2024-12-01
Il caso respiratori inguaia Elkann. Philips sconfitta anche in Germania
Il gruppo, di cui Exor è primo azionista, perde la causa contro le casse sanitarie«Fare business in modo responsabile e sostenibile». Questo slogan appare sul sito della Philips. La citazione però, non tiene conto che la multinazionale ha già perso una causa da un miliardo di dollari negli Usa e un’altra in Italia per via dei difetti dei suoi apparecchi per la respirazione assistita che hanno danneggiato i polmoni e altri organi vitali dei pazienti. Ora l’azienda si è vista dare torto anche in Germania facendo crescere i problemi per John Elkann che della multinazionale è il principale azionista: ne possiede infatti il 17,1% del capitale e può arrivare fino al 20%. Ha investito circa 4 miliardi il cui rendimento, però, è stato abbastanza modesto considerando l’impatto negativo sulle quotazioni derivanti dalle cause che coinvolgono 1,1 milioni di persone in Europa e 100.000 solo in Italia. Insomma, l’erede dell’Avvocato sta facendo conoscenza con i tribunale di mezzo mondo: Torino e Ginevra per la causa ereditaria avviata dalla madre Margherita, Milano, New York e ora anche Monaco di Baviera per quanto riguarda Philips.I fatti sono questi. Contro la multinazionale olandese è stata avviata in Italia la prima causa collettiva (class action) europea. Promotore lo studio legale associato Ambrosio e Commodo di Torino. A depositare il ricorso al tribunale di Milano è stata una coalizione internazionale di avvocati, la Global Justice Network, il cui presidente è l’avvocato Stefano Bertone (partner dello studio torinese), per conto di tutti gli utenti europei colpiti dai difetti dei respiratori.La novità di questi giorni viene dalla Germania il cui sistema giudiziario non prevede la procedura della class action. Per questa ragione le casse di previdenza tedesche, con lodevoli ragioni di trasparenza, hanno scritto agli assistiti danneggiati dai respiratori Philips informandoli dell’esistenza della causa avviata in Italia. Apriti cielo. La Philips, dimenticando lo slogan sulla responsabilità d’impresa, ha fatto ricorso al Tribunale di Monaco di Baviera per bloccare l’iniziativa, sosteneva che non rientrasse nei poteri delle assicurazioni informare i pazienti sui loro diritti. Da qui la richiesta urgente ed immediata per bloccare l’invio delle lettere ai pazienti. Le casse al contrario sostenevano di avere il dovere di informare gli utenti dell’esistenza delle azioni giudiziarie per il risarcimento dei danni. Nella loro difesa contro il ricorso di Philips hanno spiegato che «le informazioni sull’azione collettiva in Italia fanno parte dell’impegno generale delle società di assicurazione sanitaria per rafforzare i diritti dei loro assistiti in Germania». Si sono anche complimentati con il sistema giudiziario italiano, considerandolo un esempio da imitare. In un’intervista a Tagesschau (il principale telegiornale tedesco) un rappresentante delle casse ha affermato di essere rimasto sorpreso dall’opposizione di Philips: «Vogliono impedirci di fornire consulenza completa ai nostri assicurati», ha detto Dominik Schirmer, capo del Dipartimento della Baviera sui diritti del malato.Alla fine i giudici di Monaco hanno dato torto alla multinazionale invitando la Philips a ritirare il ricorso. «Il presidente» si legge nel provvedimento» parte dal presupposto che esista una base giuridica che impone alle assicurazioni sanitarie di fornire agi assistiti informazioni corrette e accurate». Un’altra sconfitta per Philips, mentre la class action entra nel vivo. Per domani, infatti, sono attese al Tribunale di Milano le memorie difensive della multinazionale olandese. C’è anche da dire che già nel 2023 la Philips era stata condannata a riparare o sostituire alcuni di questi dispositivi ritenuti pericolosi ed era stata stabilita dalla Corte d’Appello di Milano una penale di 20.000 euro per ogni giorno di ritardo (penale poi ridotta a 10.000). «Già nel 2021 la Philips ha lanciato una campagna per il ritiro di questo prodotto, definendolo essa stessa pericoloso», spiega l’avvocato Stefano Commodo, «Siamo a dicembre 2024 e la campagna non è ancora terminata».