2018-09-10
2025-12-09
Milano, i pm contro i giudici: «Nessun alibi, la Scia era illegittima e lo sapevano»
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Nel ricorso al riesame la procura contesta la buona fede riconosciuta dal gip: norme e giurisprudenza erano già univoche e il Comune aveva segnalato la “totale inidoneità” dell'intervento. Citato anche il precedente di via Fauchè e le altre operazioni finite sotto inchiesta.
La vicenda del cantiere di viale Papiniano 48 diventa uno dei casi più delicati dell’urbanistica milanese. La Procura ha impugnato la decisione con cui la gip Sonia Mancini aveva disposto il dissequestro dell’area. Secondo il giudice, gli indagati sarebbero stati in buona fede, anche a causa dei comportamenti del Comune. Per i pm, invece, quella buona fede non può essere riconosciuta.
Al centro dell’inchiesta c’è la demolizione di un edificio commerciale e la costruzione di una torre residenziale di otto piani.
La società aveva avviato i lavori con una Scia alternativa al permesso di costruire, qualificando l’intervento come ristrutturazione edilizia. Per la Procura si tratta invece di una nuova costruzione, con dimensioni che superano i limiti nazionali previsti dalla legge urbanistica. Un intervento che richiede un piano attuativo. La Scia, sostiene l’accusa, è “totalmente inidonea” a legittimare i lavori.
Il gip aveva riconosciuto l’illegittimità dell’intervento. Ma aveva però ritenuto inevitabile l’errore degli indagati, attribuendo peso alle prassi del Comune. Prassi in cui Palazzo Marino non richiedeva il piano attuativo sopra le soglie stabilite dallo strumento urbanistico, e non in base ai limiti nazionali di altezza e volumetria. Una linea poi formalizzata nella circolare del luglio 2023 e successivamente sospesa.
Le pm Luisa Baima Bollone e Giovanna Cavalleri ribaltano questa lettura. Nel ricorso sottolineano che un costruttore o un progettista è un “operatore economico esperto”. Una figura che non può invocare la propria ignoranza della legge, soprattutto quando da quella ignoranza derivano “vantaggi economici lucrabili”. Secondo l’accusa, anche davanti a un semplice dubbio l’imprenditore deve fermare i cantieri per “conseguire la corretta conoscenza” delle regole. Non solo. Per la Procura la buona fede è possibile solo di fronte a un vero contrasto giurisprudenziale. Una situazione che, secondo gli inquirenti, non esiste nel caso di Papiniano.
Nel documento gli uffici comunali assumono un ruolo importante. La Procura riconosce che un’autorità amministrativa può ingenerare un “convincimento scusabile”. Ma non quando circolari e determine risultano in contrasto con la gerarchia delle fonti.
La legge statale prevale. Lo stesso Comune, tra ottobre e novembre 2025, avrebbe chiarito agli indagati la necessità di un piano attuativo. In una nota del 7 ottobre Palazzo Marino parla di “totale inidoneità” della SCIA a legittimare l’intervento.
Da quel momento, scrive la Procura, gli indagati non potevano più dirsi ignari. Il caso coinvolge l’architetto Mauro Colombo, progettista e direttore dei lavori. Nel ricorso i pm ricordano che Colombo è già imputato in un altro procedimento per fatti ritenuti “del tutto sovrapponibili”. Si tratta del cantiere di via Fauchè, il cosiddetto “palazzo nel cortile”, dove Tar e Consiglio di Stato hanno escluso che una demolizione-ricostruzione così radicale potesse essere qualificata come ristrutturazione.
In quel processo, lo scorso maggio, il Tribunale penale aveva già respinto l’argomentazione della buona fede avanzata dalle difese.
Per la Procura questa circostanza rende “a maggior ragione” non credibile la tesi della buona fede nel caso di Papiniano. Nelle pagine dell’appello ritorna anche il tema delle lottizzazioni abusive. La Procura richiama i sequestri già confermati nei casi di via Crescenzago 105 e via Cancano 5. Vicende che, secondo i magistrati, presentano analogie nelle modalità di qualificazione degli interventi e nei profili giuridici. Il quadro complessivo, sostengono gli inquirenti, mostra un uso improprio della SCIA per interventi che avrebbero richiesto pianificazione attuativa.
