2019-01-10
È morto Aiuti. Il medico che curò la paura dell’Hiv baciando una malata
Ricoverato al Gemelli, è caduto nel vuoto: si indaga per suicidio. Nel 1991 il gesto di Fernando Aiuti smentì i pregiudizi sul contagio per via orale. Non è importante come se n'è andato, ma quante persone ha fatto tornare dalle tenebre. Tutti volti sconosciuti che ora si affacciano davanti a noi, davanti a lui, per testimoniare la sua forza, anzi la sua irruenza gentile nel guardare in faccia l'ultimo male del Novecento prima di dargli una spallata decisiva. Ad accompagnare nell'ultimo viaggio Fernando Aiuti, immunologo di fama mondiale, sono soprattutto i suoi pazienti salvati dalla peste dell'Aids, da quella che lui per primo percepì non solo come una malattia devastante. «Prima d'essere un morbo da camice bianco» ripeteva nei congressi a platee pietrificate, «l'Hiv è una maledizione sociale. Prima di salvarla dal contagio, questa gente va salvata dal pregiudizio».Fernando Aiuti era nato 83 anni fa a Urbino ed è morto ieri mattina al Policlinico Gemelli di Roma dopo avere respirato per l'ultima volta l'aria per lui abituale di un luogo di sofferenza e di guarigione. Le ipotesi sul suo ultimo minuto di vita sono due: una caduta dalle scale nelle vicinanze del reparto dov'era ricoverato, come recita il comunicato dell'ospedale, oppure il suicidio sul quale sta indagando la pm Laura Condemi della Procura di Roma. Scrivono i medici: «Il ricercatore era in ospedale per il trattamento di una grave cardiopatia ischemica da cui era da tempo affetto e che lo aveva già costretto ad altri ricoveri e a trattamenti anche invasivi. Recentemente il quadro cardiologico si era aggravato evolvendo verso un franco scompenso cardiaco, in trattamento polifarmacologico».Un bollettino significa poco, non si può salutare così un gigante. Meglio pensarlo accudito nel ricordo da migliaia di volti riconoscenti. Tutti sconosciuti tranne uno, quello di Rosaria Iardino, una donna sieropositiva che nel 1991 alla Fiera di Cagliari venne chiamata da Aiuti a salire sul palco mentre imperversava il dibattito (o forse la psicosi) sulla possibilità di trasmissione del virus anche per via orale. Il terrore era nelle parole degli specialisti, nelle penne dei divulgatori, nelle persone comuni che non avevano i mezzi per verificare ciò che veniva loro detto. Per la verità non li hanno neppure oggi, ma poiché stanno dentro la Rete ritengono di possedere ogni verità. Quel giorno Aiuti fece un gesto decisivo: chiamò quella donna e la baciò sulla bocca. Fu uno strappo fortissimo alle convenzioni, un'immagine potente che urlava e che lui spiegò così: «Mi venne d'istinto, ero indignato dalla deriva degli allarmismi. Era assurdo aver paura di un bacio. Volevo semplicemente dire: fidatevi, sono uno specialista, non vi racconto balle. Se lo facessi sarei il primo a pagare il conto». Quella fotografia fece il giro del mondo, diventò un simbolo. E per malati costretti al ghetto, ad abbandonare il lavoro, a strisciare lungo i muri, a chiudersi in camera senza speranza, fu più importante di tante campagne accolte con distratta degnazione.Subito dopo aver saputo della morte, la Iardino (che oggi è presidente della fondazione The Bridge e fondatrice di Nps Italia onlus, network di persone sieropositive) ha pubblicato su Twitter un pensiero: «È morto il mio uomo del bacio, grande immunologo e uomo, con lui ho litigato tantissime volte... Ricordando l'uomo e il professore non posso fare altro che dire grazie per il suo enorme contributo nella lotta contro l'Aids».Una vita con il camice. E considerando i rischi di quella malattia perversa, una vita in trincea. Mai avuto paura un minuto, Aiuti era un guerriero. Laureato in medicina e chirurgia alla Sapienza di Roma, ottenne la cattedra di Medicina interna che mantenne per 27 anni. Il suo curriculum da scienziato è gigantesco: direttore e docente della Scuola di specializzazione in allergologia e immunologia, coordinatore del dottorato di ricerche in Scienze delle terapie immunologiche. Teneva seminari all'estero, veniva invitato nei santuari della medicina e della ricerca (Londra, Washington, Boston) come una rockstar, ruolo che peraltro caratterialmente non sopportava. La sua forza stava nelle 600 pubblicazioni, più della metà su riviste internazionali recensite dalla National Library of Medicine non dalla parafarmacia all'angolo, e soprattutto nella capacità di agire sul campo. A lui si devono ricerche decisive per la vaccinazione contro il virus Hiv-1, per terapie dell'infezione da virus dell'epatite B e C, per diagnosi di tumori correlati alle immunodeficienze. Fondò e diventò presidente dell'Anlaids, l'associazione nazionale per la lotta contro il male.Aiuti era un uomo generoso che a un certo punto della vita decise di spendersi per la sua città. «Come prevenire le malattie è compito di bravi medici, così prevenire i mali della società è compito della buona politica». Nel 2008 si candidò alle elezioni municipali di Roma nel Pdl e venne eletto in Campidoglio con Gianni Alemanno sindaco. Capì subito che le logiche della rappresentatività non erano le stesse della medicina. «I corridoi della politica sono percorsi da persone immuni da nulla». Nonostante ciò si ricandidò nel 2013 ma non venne eletto e tornò felicemente ai suoi studi.Il nemico numero uno dell'Aids era italiano. Ha combattuto accanto a migliaia di malati per debellare, per vincere. Anche per ristabilire la verità scientifica dalle accuse dei negazionisti, per i quali il virus era stato inventato dalle case farmaceutiche per lucrare sulle cure e Freddy Mercury è morto di stress. Ecco, qualunque sia la scala che ha preso per l'ultimo viaggio, Fernando Aiuti se ne va accompagnato dalla colonna sonora di Philadelphia, voce di Bruce Springsteen. Cammina nella luce.