2025-03-25
Elkann ha rotto pure i gioielli di famiglia
John Elkann e Frederic Vasseur (Getty Images)
Non bastavano i soldi persi da Stellantis e dal gruppo Gedi. E neppure i sequestri ordinati dalla Procura. Jaki ha dovuto incassare nel giro di 24 ore i fallimenti della Juve e della Ferrari, con l’esonero di Motta e le squalifiche di Hamilton e Leclerc.C’è qualcosa di peggio che perdere 13 miliardi in un anno con Stellantis (-70%) e 113 milioni con il gruppo Gedi? Sì. C’è qualcosa di peggio che vendere una quota della leggendaria Ferrari per monetizzare? Sì. C’è qualcosa di peggio che sentirsi bullizzare da Carlo Calenda in Parlamento con «Il suo milione di macchine è fantasioso come i carri armati di Mussolini»? Sì. C’è qualcosa di peggio che vedersi sequestrare dalla Procura 74 milioni per frode fiscale nella guerra ereditaria con la madre? Sembra impossibile, ma sì. John Elkann lo ha scoperto al culmine della sua micidiale domenica, travolto dal fattore S (Sport, Storia, Sfiga) e dalla rottura contemporanea dei due più preziosi vasi Ming del salotto di casa: la resa della Juventus dell’era Thiago Motta e la squalifica delle Ferrari in coppia per mancato rispetto delle regole. Una doppietta da far venire la gastrite a un Grizzly. Pasticci assortiti che riportano direttamente a una frase di Gianni Agnelli: «Tutto si può criticare tranne i gioielli di famiglia; quelli vanno tenuti in cassaforte e amati». Se è vero che per la Real Casa «vincere non è importante ma l’unica cosa che conta», domenica sul divano Frau il proprietario dei due gioielli deve aver vissuto una sensazione da ceto subalterno in cassa integrazione: toccare terra e cominciare a scavare. Urge riattivare la Gigafactory di Termoli.La frittata più indigesta è stata cucinata a Shanghai, dove le Rosse di Lewis Hamilton e Charles Leclerc s’erano poste l’imperativo di sbranare le McLaren, le Mercedes e le Red Bull in un solo boccone. Tutto lasciava credere che le parole dei piloti, l’entusiasmo dei tifosi e la tradizionale grancassa mediatica avrebbero spinto i bolidi al trionfo. Ed effettivamente il sabato, nella garetta Sprint (antipasto forzato del Gran premio di Cina) il baronetto britannico arrivato con sette titoli mondiali in dote ha stracciato tutti. Antipasto delizioso, peccato che il giorno dopo la frittata si sia incollata al soffitto nel gesto di girarla.In gara, a neppure cinque secondi dal via, i due super galli si sono scontrati fra loro, di fatto autoeliminandosi. Levati i calici, ma di torno e in fretta, a casa Elkann si saranno detti: «Amen, può capitare. Ci rifaremo a Suzuka». Sbadigli, un rapido ripasso del Manifesto di Ventotene per risollevare il morale e una sbirciatina ai social dove qualche buontempone già cominciava a postare un trattore dipinto di rosso in asfittico avanzamento. Neanche il tempo di metabolizzare il quinto e il sesto posto, ed ecco la notizia che conduce alle lacrime: la Ferrari di Leclerc squalificata perché un chilo troppo leggera e quella di Hamilton depennata per via di un pattino fuori dai parametri regolamentari. Mai nella storia due Ferrari erano state cacciate così dalla classifica: zero punti e le guance rosso-vergogna. A modo suo anche questo è un record, con il Drake e l’Avvocato che si rivoltano nella tomba. È del tutto evidente che Elkann non poteva andare sul circuito con la bindella e la stadera. Ma gli ingegneri che hanno commesso i misfatti li ha ingaggiati lui. Non per niente il team principal (il capo comitiva) Frederic Vasseur ha subito messo le mani avanti: «Non volevamo ottenere alcun vantaggio. Impareremo a non commettere più questi errori. Dobbiamo restare calmi». Lo sfacelo arriva dopo una frase urticante del papà di Hamilton, Anthony, che alla vigilia aveva allegramente sibilato: «Siamo in Ferrari per ricostruire il team». Sembrava un insulto, forse è un dato di fatto.Poiché secondo la legge di Murphy «se qualcosa può andar male, va male», la giornata era cominciata con il licenziamento in tronco (e in contumacia perché stava in Portogallo) dell’allenatore della Juventus Thiago Motta, colpevole e capro espiatorio della fallimentare stagione bianconera. Con in rapida successione: eliminazione dalla Champions, eliminazione dalla Coppa Italia, eliminazione dalla lotta scudetto, squadra allo sbando con lo spogliatoio in rottura prolungata contro il tecnico. «Andremo avanti con lui», aveva tranquillizzato qualche giorno fa il direttore generale Cristiano Giuntoli, che nel giugno scorso lo aveva presentato come un messia. Il progetto è fallito dopo soli otto mesi; si torna al medico di famiglia, Igor Tudor, con contratto di tre mesi come un Sergio Conceiçao qualunque.Ora la corazzata inclinata sul fianco è quinta. Per provare a farla arrivare quarta (zona Champions) e avere una prospettiva accettabile, dopo i 150 milioni già scuciti per ingaggiare gli imbarazzanti Teun Koopmeiners, Douglas Luiz e Nico Gonzalez bisognerà spenderne altri 130. Serviranno a riscattare i prestiti di Flavio Conceiçao, Pierre Kalulu, Renato Veiga, Kolo Muani. Senza contare il deprezzamento di Dusan Vlahovic, acquistato per 91 milioni, con uno stipendio di 12 all’anno e una resa a livello di Patrick Cutrone. Quando gli esperti di bilanci hanno presentato i numeri a Elkann si sono sentiti rispondere: «Sarebbe assurdo un altro aumento di capitale». Sarebbe il quarto in cinque anni per un totale di un miliardino, mentre a vincere sono gli altri. Anche qui, nessuno pretende che il divino Jaki con la collezione di pullover rosa confetto si presenti alla Continassa per imporre una serie di flessioni punitive da marines all’armata Brancaleone. Ma Giuntoli lo ha scelto lui e gli ha dato con entusiasmo le chiavi della boutique. Risultato dopo due anni: un surplus di depressione che accomuna le curve dello Stadium alle linee di produzione di Mirafiori, Cassino e Pomigliano. Tanto valeva lasciare in mano Ferrari e Juventus a Carlos Tavares. Avrebbe risparmiato sulle stock options.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)