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2022-09-30
Musk punta sui robot umanoidi. Ma non è tutto così semplice come dice lui
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Il Tesla Bot (Tesla)
A Elon Musk, si sa, non manca una certa ironia. Sarà per questo che il suo Tesla Bot, l'androide su cui stanno lavorando i tecnici del più pazzoide magnate della SiliconValley, si chiama Optimus, come Optimus Prime, il capo della fazione «buona» dei Transformers. Musk ha detto di voler schierare robot umanoidi «a milioni» nelle sue fabbriche, e nel futuro prossimo «si prenderanno cura degli anziani». Certo, all'inizio i robot di Tesla saranno costosissimi. E anche un po' impacciati quando si presenteranno loro situazioni imprevedibili. È probabile che delle versioni sempre più perfezionate si presenteranno man mano che l'intelligenza artificiale farà passi avanti, anche se qui non mancano le incognite: quali rischi ci sono nel mettersi in casa un umanoide robot la cui intelligenza mimi in modo sempre più perfetto quella umana?
Al di là delle sparate di Musk, a cui piace abbandonarsi ad annunci immaginifici – anche per promuovere se stesso e il suo brand – i tecnici sono scettici, almeno circa lo sviluppo di simili tecnologie nel breve periodo. «Le auto a guida autonoma non si sono rivelate così facili come si pensava. Ed è lo stesso con i robot umanoidi in una certa misura», ha detto alla Reuters il capo del Dexterous Robotics Team della Nasa, Shaun Azimi. In un evento del 2019, Musk avevapromesso 1 milione di robotaxi entro il 2020, ma finora non se n'è vista neanche una.
Non è solo Musk, comunque, che sta investendo sui robot. Ad agosto, la società tecnologica cinese Xiaomi ha mostrato CyberOne, un robot umanoide in grado di attraversare il palco e comunicare con il Ceo di Xiaomi Lei Jun. Che ha commentato: «Con l’intelligenza artificiale al centro e una struttura umanoide a grandezza naturale come suo veicolo, questa è un’esplorazione delle possibilità del futuro ecosistema tecnologico di Xiaomi e una nuova svolta per l’azienda». Gli analisti non hanno potuto fare a meno di osservare come il design sembri stranamente simile all’Optimus di Tesla.
Qualche giorno fa, invece, un robot bipede – e senza la parte superiore del «corpo» - ideato da ricercatori dell'Oregon State University College of Engineering è entrato nel Guinness dei primati come robot più veloce a correre i 100 metri, con il tempo record di 24,73 secondi, il robot simile ad uno struzzo è partito da posizione eretta, ha completato la sua corsa e poi è tornato camminando alla posizione di partenza, senza mai cadere e con l'andatura guidata solo dal suo software. Più che la corsa, in realtà, la parte difficile è ritrovare l'equilibrio e fermarsi in piedi. «Cassie», ha spiegato Devin Crowley, che ha guidato l'esperimento dei 100 metri, «può seguire diverse andature, ma come abbiamo iniziato a ottimizzarlo per la corsa ci siamo chiesti, quali andature sono più efficienti a ciascuna velocità? Partire e fermarsi liberamente in piedi poi è più difficile che correre, un po' come decollo e atterraggio sono la parte più difficile del volo di un aereo».
https://www.youtube.com/watch?v=rhuojVvpIw0
Problemi apparentemente banali come appunto l'equilibrio nello stare semplicemente in piedi si sono rivelati, nel corso degli anni, più difficili del previsto. Paradossalmente, abbiamo imparato più facilmente a far ragionare i computer (quasi) come noi che a farli stare semplicemente in equilibrio. Il robot bipede Asimo della Honda (il nome è un acronimo per Advanced Step in Innovative MObility, ma ovviamente omaggia lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov) è allo studio dal 1986, ha già visto varie versioni, sempre migliorate, fa la sua comparsa ad happening aziendali e convention mondiali, ma oltre a stupire il pubblico in occasioni di questo genere pare ancora ben lungi dall'essere commercializzato.
