2023-04-20
Né nazi, né complotto. Ecco cosa è davvero la sostituzione etnica
Per la sinistra è razzismo, ma dietro la formula ci sono dati chiari. Lo studioso Pierre-André Taguieff: «Per molti cittadini è esperienza vissuta».«Suprematismo bianco» (Elly Schlein), «livelli brutali» (Romano Prodi), «parole disgustose» (Laura Boldrini), è «difesa della razza» (Repubblica). Uno si distrae un attimo ed ecco che il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, diventa la reincarnazione del nazista rurale Richard Walther Darré. Come è potuto accadere? Due semplici parole: «sostituzione etnica». Là traluce il marchio della bestia: è la pistola fumante del fascismo, del nazismo, del razzismo, del suprematismo. «È il cavallo di battaglia dei suprematisti bianchi», spiega Mauro Favale su Repubblica, «un filo rosso che lega 11 anni di stragi di estrema destra». Anche se la macchina si è messa in moto e siamo già nella fase in cui la logica è un orpello superfluo, proviamo lo stesso a fare chiarezza. Tanto per cominciare, la sostituzione di popolo non è una «teoria», ma mera ovvietà demografica. L’onere della prova, anzi, dovrebbe essere rimandato a chi la nega: come è possibile che un popolo che fa sempre meno figli, che vede emigrare sempre più giovani all’estero e che nel frattempo importa sempre più immigrati, con un tasso di natalità ben superiore al suo, non sia in breve tempo profondamente modificato nella sua struttura? Prendiamo il caso francese. Qualche settimana fa, Le Figaro ha rilevato che in Francia gli stranieri, contando anche seconde e terze generazioni, sono il 30% del totale, cioè 19 milioni di persone. In alcune regioni, città, quartieri tale cifra sale al 50, al 60, all’80%. Questo è un fatto, nudo e crudo. Su cui, ovviamente, si possono avere diversi giudizi di valore. Per alcuni è un fenomeno bellissimo che va anzi accelerato. Repubblica, che oggi bolla la cosa come fantasia nazistoide, dovrebbe ricordarsi di quando il suo fondatore, Eugenio Scalfari, vaticinò: «Si profila come fenomeno positivo il meticciato, la tendenza alla nascita di un popolo unico, che ha una ricchezza media, una cultura media, un sangue integrato. Questo è un futuro che dovrà realizzarsi entro due o tre generazioni e che va politicamente effettuato dall’Europa. E questo deve essere il compito della sinistra europea e in particolare di quella italiana». La sostituzione etnica è questa cosa qui: a Scalfari piaceva, a Jean-Luc Mélenchon, che pudicamente la chiama «creolizzazione», piace. A Lollobrigida e a una parte consistente delle popolazioni europee no. Ma non si può dire, contemporaneamente, che è un fenomeno virtuoso e che è una paranoia basata sul nulla. Se Scalfari e compagnia bella si entusiasmano, ci sono altri che la sostituzione etnica la denunciano, come per esempio lo scrittore Jean Raspail, di cui il nostro giornale ha anche pubblicato un testo. L’autore che più di tutti l’ha messa a fuoco, coniando l’espressione «Grande sostituzione» (Grand remplacement) è Renaud Camus, che è stato anche una firma della Verità. Si tratta di un nazista? Macché. Se cercate i suoi libri tradotti in italiano troverete solo Tricks, prefato dal guru progressista Roland Barthes in cui l’autore narra con prosa verace i suoi incontri omosessuali occasionali. Si tratta di uno scrittore che era apprezzato nel bel mondo, prima di essere scaricato e diffamato per le sue idee sull’immigrazione. Camus è talmente nazista che ha intitolato un suo scritto La seconda carriera di Adolf Hitler, intendendo che è la Grande sostituzione a essere per davvero hitleriana. È allora un complottista? Nei suoi libri scrive: «Io non credo alla teoria del complotto», in quanto «credo che tutto sia legato, che sia impossibile isolare un elemento causale». È allora roba per terroristi, come dice Repubblica? Argomento del tutto capzioso. È vero che Brenton Tarrant, l’autore della strage di Christchurch, pubblicò un manifesto dal titolo The Great Replacement, ma l’obiezione è insensata: la stragista di Nashville ha pubblicato un analogo manifesto legato alle battaglie Lgbt, il massacratore di Utoya, Anders Breivik, citava John Stuart Mill, certi documenti delle Br sembrano usciti dalla bocca di un sindacalista della Fiom e tutti i terroristi islamici usano toni, riferimenti, argomenti comuni all’imam della moschea accanto. E allora che si fa? Tutti terroristi?Nel suo recente e documentato saggio Le grand remplacement ou la politique du mythe: généalogie d’une représentation polémique, lo studioso Pierre-André Taguieff - un’autorità negli studi sul razzismo, non certo accusabile di contiguità con il neofascismo - scrive: «La visione della “Grande sostituzione” è dotata di un valore di evidenza presso una grande parte dell’opinione pubblica per il fatto che essa pare corrispondere all’esperienza vissuta di un certo numero di cittadini che “non si sentono più a casa loro in Francia” ed è conforme a un modello esplicativo costruito da eminenti demografi». Lo studioso aggiunge che tale reazione «è suscitata dal progetto, inscritto nel cuore della nuova ideologia dominante nei Paesi occidentali, di raggiungere l’emancipazione “cancellando ogni radicamento”, cioè ogni identità trasmessa. Deve essere intesa come una reazione alla precipitosa corsa allo sradicamento affermata come metodo di salvezza, un progetto di cui il “wokismo” è l’ultima versione. La criminalizzazione del radicamento è l’ultima incarnazione dell’emancipazione radicale, definita dal rifiuto di ogni limite, e quindi del reale. Non deve stupire il proliferare di reazioni che ordinariamente vengono stigmatizzate come “identitarie”, “populiste”, “nazionaliste” o “conservatrici”: hanno il merito di ricordarci che gli esseri umani non possono vivere, sentire, parlare e pensare dal nulla». Per Taguieff, «se la tesi della “Grande sostituzione” conquista il sostegno di un gran numero di francesi, è soprattutto perché il sentimento di insicurezza culturale è molto diffuso nell’opinione pubblica francese».Certo, l’uso di certi termini può turbare: per Michele Serra, per esempio, parlare di «etnia» è lo stesso che dire «razza italiana». Ma anche qui c’è un falso movimento logico: siccome non esiste «razza pura», allora i popoli sono niente, entità intercambiabili. E invece i popoli sono qualcosa. Qualcosa di poroso, di plastico, di dinamico. Ma sono qualcosa. «Sin da quando gli esseri umani sono esistiti sulla terra, sono stati fedeli alla loro famiglia allargata, al clan e alla tribù che provvidero alla loro protezione, alle proprie istituzioni giuridiche e a riti di ringraziamento per le loro divinità, ciascuno secondo i propri costumi. Questo ordinamento in tribù e clan è, in effetti, l’ordinamento politico originario del genere umano», ha scritto l’israeliano Yoram Hazony nel suo Le virtù del nazionalismo. Nazista pure lui? «L’idea e il modello della nazione sono di molto precedenti alla rivoluzione francese, e presentano una continuità che dovrebbe scoraggiarci dal decretare affrettatamente la sua scomparsa», scriveva anni fa Anthony D. Smith in Le origini culturali delle nazioni, saggio che segue quello di qualche anno prima intitolato Le origini etniche delle nazioni. Eppure alla London School of Economics, dove insegnava, nessuno gli diede del suprematista.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)