2022-07-12
È morto Guglielmi, tinteggiò di rosso Rai3
Uomo di grandi relazioni con la politica, gli fu affidata la terza rete e lui la trasformò in «Telekabul», tenendo a battesimo profili come Serena Dandini e Fabio Fazio. Aveva 93 anni, gli ultimi dei quali passati a stroncare la tv: «Decadenza e conduttori inadatti». «Se devono assumerne tre, in Rai ne prendono uno democristiano, uno comunista e uno bravo». Con Angelo Guglielmi il vecchio motto di Enzo Biagi va a pallino: nel 1955 il capo del personale fa il colpo della vita, perché lui vale come comunista, come bravo e in tarda età come democristiano doroteo fuori corso. L’uomo con gli occhiali sulla fronte, ritenuto dai sessantenni dem (con molto ottimismo) il papà della tv moderna, è morto ieri a Roma all’età di 93 anni, sazio di giorni e di gloria, dopo avere passato gli ultimi 20 a rilasciare interviste sullo stato di salute della Rai e sull’indipendenza intellettuale dei suoi tempi, che in realtà non esisteva. Rai3 era appaltata al Pci che ne controllava ogni mossa come oggi fa il Nazareno. Inventore di TeleKabul e di un conduttore simpaticamente ortodosso come Sandro Curzi detto Kojak, Guglielmi ha dominato la terza rete per otto anni, dal 1987 al 1994, non limitandosi a mettere le virgolette rosse sullo schermo alle annunciatrici. Per bilanciare la linea «rosso antico» nelle news - imperdibili i balbettii di redazione mentre crollava il Muro di Berlino - inventa una serie di programmi di intrattenimento e di denuncia sociale improntati alla goliardia, capaci di far sorridere e di far pensare (rigorosamente a senso unico) una generazione di universitari e di intellettuali in cerca d’autore. Gli stessi che oggi, diventati classe dirigente - o come direbbe Edmondo Berselli, classe digerente -, si dirigono con entusiasmo ai seggi a votare Pd travestiti da giovanotti, con lo zainetto sulle spalle, il monopattino sotto i piedi e il Phd nel curriculum su Twitter. In quegli anni Rai3 sforna Samarcanda, Blob, Quelli che il calcio, La Tv delle ragazze, Avanzi, Mi manda Lubrano, Chi l’ha visto?, Un giorno in pretura; novità spumeggianti e spesso intelligenti, dominate dalla leggerezza e in qualche modo alternative alle tv commerciali. Sono i format dai quali vengono sviluppati i talk show di oggi. Con acume da raffinato allenatore (più Arrigo Sacchi che Max Allegri), Guglielmi lancia Fabio Fazio, Serena Dandini («Ha valorizzato le donne»), Piero Chiambretti («È stato il padre che non ho avuto»), Daniele Luttazzi, Giuliano Ferrara, Gad Lerner, Michele Santoro. Uno tsunami dello stile, il confronto politico trasformato in spettacolo; poi sarebbe arrivato Silvio Berlusconi a spazzolare la sedia con il fazzoletto e a chiudere la stagione delle mistificazioni un tanto al chilo. Da sempre, l’inventore di Rai3 come la conosciamo oggi si è definito «un intellettuale, un ribelle che si è occupato di televisione e letteratura» sapendo perfettamente che i ribelli non si fanno trasportare dalla corrente sul materassino alla festa dell’Unità di Riccione. A fargli cambiare la carriera in realtà è Walter Veltroni che lo propone per la direzione della rete cenerentola; metteva insieme a malapena l’1% di share e dopo la sua cura supera il 10%. Successo innegabile che fa dire con orgoglio a Guglielmi: «Sono stato indicato da Veltroni ma se mi ha scelto è stato per far brillare la sua stella». Qualche anno dopo è a un passo dal diventare presidente della Rai su spinta di Dario Franceschini (il brodo di coltura è sempre lo stesso), ma la candidatura va buca. Viene liquidato dal prodismo dilagante nella stagione dell’Ulivo perché ritenuto un «irregolare di potere», quindi ingestibile. Per lui c’è il parcheggio dorato come presidente dell’Istituto Luce. Nato ad Arona (Novara) nel 1929, si laurea in Lettere a Bologna dove tornerà mezzo secolo dopo a svolgere il ruolo di assessore alla Cultura nella giunta di Sergio Cofferati. Da giovane fa parte con Umberto Eco, Alberto Arbasino, Beniamino Placido ed Edoardo Sanguineti del Gruppo 63 di controcultura; una squadra da scudetto del pensiero. Entra in Rai a 26 anni e ci rimane fino alla pensione. Nel periodo da dirigente di Rai1 scopre Maurizio Costanzo e battezza Bontà loro. Non un ballerino di fila anche se ha sempre sostenuto, forse per tirarsela un po’: «Ho fatto buona televisione perché non la sapevo fare». La sua seconda vita è quella del critico letterario. Scrive per L’Espresso, TuttoLibri della Stampa e Il Fatto quotidiano, è severo ai limiti dell’implacabilità con i nuovi filoni, dai cannibali agli apocalittici. Un giorno stronca la prosa di Antonio Pennacchi: «Troppe citazioni, come se l’autore volesse far vedere che ha studiato». Risposta del vate di Latina: «Non ha capito che le citazioni erano false, era un gioco».Interrogato come un oracolo fino all’ultimo sui destini della tv, Guglielmi non si è mai abbandonato alla nostalgia né al revanscismo. Però non ha potuto fare a meno di bocciare i talk show di oggi: «Vedo decadenza e conduttori inadatti. Salvo solo Bianca Berlinguer e Corrado Formigli. In tutti gli altri non sento il timbro della qualità». Evidentemente alla disperazione, un giorno di pochi anni fa i dirigenti Rai gli chiesero di tornare a insegnare televisione ai direttori di rete. Una specie di Cepu interno. Lui rifiutò con una frase da Samuel Beckett del lago Maggiore: «L’unica cosa da insegnare è a mettersi le mani fra i capelli e riflettere».
«Pluribus» (Apple Tv+)
In Pluribus, da venerdì 7 novembre su Apple Tv+, Vince Gilligan racconta un mondo contagiato da un virus che cancella le emozioni e il conflitto. Un’apocalisse lucida e inquieta, dove l’unica immune difende il diritto alla complessità umana.