La Boston Dynamics, dal canto suo,ha robot umanoidi che corrono, saltano, saltano all'indietro e ballano. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di robot ottimi per i video promozionali, ma non abbastanza da fa volare le quotazioni dell'azienda, che al contrario pare passarsela in cattive acque.
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Il magnate di Tesla sta per lanciare Optimus, l’androide che farà l’operaio nelle sue fabbriche e, nelle intenzioni, entrerà in milioni di case come aiutante. Ma tali annunci potrebbero essere prematuri.A Elon Musk, si sa, non manca una certa ironia. Sarà per questo che il suo Tesla Bot, l'androide su cui stanno lavorando i tecnici del più pazzoide magnate della SiliconValley, si chiama Optimus, come Optimus Prime, il capo della fazione «buona» dei Transformers. Musk ha detto di voler schierare robot umanoidi «a milioni» nelle sue fabbriche, e nel futuro prossimo «si prenderanno cura degli anziani». Certo, all'inizio i robot di Tesla saranno costosissimi. E anche un po' impacciati quando si presenteranno loro situazioni imprevedibili. È probabile che delle versioni sempre più perfezionate si presenteranno man mano che l'intelligenza artificiale farà passi avanti, anche se qui non mancano le incognite: quali rischi ci sono nel mettersi in casa un umanoide robot la cui intelligenza mimi in modo sempre più perfetto quella umana?Al di là delle sparate di Musk, a cui piace abbandonarsi ad annunci immaginifici – anche per promuovere se stesso e il suo brand – i tecnici sono scettici, almeno circa lo sviluppo di simili tecnologie nel breve periodo. «Le auto a guida autonoma non si sono rivelate così facili come si pensava. Ed è lo stesso con i robot umanoidi in una certa misura», ha detto alla Reuters il capo del Dexterous Robotics Team della Nasa, Shaun Azimi. In un evento del 2019, Musk avevapromesso 1 milione di robotaxi entro il 2020, ma finora non se n'è vista neanche una.Non è solo Musk, comunque, che sta investendo sui robot. Ad agosto, la società tecnologica cinese Xiaomi ha mostrato CyberOne, un robot umanoide in grado di attraversare il palco e comunicare con il Ceo di Xiaomi Lei Jun. Che ha commentato: «Con l’intelligenza artificiale al centro e una struttura umanoide a grandezza naturale come suo veicolo, questa è un’esplorazione delle possibilità del futuro ecosistema tecnologico di Xiaomi e una nuova svolta per l’azienda». Gli analisti non hanno potuto fare a meno di osservare come il design sembri stranamente simile all’Optimus di Tesla.Qualche giorno fa, invece, un robot bipede – e senza la parte superiore del «corpo» - ideato da ricercatori dell'Oregon State University College of Engineering è entrato nel Guinness dei primati come robot più veloce a correre i 100 metri, con il tempo record di 24,73 secondi, il robot simile ad uno struzzo è partito da posizione eretta, ha completato la sua corsa e poi è tornato camminando alla posizione di partenza, senza mai cadere e con l'andatura guidata solo dal suo software. Più che la corsa, in realtà, la parte difficile è ritrovare l'equilibrio e fermarsi in piedi. «Cassie», ha spiegato Devin Crowley, che ha guidato l'esperimento dei 100 metri, «può seguire diverse andature, ma come abbiamo iniziato a ottimizzarlo per la corsa ci siamo chiesti, quali andature sono più efficienti a ciascuna velocità? Partire e fermarsi liberamente in piedi poi è più difficile che correre, un po' come decollo e atterraggio sono la parte più difficile del volo di un aereo».https://www.youtube.com/watch?v=rhuojVvpIw0Problemi apparentemente banali come appunto l'equilibrio nello stare semplicemente in piedi si sono rivelati, nel corso degli anni, più difficili del previsto. Paradossalmente, abbiamo imparato più facilmente a far ragionare i computer (quasi) come noi che a farli stare semplicemente in equilibrio. Il robot bipede Asimo della Honda (il nome è un acronimo per Advanced Step in Innovative MObility, ma ovviamente omaggia lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov) è allo studio dal 1986, ha già visto varie versioni, sempre migliorate, fa la sua comparsa ad happening aziendali e convention mondiali, ma oltre a stupire il pubblico in occasioni di questo genere pare ancora ben lungi dall'essere commercializzato. La Boston Dynamics, dal canto suo,ha robot umanoidi che corrono, saltano, saltano all'indietro e ballano. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di robot ottimi per i video promozionali, ma non abbastanza da fa volare le quotazioni dell'azienda, che al contrario pare passarsela in cattive acque.