Il ricorso insiste su un principio: in caso di possibile violazione della norma, l’imprenditore ha l’obbligo fermarsi. Un “atteggiamento di cautela” che, secondo la Procura, nel cantiere di Papiniano non c’è stato. Da qui la richiesta al Tribunale del Riesame di ripristinare il sequestro. La decisione è attesa nelle prossime settimane. La vicenda alimenta il dibattito sul rapporto tra norme nazionali e prassi locali. E riporta al centro la domanda di fondo: chi costruisce può davvero invocare la buona fede quando la legge e la giurisprudenza indicano una strada diversa?
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Maurizio Landini (Ansa)
Il sindacalista Uilm aggredito dalla Fiom: «Se hai ruoli di responsabilità devi dare l’esempio». Ma il leader Cgil pensa solo a pubblicizzare lo sciopero del 12.
Non sono bastati quattro giorni, una conferenza stampa dove si parlava di emergenza salariale e l’ennesima intervista alla «Stampa» per scusarsi. Maurizio Landini non ne vuol sapere di prendere le distanze dall’aggressione denunciata dai vertici della Uil e dalle vittime, i sindacalisti presi a calci e pugni da pseudo colleghi della Fiom venerdì a Genova. E anche nella paginata «concessa» dalla testata del gruppo Gedi, il segretario che parla di «rivolta sociale» mentre scende in piazza per la pace a Kiev e in Medio Oriente ha detto la sua su tutto, tranne che sui fatti di cronaca che hanno visto come protagonista la Cgil.
Tema cruciale: la nuova puntata di una saga che ormai è venuta a noia anche ai diretti interessati, lo sciopero generale contro il governo di centrodestra. Appuntamento per il 12 dicembre. La manovra è una scusa che viene buona per dire peste e corna di Meloni & C. Si parla di drenaggio fiscale (sale la pressione fiscale a causa dell’inflazione in presenza di aliquote crescenti), pensioni, precari, sanità e patrimoniale. Insomma, un bel pot-pourri di tutti gli ever green della casa. E poco importa al segretario leader dei talk show che alcuni dei suoi temi caldi siano stati ampiamente confutati. Basta ripeterli e alle orecchie di chi ama sentirli diventano veri.
Il problema è che una buona parte del Paese avrebbe voluto sentire anche parole diverse da Landini. Poche, ma decise. Sarebbe bastato chiedere scusa per i fattacci di venerdì mattina. Per l’inseguimento durato un chilometro di una ventina di sindacalisti con le felpe della Fiom che hanno poi menato almeno due colleghi della Uilm, colpevoli di non aver partecipato a un altro sciopero, quello dei metalmeccanici che aveva come epicentro l’ex Ilva. Insomma, il minimo sindacale. E invece niente.
Le scuse se le sarebbe aspettate anche il segretario generale della Uilm ligure, Luigi Pinasco (dimesso con 10 giorni di prognosi dopo i colpi ricevuti sul capo) che nell’aggressione di venerdì scorso le ha prese insieme al segretario organizzativo Claudio Cabras (dimesso poco dopo con 7 giorni di prognosi, in seguito ai colpi ricevuti alla gamba). «Sono amareggiato e deluso per le mancate scuse e la mancata presa di distanza del segretario della Cgil», evidenzia Pinasco alla Verità, «io sono pronto a fare qualsiasi battaglia per conservare anche un singolo posto di lavoro e non nutro astio verso i miei aggressori, ma credo che la violenza vada sempre condannata. E soprattutto che vada condannata da chi ha un ruolo di rappresentanza così importante. È un esempio che va dato».
Anche perché da qualcun altro le scuse sono arrivate. «Guardi», continua, «a livello locale i colleghi della Fiom che lavorano in altre fabbriche mi hanno mostrato la loro solidarietà e hanno evidenziato tutto il loro disappunto per quello che è successo all’assemblea dell’ex Ilva lo scorso venerdì mattina. Poi però nessuno ha intenzione di esporsi in modo ufficiale perché evidentemente teme ritorsioni». C’è un brutto clima a Genova e in tanti danno la colpa agli esponenti di Lotta Comunista che in alcuni stabilimenti locali fanno il bello e il cattivo tempo. E non da adesso.
«Devo essere sincero», prosegue, «qui la contrapposizione sul diverso modo di affrontare le battaglie in fabbrica è alta, ma mai avrei pensato che saremmo arrivati a questo livello. Lotta Comunista? Io non so che tessere politiche abbiano in tasca i lavoratori, ma di sicuro certi circoli e movimenti in città sono ben radicati. E proprio per questo un invito alla calma in più non farebbe male».
