
Il 5 novembre la conduttrice Rai ha presentato querela contro un uomo che si spaccia come suo fidanzato e la insegue ovunque. Tutte le prove nel verbale che «La Verità» ha avuto in esclusiva. Silenzio dal Me too: l'ex di Matteo Salvini non ha diritto alla solidarietà.Appostamenti, imboscate, pacchi sospetti. C'è questo e altro ancora nella denuncia presentata da Elisa Isoardi contro il suo presunto (per la legge) stalker. Spaventata dalle continue avance e minacce, fattesi ancora più insistenti negli ultimi tempi, lunedì 5 novembre 2018 la conduttrice di La prova del cuoco si è recata al commissariato della Polizia di Stato di Porta Pia, a Roma, per sporgere querela contro un uomo da lei ben identificato. Nel verbale di querela, che La Verità ha ottenuto in esclusiva, vengono infatti indicate anche le generalità del tizio che la perseguiterebbe.Dal 2008 - rivela Isoardi nella denuncia - «ho ricevuto presso la redazione» di Uno Mattina a Saxa Rubra «dei plichi contenenti lettere contenenti equazioni matematiche e astrologiche che avrebbero dovuto dimostrare la necessità che io e il suddetto signor (omissis) cominciassimo una relazione». Inoltre, aggiunge la conduttrice «ho ricevuto, sempre dallo stesso soggetto, mazzi di fiori molto costosi e regali anche di una certa importanza». Poi, «dopo aver cambiato la sede della redazione presso la Dear, quest'uomo ha continuato a seguirmi insistentemente, con le medesime modalità e aumentando la frequenza della corrispondenza. Inizialmente ho ritirato la corrispondenza e i regali personalmente e l'ho anche visionata». Successivamente, però, «fortemente infastidita, ho delegato la redazione».Un episodio, in particolare, è risultato davvero angosciante per Isoardi. Risale al 4 ottobre 2018, quindi a poche settimane fa. «Mi trovavo a Napoli, presso un negozio di Elisabetta Franchi, che mi fornisce gli abiti», quando «quest'uomo è entrato sostenendo che fosse il mio compagno e dicendo di trovarsi lì per acquistare dei regali da consegnarmi». Il presunto molestatore «si è anche provato degli abiti femminili. Le commesse lo hanno ripreso e mi hanno dato il video che vi consegno». Un video, questo, che La Verità ha potuto visionare e conferma le parole di Isoardi. Non pago, il 2 novembre, a pochi giorni dalla denuncia, l'uomo si è palesato anche davanti alla Dear con la pretesa di entrare negli studi. A quel punto le guardie giurate hanno avvisato la conduttrice. Che nella denuncia spiega: «Naturalmente ho negato il mio consenso e di concerto con le guardie giurate e la redazione abbiamo deciso di contattare il 112». Opportunamente, «per la mia incolumità, le guardie giurate mi hanno fatto uscire da un'uscita secondaria e da una di loro sono stata accompagnata fin sotto casa». Successivamente «sono stata contattata dagli operatori della Polizia», che «hanno compreso il mio stato d'ansia, mi hanno informato delle mie facoltà di legge e mi hanno invitato a presentare denuncia-querela».L'escalation dei fatti, dunque, spiega perché Isoardi ha atteso prima di denunciare. Mentre in una prima fase si limitava a spedire plichi e regali, nelle ultime settimane il presunto stalker si è spinto ben oltre, fino a cercare l'incontro fisico con la conduttrice. Che spiega: in seguito a «ciò che è accaduto negli ultimi giorni» e «dopo l'intervento della Polizia, ho iniziato a comprendere che il mio stato d'ansia è notevolmente aumentato», tanto è vero che «ieri sera (il 4 novembre, giorno antecedente alla denuncia, ndr), ho notato la presenza di un'auto Audi targata (omissis) nei pressi del mio domicilio e sono stata presa dal panico e timore per la mia incolumità», pensando si trattasse del suo presunto persecutore. «Ho quindi ricontattato la Polizia. Gli