Trump blocca il petrolio del Venezuela. Domanda elettrica, una questione di sicurezza nazionale. Le strategie della Cina per l’Artico. Auto 2035, l’Ue annacqua ma ormai il danno è fatto.
Dinanzi a tale insipienza strategica, i popoli non rimangono impassibili. Già alla vigilia del vertice dei 27, Politico aveva pubblicato i risultati di un sondaggio, secondo il quale sia in Francia sia in Germania sono aumentati quelli che vorrebbero «ridurre significativamente» il sostegno monetario all’Ucraina. I tedeschi che chiedono tagli drastici sono il 32%, percentuale cui va sommato il 14% di quanti si accontenterebbero di una qualsiasi stretta. Totale: 46%. I transalpini stufi di sborsare, invece, sono il 37% del totale. Per la Bild, l’opinione pubblica di Berlino è ancora più netta sull’opportunità di continuare a inviare armi al fronte: il 58% risponde di no. Infine, una rilevazione di Rtl e Ntv ha appurato che il 75% dei cittadini boccia l’operato del cancelliere Friedrich Merz, principale fautore della poi scongiurata «rapina» dei fondi di Mosca. Non è un caso che, stando almeno alle ricostruzioni del Consiglio Ue proposte da Repubblica, Emmanuel Macron e Giorgia Meloni abbiano motivato le proprie riserve sul piano con la difficoltà di far digerire ai Parlamenti nazionali, quindi agli elettori, una mozza così azzardata. Lo scollamento permanente dalla realtà che caratterizza l’operato della Commissione, a quanto pare, risponde alla filosofia esposta da Sergio Mattarella a proposito del riarmo a tappe forzate: è impopolare, ma è necessario.
La disputa sulle sovvenzioni a Zelensky - e speriamo siano a Zelensky, ovvero al bilancio del Paese aggredito, anziché ai cessi d’oro dei suoi oligarchi corrotti - ha comunque generato pure un’altra forma di divaricazione: quella tra i fatti e le rappresentazioni mediatiche.
I fatti sono questi: Ursula von der Leyen, spalleggiata da Merz, ha subìto l’ennesimo smacco; l’Unione ha ripiegato all’unanimità sugli eurobond, sebbene Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca siano state esentate dagli obblighi contributivi, perché abbandonare i lavori senza alcun accordo, oppure con un accordo a maggioranza qualificata, sarebbe stato drammatico; alla fine, l’Europa si è condannata all’ennesimo salasso. E la rappresentazione?
La Stampa ieri è partita per Plutone: titolava sulla «svolta» del debito comune, descritta addirittura come un «compromesso storico». Il corrispondente da Bruxelles, Marco Bresolin, in verità ha usato toni più sobri, sottolineando la «grande delusione» di chi avrebbe voluto «punire la Russia» e riconoscendo il successo del premier belga, Bart De Wever, ostile all’impiego degli asset; mentre l’inviato, Francesco Malfetano, dava atto alla Meloni di aver pianificato «la sua mossa più efficace». Sul Corriere, il fiasco di Merz si è trasformato in una «vittoria a metà». Repubblica ha borbottato per la «trappola» tesa dal cancelliere e a Ursula. Ma Andrea Bonanni, in un editoriale, ha lodato l’esito «non scontato» del Consiglio. L’Europa, ha scritto, «era chiamata a sostituirsi a Washington per consentire a Kiev di continuare la resistenza contro l’attacco russo. Lo ha fatto. Doveva trovare i soldi. Li ha trovati ricorrendo ancora una volta a un prestito comune, come fece al tempo dell’emergenza Covid». Un trionfo. Le memorie del regimetto pandemico avranno giocato un ruolo, nel convincere le firme di largo Fochetti che, «stavolta», l’Ue abbia «battuto un colpo».
