
Rimandato per presunti motivi di agenda l'incontro che avrebbe dovuto sbloccare il dossier con le Regioni. Giuseppe Conte doveva risolvere tutto, invece sembra complicare le cose. Sull'alta velocità arriva l'ok di Palazzo Chigi.Descritto dai giornaloni come il signor Wolf (quello che in Pulp fiction, il celebre film di Quentin Tarantino, si presentava dicendo: «Risolvo problemi»), Giuseppe Conte non solo non li risolve, ma li complica, li aggroviglia, li rende più intricati. Ad esempio, sull'autonomia, il premier aveva annunciato per ieri l'ennesimo vertice: che però, a forza di nicchiare, non ha convocato. Ufficiosamente, dalle parti di Palazzo Chigi, si fa sapere che il premier ieri è stato impegnato a preparare il discorso che terrà oggi a Palazzo Madama sul cosiddetto «caso russo». Eppure il tempo stringe, se si vuole rispettare un minimo di tabella di marcia: in teoria, già stasera Conte avrebbe dovuto incontrare i governatori delle regioni, per poi tenere il Consiglio dei ministri domani, giovedì. Ma a questo punto un enorme interrogativo grava sia sulla tempistica sia sulla sostanza. Gli ottimisti dicono che Conte vuole valorizzare mediaticamente l'incontro con Luca Zaia e Attilio Fontana, presentandosi come il grande facilitatore. I pessimisti ribattono che il premier ha scelto di agire da piromane, invece che da pompiere.Ieri La Verità si è occupata ampiamente del rebus più complicato, quello dei rapporti finanziari tra Stato e regioni: dossier che tutti (a partire dal ministro Giovanni Tria) davano fino a dieci giorni fa per positivamente risolto, attraverso il meccanismo della compartecipazione delle regioni ai tributi erariali. Ma i grillini hanno alzato la posta, immaginando di imporre alle regioni che saranno eventualmente capaci di maggiore efficienza di girare i risparmi (tramite il cosiddetto fondo di perequazione) a quelle meno virtuose: insomma, un potente disincentivo alla responsabilizzazione. Quasi una provocazione per Lombardia e Veneto. Poi c'è la polemica rovente sulla scuola, con i grillini e Giuseppe Conte mobilitati per il mantenimento dello status quo, ipotesi respinta dai governatori Zaia e Fontana. Qual è in questo caso la materia del contendere? È noto che le regioni abbiano carenza di docenti. L'idea leghista - come si vedrà, ragionevolissima e perfino minimalista - è che per un verso resti valido il contratto nazionale degli insegnanti, ma per altro verso, attraverso un fondo integrativo già esistente, una regione possa offrire un incentivo affinché un insegnante resti in un certo territorio. I grillini hanno evocato lo spauracchio delle «gabbie salariali»: come se qualcuno volesse aumentare gli stipendi a Nord e abbassarli al Sud. Ma al contrario, si tratterebbe solo di usare strumenti normativi già esistenti per incentivare la permanenza e fronteggiare le carenze d'organico dovute alle richieste di riavvicinarsi a casa. E dovrebbe essere intuitiva la differenza tra un insegnante che lavora vicino casa e un altro che deve dotarsi di un appartamento a Milano, ad esempio. Eppure i grillini fanno muro: vogliono uniformità assoluta, e per ora hanno avuto partita vinta su questo punto. E infine c'è la questione dell'iter. In una situazione normale, si siglerebbero le intese tra Stato e regioni, poi si varerebbero i disegni di legge governativi, che successivamente inizierebbero il loro cammino parlamentare. Ma i grillini - come La Verità ha già spiegato - vorrebbero «parlamentarizzare» il percorso da subito, già dopo la sigla delle intese. La decisione spetterà ai presidenti delle Camere: e tutti temono un agguato di Roberto Fico, che qualcuno descrive desideroso di sottoporre le intese a un vero e proprio Vietnam, con passaggi in 7-8 Commissioni fino al rodeo degli emendamenti in Aula. Ciascuno immagina cosa possa accadere se un testo viene sottoposto a 6-700 emendamenti, magari con una quantità di voti segreti: l'incidente è dietro l'angolo. In più va considerato che questo dossier è parte di una situazione di maggioranza delicatissima: oggi sarà una giornata tesa al Senato sul caso Savoini, per non dire delle liti praticamente su tutto. Ieri, parlando al forum Ansa, il ministro Giulia Bongiorno (Lega) ha sintetizzato la situazione con la formula: «O si sciolgono i nodi o non si va avanti». E a proposito di autonomia la Bongiorno ha aggiunto: «Esistono già amministrazioni di serie A e di serie B: basta guardare ai tempi per il rilascio della carta d'identità, da 24 ore a mesi…». Matteo Salvini vuole far di tutto per portare a casa il risultato, se possibile. E non vuole prestarsi al gioco - cercato insistentemente dal M5s - di spaventare l'elettorato meridionale. Ma Conte e i grillini sottovalutano una possibilità concreta: e cioè che siano i presidenti delle regioni, a partire da Luca Zaia e Attilio Fontana, a dire no a intese al ribasso, rifiutando di siglare i testi. E a quel punto ad essere delegittimato sarebbe proprio il premier, non certo i governatori. Mentre continua il braccio di ferro con le regioni, su un altro punto ieri Conte ha invece mostrato di venire incontro ai desiderata leghisti: quello della Tav. In un videomessaggio, il premier ha detto di aver rinunciato all'idea di un «progetto alternativo» per via di due «fatti nuovi»: il primo è che «l'Europa si è detta disponibile ad aumentare i finanziamenti dal 40 al 50%»; il secondo è che «la Francia si è espressa per la conferma del progetto. Se volessimo bloccarlo, non lo potremmo fare condividendo il percorso con la Francia». A queste condizioni, ha aggiunto, solo il Parlamento potrebbe ratificare un addio unilaterale alla Tav. L'alta velocità, quindi, si farà.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.