2019-11-15
Edoardo Modenese: «Sovrappongo colori e tessuti. La mia arte si tocca con gli occhi»
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Il cognome è di quelli impegnativi nel mondo della moda. Dire Modenese significa citare, prima di tutti, il grande Beppe, presidente onorario della Camera Nazionale della Moda, «primo ministro della moda italiana», nonché indiscusso arbiter elegantiarum con il grande merito di aver dato vita, alla fine degli anni Settanta, alle passerelle del prêt-à-porter facendo diventare Milano la capitale della moda.E nel «ramo» fashion, e non solo, ci sono anche i suoi due nipoti, Rinaldo e Alessandro, che da Beppe hanno ereditato la capacità di creare eventi e il difficile compito della comunicazione di moda. E ora, sul palcoscenico, è salito Edoardo Modenese, 26 anni, figlio di Rinaldo che dagli zii, e dal papà, ha già imparato, stile, portamento, creatività e voglia di emergere. Che non si estrinsecano nella moda bensì nell'arte. per la prima volta ha presentato a Milano nella galleria Amy-d Arte Spazio di Anna d'Ambrosio le proprie opere con il solo show «Act I: Manifesto», una serie di lavori basati su una nuova e personale interpretazione della bi e tridimensionalità. Da quanto tempo ha iniziato questo percorso? «Al liceo, la materia che ho sempre prediletto è stata l'arte, e negli ultimi due anni, già allora iniziai ad esporre dei miei lavori. Ma crescendo ti senti dire che la strada dell'artista non è una delle migliori da intraprendere e ti fai condizionare, quindi pensai ad incanalare la mia creatività in un ambito più commerciale. Sono andato a Londra per un corso per una specialistica dove le opzioni erano design di scarpe o design industriale e decido per il secondo. Ma capisco da subito che quella non sarebbe stata la mia strada e nei giorni più bui riprendo a fare quadri. E, guardandomi indietro, direi che quelle opere sono le più belle e significative. Mi sono concentrato sugli studi e ho terminato per conseguire la laurea in Design all'Università Central Saint Martins ma una volta finito ho capito quale fosse il mio precorso più vero. Finiti gli studi ho iniziato a lavorare per un'azienda d'interni olandese dove ho ripreso a esporre i miei quadri. Rientrato in Italia ho continuato il mio progetto fino alla mostra attuale». Il significato del titolo? «Act I è l'inizio vero, primo atto di questo percorso e Manifesto perché questa tecnica di sovrapposizione di tessuti su geometrie e sagome tridimensionali, diventata mia, è il mio manifesto, la mia identità artistica». È facile immaginare che in casa abbia sempre sentito parlare di moda. Eppure, altra è stata la sua scelta. «I miei genitori, di moda, hanno parlato sempre e solo della parte business piuttosto che quella creativa, quindi non l'ho mai vissuta in modo diretto ed è un mondo dal quale sono abbastanza lontano. Però mi sono ritrovato a usare tessuti e anche lì l'idea della percezione fa parte dell'opera».Dove trova i tessuti? «La ricerca è iniziata a Londra ed è stata lunga e accurata per cercare i materiali giusti. Andavo in giro per negozietti soprattutto in questi posti gestiti da indiani. Cercavo i colori che mi piacevano di più e le cromie che mi attiravano. I miei lavori sono tutti pezzi unici proprio perché le stoffe che trovo personalmente sono uniche a loro volta». Qual è la tecnica che usa? «Creo una struttura rigida, che rappresenta lo scheletro, accuratamente assemblata e verniciata di bianco perché è una tinta che fa risaltare il colore poi il tessuto, come una pelle, va a ricoprire queste sagome tridimensionali. Il tessuto prende la forma della sagoma e si creano giochi di luci e ombre». Ispirazione? «Sono visioni. E non avendo studiato storia dell'arte ciò che creo nasce proprio da sensazioni istintive. Creo le mie opere a seconda del mio stato emotivo. Forme geometriche che in questo momento particolare mi fanno stare bene, mi danno un senso di pace e serenità e sono opere astratte ma evocative. Sono forme prese dalla natura, guardo un cielo o un tramonto e quello è per me la bellezza più pura».
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