operanti mi hanno poi detto che si trattava di alcuni paparazzi, con cui talvolta ho problemi».Isoardi aggiunge poi «di aver assunto una guardia privata per la mia tutela personale», pur «conducendo una vita pressoché normale nonostante il mio lavoro nel mondo dello spettacolo», poiché «temo che i comportamenti del signor (omissis) possano proseguire e sfociare in atti contro di me. Quindi vivo costantemente uno stato di timore per ciò che può accadermi e uno stato d'ansia continua». Alla denuncia sono immediatamente seguiti gli accertamenti della Polizia. I quali, tuttavia, non hanno comunque sortito effetti sul presunto stalker. Il giorno successivo, martedì 6 novembre, stando a quanto scoperto e verificato da La Verità, alla sede Dear della Rai si è reso necessario l'intervento degli artificieri. Alla reception, infatti, è giunto un pacco indirizzato a Elisa Isoardi. Quando le guardie giurate in servizio lo hanno passato ai raggi X, il metal detector ha cominciato a suonare all'impazzata. Allarmati, gli agenti hanno richiesto l'intervento delle forze dell'ordine specializzate. Le quali, aperto il plico, hanno scoperto il suo contenuto: un anello di fidanzamento di grande valore, accompagnato dalla firma del presunto stalker.Infine, due annotazioni. La prima: in alcune interviste la conduttrice di Rai 1 ha rivelato l'esistenza del presunto persecutore. Seconda annotazione: siamo in tempo di Me too, il movimento di stampo femminista che difende le donne a prescindere, a volte, dal buonsenso. Domanda: perché nessun personaggio di peso, femminista o meno, ha finora sentito l'esigenza di esprimere la sua solidarietà a Isoardi? Risposta: perché fino a pochi giorni fa era la compagna del ministro Matteo Salvini. Va da sé: non è una risposta confortante. Le donne vanno difese a prescindere da come la si pensa politicamente. A maggior ragione quando sul presunto persecutore gravano prove che appaiono schiaccianti.
Anna Falchi (Ansa)
La conduttrice dei «Fatti vostri»: «L’ho sdoganato perché è un complimento spontaneo. Piaghe come stalking e body shaming sono ben altra cosa. Oggi c’è un perbenismo un po’ forzato e gli uomini stanno sulle difensive».
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Il capo del Consorzio, che celebra i 50 anni di attività, racconta i segreti di questo alimento, che può essere dolce o piccante.
Daniela Palazzoli, ritratto di Alberto Burri
Scomparsa il 12 ottobre scorso, allieva di Anna Maria Brizio e direttrice di Brera negli anni Ottanta, fu tra le prime a riconoscere nella fotografia un linguaggio artistico maturo. Tra mostre, riviste e didattica, costruì un pensiero critico fondato sul dialogo e sull’intelligenza delle immagini. L’eredità oggi vive anche nel lavoro del figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e presidente Angamc.
C’è una frase che Daniela Palazzoli amava ripetere: «Una mostra ha un senso che dura nel tempo, che crea adepti, un interesse, un pubblico. Alla base c’è una stima reciproca. Senza quella non esiste una mostra.» È una dichiarazione semplice, ma racchiude l’essenza di un pensiero critico e curatoriale che, dagli anni Sessanta fino ai primi Duemila, ha inciso profondamente nel modo italiano di intendere l’arte.
Scomparsa il 12 ottobre del 2025, storica dell’arte, curatrice, teorica, docente e direttrice dell’Accademia di Brera, Palazzoli è stata una figura-chiave dell’avanguardia critica italiana, capace di dare alla fotografia la dignità di linguaggio artistico autonomo quando ancora era relegata al margine dei musei e delle accademie. Una donna che ha attraversato cinquant’anni di arte contemporanea costruendo ponti tra discipline, artisti, generazioni, in un continuo esercizio di intelligenza e di visione.