Un colpo dev’essere venuto ai leader continentali. Costoro, compiuto il giro di boa, forse si convinceranno a smetterla di sabotare le trattative. Prova ne sia la sveglia di Macron, che ha avvisato gli omologhi: se fallisce la mediazione Usa, tocca agli europei aprire un canale con Vladimir Putin. Tutto sommato, avere gli asset in ostaggio può servire a scongiurare l’incubo dell’Ue: sparire di scena.
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Volodymyr Zelensky (Ansa)
La soluzione del prestito dunque salva capra e cavoli, ovvero gli interessi di chi ritiene giusto dover alimentare con aiuti e armi la resistenza di Kiev e anche quelli di quanti temevano la reazione russa all’uso dei fondi. Una mediazione soddisfacente per tutti, dunque? Non esattamente, visto che la soluzione escogitata non è affatto gratis. Già: mentre i vertici della Ue si fanno i complimenti per aver raggiunto un’intesa, a non congratularsi dovrebbero essere i cittadini europei, perché l’accordo raggiunto non è gratis, ma graverà ancora una volta sulle tasche dei contribuenti. Lasciate perdere per un momento come e quando l’Ucraina sarà in grado di restituire il prestito che le verrà concesso. Se Kiev fosse un comune cittadino nessuna banca la finanzierebbe, perché agli occhi di qualsiasi istituto di credito non offrirebbe alcuna garanzia di restituzione del mutuo concesso. Per molti anni gli ucraini non saranno in grado di restituire ciò che ricevono. Dunque, i soldi che la Ue si prepara a erogare rischiano di essere a fondo perduto, cioè di non ritornare mai nelle tasche dei legittimi proprietari, cioè noi, perché il prestito non è garantito da Volodymyr Zelensky, in quanto il presidente ucraino non ha nulla da offrire in garanzia, ma dall’Europa, vale a dire da chi nel Vecchio continente paga le tasse.
Lasciate perdere che, con la corruzione che regna nel Paese, parte dei soldi che diamo a Kiev rischia di sparire nelle tasche di una serie di politici e burocrati avidi prima ancora di arrivare a destinazione. E cancelliamo pure dalla memoria le immagini dei cessi d’oro fatti installare dai collaboratori mano lesta del presidente ucraino: rubinetti, bidet, vasca e tutto il resto lo abbiamo pagato noi, con i nostri soldi. Il grande reset della realtà, per come si è fin qui palesata, tuttavia non può cancellare quello che ci aspetta.
Il prestito della Ue, come ogni finanziamento, non è gratis: quando voi fate il mutuo per la casa, oltre a rimborsare mese dopo mese parte del capitale, pagate gli interessi. Ma in questo caso il tasso non sarà a carico di chi riceve i soldi, come sempre capita, ma - udite, udite - di chi li garantisce, ovvero noi. Politico, sito indipendente, ha calcolato che ogni anno la Ue sarà costretta a sborsare circa 3 miliardi di interessi, non proprio noccioline. Chi pagherà? È ovvio: non sarà lo Spirito Santo, ma ancora noi. Dividendo la cifra per il numero di abitanti all’interno della Ue si capisce che ogni cittadino dovrà mettere mano al portafogli per 220 euro, neonati e minorenni inclusi. Se poi l’aliquota la si vuol applicare sopra una certa soglia di età, si arriva a 300.
Ecco, la pace sia con voi la pagheremo cara e probabilmente pagheremo cari anche i 90 miliardi concessi all’Ucraina, perché quasi certamente Kiev non li restituirà mai e toccherà a noi, intesi come Ue, farcene carico. Piccola noticina: com’è che, quando servivano soldi per rilanciare l’economia e i salari, Bruxelles era contraria e adesso, se c’è da far debito per sostenere l’Ucraina, invece è favorevole? Il mistero delle scelte Ue continua. Ma soprattutto, si capisce che alla base di ogni decisione, a differenza di ciò che ci hanno raccontato per anni, non ci sono motivazioni economiche, ma solo politiche.
