2024-12-05
Édouard Berth, il socialista che denunciò il tradimento delle élite progressiste
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Quasi sconosciuto in Italia, il discepolo di Sorel è stato oggetto negli ultimi anni di alcune pubblicazioni che l’hanno riportato in auge.A differenza del suo illustre maestro, Georges Sorel, la figura di Édouard Berth è stata per anni ignota al grande pubblico italiano. Negli ultimi anni, tuttavia, un paio di pubblicazioni hanno squarciato il velo su questo interessante autore francese. Una è Édouard Berth e il sindacalismo rivoluzionario, saggio di Alain de Benoist uscito poco tempo fa per Edizioni sindacali. Qualche tempo prima, invece, erano state le edizioni Gog a pubblicare I crimini degli intellettuali, dello stesso Berth. Ma vediamo innanzitutto chi era costui.Nato nel 1875 a Jeumont, sulla frontiera belga, Berth è stato, come detto, il più illustre e fedele discepolo del teorico del sindacalismo rivoluzionario, Georges Sorel. Aspirava a un socialismo che creasse una «società dei produttori», secondo una visione eminentemente morale ed eroica. Pur traducendo dal tedesco diverse opere di Karl Kautsky e Karl Marx, si differenziava da quest’ultimo per il suo scetticismo verso la nozione di progresso. Dal 1909, Berth si avvicinò al movimento monarchico e fondò con Georges Valois i Cahiers du Cercle Proudhon, tentando di proporre una sintesi rivoluzionaria tra sindacalismo e corporativismo. In questa fase della sua parabola intellettuale, il teorico del nazionalismo Maurras e Sorel si completano come Apollo e Dioniso: «L’Action française che, con Maurras, è una incarnazione nuova dello spirito apollineo, grazie alla sua collusione con il sindacalismo che, con Sorel, rappresenta lo spirito dionisiaco, potrà generare un nuovo grande secolo, uno di quei successi storici che, dopo di sé, lasciano il mondo a lungo abbagliato e come affascinato».Ma il flirt con Maurras dura poco. Nel 1917 Berth si entusiasma per la Rivoluzione d’ottobre, salvo cambiare rapidamente idea, vedendo nell’Urss una «società di termiti». Non passa tuttavia al fascismo, verso cui ha parole di fuoco, malgrado il fatto che storici come Zeev Sternhell vedano nell’esperienza dei Circoli Proudhon il primo laboratorio della sintesi tra destra e sinistra che poi genererà i fascismi. Infine aderisce al Partito comunista francese e muore nel 1939.Les méfaits des intellectuels, pubblicato nel 1914, rappresenta una vera e propria invettiva di Berth contro le élite culturali, soprattutto di sinistra, con toni populisti e comunitaristi che non stonerebbero in qualche editoriale di oggi sulla crisi dell’intellighenzia autoreferenziale e staccata dalla vita concreta delle masse. Il socialismo proudhoniano dell’autore vi emerge potentemente, ad esempio nella sua preferenza per le classi contadine rispetto a quelle operaie. Scrive Berth: «In effetti si potrebbe dire che l'operaio, in quanto creazione puramente urbana, concepisce la vita su un piano molto più vicino al tipo borghese che non al tipo contadino. In fondo questo è quanto di essenziale c'è nell’idea del borghese - nel tipo di vita borghese: una vita che non è saldamente raccolta e concentrata attorno al lavoro e alla produzione; in essa, piuttosto, il lavoro viene considerato una sfacchinata avvilente, ed è meglio liberarsene».Dato che siamo nel 1914, si avverte l’eco della guerra. Lo scoppio del primo conflitto mondiale, come noto, spaccò il socialismo in due. Berth ha parole incendiarie contro la borghesia intellettuale di sinistra che non capisce la guerra e, soprattutto, non capisce il mito che sta dietro alla guerra, che invece è istintivamente colto dalle masse popolari: «Il popolo si sente, si percepisce come un essere collettivo, come un essere sociale. Per lui, come per Proudhon, l'essere è il gruppo. Il gruppo, non la folla o il gregge, la massa gregaria: poiché non si trovano forse da nessuna altra parte altrettanti tipi individuali originali, dalla forte personalità, dai tratti accentuati e vigorosi, se non tra il popolo. Vedete il popolo correre quando passa un reggimento, correre alle sfilate, alle parate militari: delle menti radicali deplorano questo gusto popolare per l'esercito, lo interpretano come una manifestazione di servilismo, di feticismo, di superstizione: l'eterna sciocchezza delle folle. Queste menti illuminate dimostrano in questo modo che non capiscono nulla dell'animo popolare: sono dei decadenti, persone profondamente asociali, che hanno perso nel culto del loro ego e del loro profondo genio ogni senso della società, e di conseguenza ogni comprensione veramente spirituale della vita».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.