Le origini: l’arte come destino di famiglia
Nata a Milano nel 1940, Daniela Palazzoli cresce in un ambiente dove l’arte non è un accidente, ma un linguaggio quotidiano. Suo padre, Peppino Palazzoli, fondatore nel 1957 della Galleria Blu, è uno dei galleristi che più precocemente hanno colto la portata delle avanguardie storiche e del nuovo informale. Da lui eredita la convinzione che l’arte debba essere una forma di pensiero, non di consumo.
Negli anni Cinquanta e Sessanta Milano è un laboratorio di idee. Palazzoli studia Storia dell’arte all’Università degli Studi di Milano con Anna Maria Brizio, allieva di Lionello Venturi, e si laurea su un tema che già rivela la direzione del suo sguardo: il Bauhaus, e il modo in cui la scuola tedesca ha unito arte, design e vita quotidiana. «Mi sembrava un’idea meravigliosa senza rinunciare all’arte», ricordava in un’intervista a Giorgina Bertolino per gli Amici Torinesi dell’Arte Contemporanea.
A ventun anni parte per la Germania per completare le ricerche, si confronta con Walter Gropius (che le scrive cinque lettere personali) e, tornata in Italia, viene notata da Vittorio Gregotti ed Ernesto Rogers, che la invitano a insegnare alla Facoltà di Architettura. A ventitré anni è già docente di Storia dell’Arte, prima donna in un ambiente dominato dagli uomini.
Gli anni torinesi e l’invenzione della mostra come linguaggio
Torino è il primo teatro della sua azione. Nel 1967 cura “Con temp l’azione”, una mostra che coinvolge tre gallerie — Il Punto, Christian Stein, Sperone — e che riunisce artisti come Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio. Una generazione che di lì a poco sarebbe stata definita “Arte Povera”.
Quella mostra è una dichiarazione di metodo: Palazzoli non si limita a selezionare opere, ma costruisce relazioni. «Si tratta di individuare gli interlocutori migliori, di convincerli a condividere la tua idea, di renderli complici», dirà più tardi. Con temp l’azione è l’inizio di un modo nuovo di intendere la curatela: non come organizzazione, ma come scrittura di un pensiero condiviso.
Nel 1973 realizza “Combattimento per un’immagine” al Palazzo Reale di Torino, un progetto che segna una svolta nel dibattito sulla fotografia. Accanto a Luigi Carluccio, Palazzoli costruisce un percorso che intreccia Man Ray, Duchamp e la fotografia d’autore, rivendicando per il medium una pari dignità artistica. È in quell’occasione che scrive: «La fotografia è nata adulta», una definizione destinata a diventare emblematica.
L’intelligenza delle immagini
Negli anni Settanta, Palazzoli si muove tra Milano e Torino, tra la curatela e la teoria. Fonda la rivista “BIT” (1967-68), che nel giro di pochi numeri raccoglie attorno a sé voci decisive — tra cui Germano Celant, Tommaso Trini, Gianni Diacono — diventando un laboratorio critico dell’Italia post-1968.
Nel 1972 cura la mostra “I denti del drago” e partecipa alla 36ª Biennale di Venezia, nella sezione Il libro come luogo di ricerca, accanto a Renato Barilli. È una stagione in cui il concetto di opera si allarga al libro, alla rivista, al linguaggio. «Ho sempre pensato che la mostra dovesse essere una forma di comunicazione autonoma», spiegava nel 2007 in Arte e Critica.
La sua riflessione sull’immagine — sviluppata nei volumi Fotografia, cinema, videotape (1976) e Il corpo scoperto. Il nudo in fotografia (1988) — è uno dei primi tentativi italiani di analizzare la fotografia come linguaggio del contemporaneo, non come disciplina ancillare.
