acuta, con cobalto, si può spiegare solo con l'esposizione a più sostanze», continua Bianchi. «Il cobalto 60 emette due raggi gamma molto energetici che attraversano il copro umano dando effetti a lungo termine. Il polonio 210, ad esempio, emette particelle alfa che hanno un percorso (range) nel corpo che è brevissimo, quindi liberano tutta la loro energia localmente con un effetto altamente distruttivo sui tessuti e compatibile con una morte acuta da radiazione». Gli effetti di tale esposizione sono simili a quelli della bomba di Hiroshima con la morte del midollo osseo, cioè del tessuto da cui hanno origine le cellule del sangue. «L'organismo è altamente debilitato. Inoltre, se non ci sono piastrine, si può morire per un'emorragia», afferma Bianchi, «se mancano le difese immunitarie, una semplice infezione può essere letale». Il punto è che la sintomatologia non è specifica, anzi: stanchezza, nausea, vomito. Praticamente sembra una sindrome influenzale. Tale condizione è confermata anche dal fatto che, al momento del ricovero all'Humanitas, la ragazza aveva già una sindrome grave al midollo osseo, ma non riconducibile a un tumore del sangue. Definire la composizione del mix radioattivo non è semplice: «Il cobalto si trova molto in fretta perché emette raggi gamma», osserva Bianchi. «Per trovare del polonio, che emette raggi alfa, si devono cercare le radiazioni all'interno dei tessuti con tecniche molto complesse».
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Riduci
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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