2020-08-09
Ecco perché le Ong vanno indagate per immigrazione clandestina
Lo stato di necessità è provocato dalla presenza dei taxi del mare a pochi chilometri dalle coste. E sui porti sicuri bisogna approfondire bene qual è il reale pericolo. L'unico deterrente possibile è il sequestro degli scafiSe il nostro non fosse un paese «a legalità provvisoria ed eventuale» – come una volta ebbe a definirlo, se mal non ricordo, Indro Montanelli – le navi delle ong avrebbero smesso da un pezzo di scorrazzare su e giù per il Mediterraneo alla ricerca di migranti (presunti naufraghi) da portare poi ad ogni costo in Italia. La loro attività, infatti, sarebbe stata (e sarebbe) da considerare pienamente rientrante nelle previsioni dell'articolo 12 del decreto legislativo 286/1998 secondo il quale costituisce grave reato la condotta di chi «promuove, dirige, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato o di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente». La ragione apparente per la quale questa norma non viene applicata risiede nel fatto che lo stesso articolo 12, per quanto qui interessa, fa salva l'ipotesi che sia configurabile la causa di giustificazione costituita dallo «stato di necessità» previsto dall'articolo 54 del codice penale, per il quale non è punibile chi abbia commesso un fatto astrattamente qualificabile come reato quando vi sia stato costretto dalla «necessità», appunto, «di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona»; pericolo che, nel caso dei migranti, sarebbe, ovviamente, quello di perdere la vita in mare, in assenza di un tempestivo soccorso che li salvi dal naufragio delle imbarcazioni con le quali si sono allontanati dalla costa. A smontare, tuttavia, questa costruzione basterebbe ricordare che, secondo lo stesso articolo 54 del codice penale, la causa di giustificazione opera soltanto a condizione che non sia stato lo stesso autore del fatto – reato a dare volontariamente causa al pericolo. Ora, è di assoluta evidenza, sulla base di una ormai pluriennale esperienza, che sono invece proprio le ong a creare il pericolo dal quale poi affermano di voler salvare i migranti, con l'ostentazione della presenza delle loro navi a breve distanza dalla costa africana al dichiarato scopo di raccogliere i futuri «naufraghi», così inducendo volontariamente i migranti stessi a fare ciò che altrimenti non farebbero (e, in realtà, non fanno quando quella presenza non c'è): vale a dire avventurarsi in mare con imbarcazioni (gommoni, barconi e simili) chiaramente non in grado di effettuare la traversata del Mediterraneo e quindi destinati a sicuro naufragio. Ed è, poi, altrettanto evidente che, non potendo, ovviamente, costituire mai reato il fatto in sé di salvare qualcuno che si trova in pericolo di vita, quale che sia l'origine di tale pericolo, ma costituendo invece reato il portarlo, una volta salvato, in un paese al quale egli non abbia titolo per accedere, una tale condotta non può essere giustificata dall'esistenza di un pericolo che, proprio per l'avvenuta effettuazione del salvataggio, è ormai venuto meno. A questo punto si sostiene però, com'è noto, che la giustificazione deriverebbe dal fatto che i porti africani più vicini, a cominciare da quello di Tripoli, nei quali i migranti salvati dovrebbero, di regola, essere condotti, non sarebbero da considerare «sicuri», per cui sarebbe giocoforza condurli ad un porto europeo che, il più delle volte, poi, finisce per essere un porto italiano. In questo modo si fa quindi rientrare in ballo, sotto diverso profilo, lo stesso articolo 54 del codice penale, dal momento che il ragionamento si fonda sul presupposto che i porti non sicuri sarebbero tali a causa del pericolo che ivi i migranti correrebbero per la loro vita, la loro incolumità e la loro libertà personale. Ma, anche ad ammettere che ciò risponda al vero (e vi sarebbe, in proposito, molto da discutere) rimane comunque il fatto che il secondo, preteso pericolo mai si potrebbe profilare in assenza del primo, per cui, una volta dimostrato, come si è visto, che questo sia stato frutto della condotta volontariamente posta in essere dalle ong, la punibilità per il reato conseguentemente configurabile di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina non potrebbe più in alcun modo essere esclusa. Se così è, dunque, nei confronti di tutte le ong si sarebbero dovuti instaurare d'ufficio procedimenti penali per il suddetto reato, con conseguente applicazione del sequestro preventivo delle navi, ai sensi dell'articolo 321 del codice di procedura penale, sia per impedire quella che altrimenti sarebbe stata, secondo le conclamate intenzioni delle stesse ong, la reiterazione dell'illecito, sia per evitare il rischio che le navi sfuggissero alla confisca, prevista dalla legge come obbligatoria in caso di condanna. Perché ciò non è avvenuto, fatta eccezione per alcuni, sporadici casi del cui esito nulla si è più saputo e nei quali, comunque, il sequestro preventivo (unica misura efficace per stroncare il fenomeno) non è stato ordinato? Azzardiamo una risposta. Vuoi vedere che la colpa è stata di Matteo Salvini che, con le sue innumerevoli malefatte, ha costretto le procure della Repubblica a dedicare soltanto ad esse le scarse forze di cui potevano disporre ed a tralasciare, quindi, di occuparsi di altri reati?
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Flaminia Camilletti