
A Caserta ennesima indagine sui centri di accoglienza che dovrebbero favorire l'integrazione. Indagati in sette per la gestione di una struttura che ospita circa 200 stranieri. Polemiche anche a Milano: «Solo il 25% dei profughi trova davvero un lavoro».Parafrasando William Shakespeare, si potrebbe dire: tanto bla bla per nulla. Contro il decreto Sicurezza firmato dal ministro dell'Interno, Matteo Salvini, che dallo scorso novembre ha drasticamente ridimensionato i centri di asilo degli Sprar (Sistema protezione per richiedenti asilo e rifugiati), per tre mesi si sono battuti politici di sinistra, sindaci di vario colore e anime belle. Ricorderete probabilmente le alte grida di Leoluca Orlando, il sindaco di Palermo, che all'inizio di gennaio contestava al decreto di essere «un provvedimento disumano e criminogeno» e annunciava che non avrebbe applicato la legge anche e proprio là dove smantellava gli Sprar: «No», proclamava Orlando, «io non posso essere complice di una violazione palese dei diritti umani di persone che sono legalmente presenti sul territorio nazionale». Altri sindaci erano poi insorti a difesa dei centri: da Chiara Appendino a Torino, a Virginio Merola a Bologna, fino a Luigi De Magistris a Napoli e a Dario Nardella a Firenze, per non parlare di Virginia Raggi a Roma. Sulla barricata era poi salito il presidente stesso dell'Associazione nazionale dei Comuni italiani, Antonio Decaro, e con lui il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti. Che la battaglia in difesa degli Sprar avesse in sé qualcosa di forse eccessivo e smodato era emerso con cinica chiarezza a fine gennaio, quando Giuseppe Civati, fondatore di quella nebulosa sinistra che si chiama Possibile, aveva iniziato a predire disastri inenarrabili: «Gli Sprar», aveva tuonato Pippo, «sono le uniche strutture dell'accoglienza che funzionano. Grazie a Salvini ora migliaia di rifugiati saranno costretti a soluzioni di fortuna e a un prezzo carissimo per tutti, con l'aumento del disagio sociale e delle tensioni».Dalle parole di Civati è bastato passasse una settimana, e già il clamoroso modello di positività degli Sprar inizia a scricchiolare. Ieri, a Salerno, la Procura ha iscritto al registro degli indagati sette persone, accusandole di un'associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato. Il motivo? La gestione dello Sprar di Caserta, un progetto triennale che dal 2017 giura di offrire ospitalità e servizi a un massimo di 200 immigrati. I richiedenti asilo, a Caserta, hanno a disposizione una ventina di appartamenti, e oltre a vitto e alloggio hanno l'accesso a corsi di istruzione e formazione, e all'assistenza. Il tutto, ovviamente, è finanziato con soldi pubblici: 7 milioni e mezzo di euro nel triennio, che arrivano dall'Unione europea e dal Viminale. In teoria, se tutti i posti fossero occupati continuativamente, la spesa per ogni immigrato sarebbe di 37.500 euro nel triennio, cioè 12.500 euro l'anno. Ma da qualche settimana la Procura si è messa ad analizzare come davvero siano stati spesi finora quei fondi. E secondo l'ipotesi di accusa gli indagati, funzionari comunali e amministratori del Comitato centro sociale che è il gestore dello Sprar, avrebbero utilizzato il denaro per scopi diversi da quelli dichiarati.Gli Sprar erano nati nel 2002, grazie a un accordo tra il Viminale, l'Anci e l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). La legge che li ha istituzionalizzati è la peraltro malfamata Bossi-Fini, che ne ha affidato i progetti agli enti locali e il finanziamento al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. I progetti oggi in funzione sono 875 in tutta Italia, 645 dei quali gestiti direttamente da Comuni. I posti del sistema Sprar finanziati, oggi, sono 35.650, e sono soprattutto al Sud: 4.756 in Sicilia, 3.537 in Calabria 3.445 in Puglia, 2.883 in Campania. Queste quattro regioni da sole valgono quindi 14.621 posti, il 41% del totale. Se per ipotesi la cifra spesa per lo Sprar di Casertana fosse da considerare come base per una media nazionale, i milioni investiti negli Sprar sarebbero quasi 450 l'anno. Ma i dubbi non riguardano soltanto gli Sprar meridionali. A Milano, sempre ieri, il consigliere comunale e regionale Silvia Sardone (ex Forza Italia, ora del gruppo misto) ha duramente attaccato Pierfrancesco Majorino, assessore del Pd alle Politiche sociali, e proprio sulla gestione degli Sprar: «Majorino e la sinistra dipingono i progetti come il modello che funziona perché garantisce l'inserimento lavorativo dei migranti», ha detto Sardone, «ma le cose non stanno affatto così». In base ai dati che il consigliere d'opposizione ieri ha rivelato, nel 2016 era stato attivato un progetto per 414 profughi dello Sprar, 127 dei quali avevano partecipato a corsi di formazione: soltanto uno su quattro, però, ha trovato un lavoro. La stessa modesta quota di successi era stata raggiunta nel 2017, su 162 immigrati «formati». E anche nel 2018, su 173 partecipanti ai soliti corsi dello Sprar, solamente il 30% è stato assunto. «Il tutto», ha aggiunto Sardone, «con una spesa statale di 4,6 milioni di euro nel 2016, di 5,2 milioni nel 2017 e di 5,3 milioni nel 2018». Secondo la denuncia di Sardone, insomma, lo Sprar milanese ha speso 15,1 milioni in tre anni di corsi formativi, ma è riuscito a «produrre» in tutto 124 posti di lavoro. In media, ogni posto alla fine è costato 122.000 euro. «È assurdo», ha concluso Sardone, «che i progetti d'inserimento lavorativo abbiano avuto risultati così modesti. E Majorino e compagni dovrebbero smetterla di organizzare marce per l'accoglienza, tavolate multietniche e manifestazioni di piazza per i profughi: l'integrazione che millantano esiste soltanto nelle favole». Per tornare a Shakespeare, non si sa se sia più una tragedia o una commedia.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