Così come gesti di distensione servirebbero anche dalla politica locale. Non è un mistero, per esempio, che nella manifestazione dei metalmeccanici di giovedì, quella che ha visto come protagoniste Cgil e Cisl, ma non la Uil, l’intervento rassicurante del governatore Marco Bucci abbia avuto un effetto calmante.
«Non lo so», continua Pinasco, «credo però che quella dell’ex Ilva sia una questione molto complessa e che possa trovare delle soluzioni idonee solo a livello nazionale. Nulla contro il sindaco Salis e il governatore Bucci, ci mancherebbe, ma ci andrei piano con le promesse di salvataggio per Genova perché se poi non si avverano si rischia di accendere gli animi ancor di più. E in questo momento non ne sentiamo il bisogno».
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Ecco #DimmiLaVerità del 9 dicembre 2025. Il deputato del Movimento 5 stelle Marco Pellegrini ci spiega perché secondo lui le randellate di Trump all'Ue sono meritate.
Marco Scatarzi in foto piccola (Ansa)
Il direttore di Passaggio al bosco Marco Scatarzi rompe il silenzio: «A “Più libri, più liberi” abbiamo venduto tantissimo. I saggi definiti fascisti? Abbiamo 300 testi di vari autori e tendenze: forniamo, come fanno altri a sinistra, un punto di vista radicale ma del tutto legittimo».
Dopo giorni di polemiche, attacchi, insulti e qualche aggressione verbale (ma anche tanti libri venduti, enorme pubblicità e non poche soddisfazioni), Passaggio al bosco - che per tutta la durata della tempesta ha mantenuto un silenzio pressoché totale - si concede giusto qualche punzecchiatura e si leva un paio di sassolini delle scarpe, con eleganza. «Abbiamo assistito», dice la casa editrice in una nota, «allo psicodramma collettivo di una sinistra in fase terminale: proposte di censura in nome della libertà, diserzioni fisiche con gli stand aperti e stucchevoli proteste cadute nel vuoto. Hanno fatto tutto da soli: si sono indignati, poi organizzati e infine divisi. Il risultato è lampante: il cortocircuito di un’egemonia culturale che si è ridotta al solo business, che si definisce per antitesi, che innalza recinti morali, che elargisce scomuniche preventive e che pretende di stabilire arbitrariamente che cosa sia lecito scrivere, leggere e persino pensare».
Marco Scatarzi, dal 2017 direttore di Passaggio al bosco, è stanco ma tranquillo, di sicuro soddisfatto nonostante i momenti di tensione. Con La Verità ripercorre i passaggi che hanno portato il suo marchio ad avere uno stand alla fiera romana «Più libri più liberi». «Da anni facevamo domanda di partecipazione con la regolare modulistica e per anni siamo stati sempre avvisati che gli spazi non erano disponibili», spiega. «Anche quest’anno in realtà avevamo ricevuto l’email che appunto ci avvisava della mancanza di spazi disponibili, poi però siamo stati ripescati a settembre e ci è stato concesso uno stand».
Come mai?
«Perché lo scorso anno, in polemica con l’organizzazione, molte case editrici di sinistra avevano disdetto la prenotazione e quindi hanno liberato spazi».
Dunque esiste una polemica interna fra la direzione della fiera e le case editrici?
«Mi sembra di aver colto questa polemica che si protrae da anni, per le più svariate motivazioni che ogni anno cambiano. Quest’anno è stata Passaggio al bosco l’oggetto del contendere, ma una dialettica accesa esiste da tempo».
Che cosa vi è stato richiesto per partecipare?
«C’è un regolamento da sottoscrivere con varie clausole, che per altro molti hanno citato nei giorni scorsi. Si chiede il rispetto della Costituzione, dei diritti umani... E poi ovviamente c’è la quota di pagamento che attesta appunto l’affitto dello spazio».
Fate richiesta da anni. Nessuno vi aveva mai detto nulla?
«No, assolutamente no».
Poi è arrivato l’appello, la richiesta di cacciarvi da parte di un centinaio tra autori e case editrici. Come ne siete venuti a conoscenza?
«Lo abbiamo appreso dai social network dopo che l’onorevole Fiano, con un post, ha chiesto il nostro allontanamento dalla fiera. Quel post ha generato nei giorni seguenti l’appello di Zerocalcare e degli altri intellettuali, se così possiamo definirli, che appunto chiedevano di mandarci via».
Vi hanno accusato di essere fascisti e neonazisti. Cosa rispondete?