Brera e l’impegno pedagogico
Negli anni Ottanta Palazzoli approda all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove sarà direttrice dal 1987 al 1992. Introduce un approccio didattico aperto, interdisciplinare, convinta che il compito dell’Accademia non sia formare artisti, ma cittadini consapevoli della funzione dell’immagine nel mondo. In quegli anni l’arte italiana vive la transizione verso la postmodernità: lei ne accompagna i mutamenti con una lucidità mai dogmatica.
Brera, per Palazzoli, è una palestra civile. Nelle sue aule si discute di semiotica, fotografia, comunicazione visiva. È in questo contesto che molti futuri curatori e critici — oggi figure di rilievo nelle istituzioni italiane — trovano nella sua lezione un modello di rigore e libertà.
Il sentimento del Duemila
Dalla fine degli anni Novanta al nuovo secolo, Palazzoli continua a curare mostre di grande respiro: “Il sentimento del 2000. Arte e foto 1960-2000” (Triennale di Milano, 1999), “La Cina. Prospettive d’arte contemporanea” (2005), “India. Arte oggi” (2007). Il suo sguardo si sposta verso Oriente, cogliendo i segni di un mondo globalizzato dove la fotografia diventa linguaggio planetario.
«Mi sono spostata, ho viaggiato e non solo dal punto di vista fisico», diceva. «Sono un viaggiatore e non un turista.» Una definizione che è quasi un manifesto: l’idea del curatore come esploratore di linguaggi e di culture, più che come amministratore dell’esistente.
Il suo ultimo progetto, “Photosequences” (2018), è un omaggio all’immagine in movimento, al rapporto tra sequenza, memoria e percezione.
Pensiero e eredità
Daniela Palazzoli ha lasciato un segno profondo non solo come curatrice, ma come pensatrice dell’arte. Nei suoi scritti e nelle interviste torna spesso il tema della mostra come forma autonoma di comunicazione: non semplice contenitore, ma linguaggio.
«La comprensione dell’arte», scriveva nel 1973 su Data, «nasce solo dalla partecipazione ai suoi problemi e dalla critica ai suoi linguaggi. Essa si fonda su un dialogo personale e sociale che per esistere ha bisogno di strutture che funzionino nella quotidianità e incidano nella vita dei cittadini.»
Era questa la sua idea di critica: un’arte civile, capace di rendere l’arte parte della vita.
L’eredità di una visione
Oggi il suo nome è legato non solo alle mostre e ai saggi, ma anche al Fondo Daniela Palazzoli, custodito allo IUAV di Venezia, che raccoglie oltre 1.500 volumi e documenti di lavoro. Un archivio che restituisce mezzo secolo di riflessione sulla fotografia, sul ruolo dell’immagine nella società, sul legame tra arte e comunicazione.
Ma la sua eredità più viva è forse quella raccolta dal figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e fondatore di Osart Gallery, che dal 2008 rappresenta uno dei punti di riferimento per la ricerca artistica contemporanea in Italia. Presidente dell’ANGAMC (Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) dal 2022 , Ortolani prosegue, con spirito diverso ma affine, quella tensione tra sperimentazione e responsabilità che ha animato il percorso della madre.
Conclusione: l’intelligenza come pratica
Nel ricordarla, colpisce la coerenza discreta della sua traiettoria. Palazzoli ha attraversato decenni di trasformazioni mantenendo una postura rara: quella di chi sa pensare senza gridare, di chi considera l’arte un luogo di ricerca e non di potere.
Ha dato spazio a linguaggi considerati “minori”, ha anticipato riflessioni oggi centrali sulla fotografia, sul digitale, sull’immagine come costruzione di senso collettivo. In un paese spesso restio a riconoscere le sue pioniere, Daniela Palazzoli ha aperto strade, lasciando dietro di sé una lezione di metodo e di libertà.
La sua figura rimane come una bussola silenziosa: nel tempo delle immagini totali, lei ci ha insegnato che guardare non basta — bisogna vedere, e vedere è sempre un atto di pensiero.
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