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Kirill Budanov (Ansa)
Sicuramente nei potenziali colloqui è prevista la partecipazione americana, ma potrebbero aggiungersi anche gli europei, visto che si trovano sul suolo americano. Il presidente ucraino, nell’annunciare questa opportunità, ha dichiarato che Washington «ha proposto il seguente formato: Ucraina, America, Russia e, dato che ci sono rappresentanti dell’Europa, probabilmente anche l’Europa». E in tal caso a prendere parte sarebbero i consiglieri per la sicurezza nazionale. Pare però che la decisione finale spetti a Zelensky: sarà l’Ucraina a stabilire la configurazione della riunione in base all’esito dell’incontro di venerdì tra i negoziatori americani, la delegazione ucraina e quella europea. E per questo il presidente ucraino, che si mostra già scettico, ha comunicato che ne parlerà con Rustem Umerov. D’altronde, Zelensky ha spiegato che deve ancora essere aggiornato sui risultati raggiunti a Miami: «Il nostro team si metterà in contatto con me: mi comunicheranno l’esito del primo blocco di dialogo e poi capiremo cosa fare». Poco dopo ha riferito che la proposta americana potrebbe essere accettata qualora faciliti lo scambio di prigionieri e sia il preludio di un incontro «tra i leader». Ha poi avvertito che Washington deve chiarire «se c’è una via diplomatica», altrimenti, in caso contrario «ci sarà una pressione totale» su Mosca.
Ma prima dell’eventuale trilaterale o quadrilaterale, ieri l’inviato americano, Steve Witkoff, il genero di Donald Trump, Jared Kushner, e il segretario di Stato americano, Marco Rubio, la cui presenza però, quando siamo andati in stampa, non era ancora confermata, si sono incontrati a Miami con la delegazione russa guidata da Kirill Dmitriev. L’inviato del presidente russo, Vladimir Putin, prima dei colloqui, ha condiviso su X un video girato durante la precedente missione in Florida, scrivendo: «In viaggio per Miami. Mentre i guerrafondai continuano a fare gli straordinari per indebolire il piano di pace degli Stati Uniti per l’Ucraina, mi sono ricordato di questo video della mia precedente visita. La luce che irrompe attraverso le nuvole temporalesche». Più tardi, mentre era in viaggio verso la Florida, ha aggiunto che la Russia è «pronta a collaborare con gli Stati Uniti nell’Artico».
Ma oltre agli interessi già noti in quell’area, Mosca avrebbe altri obiettivi. In una versione che stride con la visione della Casa Bianca, sei fonti vicine all’intelligence americana hanno infatti rivelato a Reuters che la Russia mira a conquistare tutta l’Ucraina e i Paesi dell’ex Unione sovietica. Il membro democratico della Commissione intelligence della Camera, Mike Quigley, interpellato dall’agenzia britannica, ha dichiarato: «Le informazioni di intelligence hanno sempre indicato che Putin vuole di più. Gli europei ne sono convinti. I polacchi ne sono assolutamente convinti. I baltici pensano di essere i primi». Che tra i target russi ci siano gli Stati baltici ne è certo anche il capo del servizio segreto militare ucraino, Kirill Budanov. In un’intervista rilasciata a LB.ua. ha annunciato che «il piano originale» di Mosca prevedeva «di iniziare le operazioni» di conquista «nel 2030», ma «ora i piani sono stati modificati e rivisti per anticipare la tempistica al 2027».
Guardando invece al presente, l’apertura dello zar russo a un cessate il fuoco in Ucraina qualora si tenessero le elezioni non è stata apprezzata dal leader di Kiev. Zelensky ha detto che «non spetta a Putin decidere quando e in quale forma si terranno le elezioni in Ucraina». Tuttavia, ha già comunicato che il ministero degli Esteri è al lavoro per organizzare il voto all’estero. Immediata è stata la risposta del Cremlino, con il suo portavoce Dmitry Peskov che ha bollato Zelensky come «confuso» e «contradditorio» dato che ha già chiesto il sostegno americano proprio per garantire che le eventuali elezioni si svolgano in sicurezza.
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