«Che abbiamo un catalogo vastissimo, con parecchie di collane, 300 titoli e un pluriverso di autori che spaziano geograficamente in tutto il mondo e in tutte le anime della cosiddetta “destra”. Abbiamo un orientamento identitario e cerchiamo di rappresentare le varie anime del pensiero della destra, dando corpo ad un approfondimento che abbraccia storia, filosofia, società, geopolitica, sport, viaggi e molto altro. Ovviamente, come da prassi, il tutto viene sistematicamente strumentalizzato attraverso i soliti spauracchi caricaturali: ciò che disturba, senza dubbio, è la diffusione di un pensiero non allineato, soprattutto sui temi di stretta attualità. Le voci libere dal coro unanime del progressismo, si sa, sono sempre oggetto di demonizzazione».
Vi hanno rimproverato di aver pubblicato Léon Degrelle.
«Rispondo citando ciò che Roberto Saviano ha detto a Più libri più liberi, quando ha risposto alle polemiche alzate dai firmatari della petizione: tutti i libri hanno il diritto di essere letti e di esistere. Non abbiamo bisogno di badanti ideologiche… Ebbene, noi cerchiamo di offrire uno sguardo diverso, un punto di vista anche radicale, perché riteniamo che sia importante conoscere tutto. E non ci sentiamo di dover prendere lezioni di morale da chi magari nei propri cataloghi - del tutto legittimamente, perché io per primo li leggo - ha libri altrettanto radicali, benché di orientamento opposto a quello che viene rimproverato a noi».
Come è stata la permanenza alla fiera?
«Ci sono state molte contestazioni, diverse aggressioni verbali, cortei improvvisati, cori con “Bella ciao” e tentativi di boicottaggio che hanno cercato di minare la nostra partecipazione. Non ce ne lamentiamo: abbiamo risposto con la forza tranquilla del nostro sorriso, svolgendo il nostro lavoro».
E i vertici della fiera? È venuto qualcuno a parlare con voi?
«Sì, naturalmente. Hanno apprezzato il nostro profilo asciutto e professionale. Qualcuno ha scambiato la fiera per un centro sociale, ma non ci siamo mai fatti intimorire o provocare. Abbiamo evitato in ogni modo possibile di alimentare la polemica e non ci siamo prestati alla ribalta mediatica provocazioni anzi le abbiamo anche accolte col sorriso e non abbiamo neanche cercato la ribalta mediatica: il nostro - appunto - è un lavoro editoriale di approfondimento. Può non piacere, ma ha diritto di esprimersi».
Zerocalcare dice che avete organizzato un’operazione politica, che siete organici al partito di governo.
«Ovviamente non esiste alcuna operazione politica: esiste soltanto una casa editrice che partecipa ad una fiera dedicata ai libri. L’operazione politica - semmai - è quella della sinistra radicale che si organizza per montare una polemica, cercando di censurare chi la pensa diversamente. Hanno montato una polemica politica stucchevole, che molti hanno condannato anche da sinistra. Peraltro, sottolineo ancora una volta che Passaggio al bosco contiene in sé un pluriverso enorme di autori, di esperienze, di persone e di realtà: alcune sono impegnate politicamente, molte altre no. Di certo, non può essere ritenuta organica ad alcunché, se non alla propria attività di divulgazione culturale. Ma poi, con quale coraggio una sinistra radicale che fa sistema da anni, spesso con la logica della “cupola”, si permette di avanzare simili obiezioni?»
Chiederete di partecipare a Più libri più liberi anche l’anno prossimo?
«Certamente. Chiederemo di partecipare - come quest’anno - ad un festival che ospita gli editori. Saremo felici di esserci con i nostri testi, con i nostri autori e con la nostra attività. Sicuramente, anche al di là delle contestazioni, quella appena conclusa è stata un’esperienza importante, in una fiera ben organizzata e molto bella. Avremmo piacere di ripeterla».
Avete venduto bene?
«Abbiamo venduto benissimo, terminando tutti i nostri libri. Per quattro volte siamo dovuti tornare a rifornirci in Toscana e il nostro è stato certamente uno degli stand più visitati della fiera. Il boicottaggio ha sortito l’effetto contrario: ci hanno contattato già centinaia di autori, di distributori, di traduttori, di agenti pubblicitari e di addetti ai lavori. Ogni tipo di figura operante nel campo dell’editoria non solo ci ha mostrato solidarietà, ma è venuta da noi a conoscerci e a proporci nuove collaborazioni. Quindi, se prima eravamo una casa editrice emergente, adesso abbiamo accesso ad un pubblico più ampio e a canali che ci permetteranno di arrivare là dove non eravamo mai arrivati».
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