2021-06-04
Il ritorno dell’austerità spinge Draghi tra le braccia di Biden
Sfumata la retorica sul Recovery, l'Unione torna a irrigidirsi. E nel dopo Merkel, i tedeschi insisteranno ancor di più col pressing deflazionista. Il premier sa che dovremo arrangiarci, ma ha la sponda di BidenGuai a voler tornare «come prima». Da oltre un anno il faticoso arrabattarsi di governi ed economie è accompagnato da una litania, cantata soprattutto dalle istituzioni sovranazionali: modelli da rifare, sistemi da ripensare, società da resettare. Curiosamente, alcune delle direttrici per il «nuovo mondo» post (si spera) Covid sono molto simili a quelle di prima: i driver del green, della sostenibilità, del digitale, della parità di genere, dell'inclusività. Una istituzione però, l'Unione europea, non è simile a prima: è identica. La retorica a tratti imbarazzante che ha accompagnato per mesi l'accordo sul Recovery fund sta pian piano chiudendo il suo iato con la realtà. Si tratta di un passo concettualmente nuovo (la Commissione emetterà suoi bond), però al momento abbiamo tasse e vincoli ma non un euro in più rispetto a quelli con cui contribuiamo (in un saldo comunque negativo) ai bilanci comunitari, o che restituiremo ripagando i prestiti. Accanto al Recovery, inoltre, le «raccomandazioni Paese» e i trattati mostrano, anche lessicalmente, una incapacità politica a mutare una virgola nell'approccio ai singoli Paesi. Ovviamente il problema, come spiegato ieri su queste colonne, non è appena ideologico ma pratico. Il Patto di stabilità e crescita, tornando di fatto in vigore, compromette stabilità e crescita. E fa arrivare al pettine due nodi cruciali.Il primo è interno. Si sta avvicinando il momento in cui non sarà più possibile fingere che non ci sia contrasto tra ciò che l'Ue ci chiede e ciò di cui, secondo il governo, il Paese ha bisogno. «Non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli», ha spiegato in due diverse circostanze Mario Draghi. «Va data priorità a riforme fiscali strutturali che contribuiranno al finanziamento degli interventi pubblici e alla sostenibilità di lungo periodo del bilancio», si legge nei documenti di Bruxelles dell'altro ieri riferiti all'Italia. Come si fa a parlare costantemente della necessità di «chiudere la stagione dei tagli» alla sanità mentre la Commissione invita a tagliare spesa corrente, cioè (anche) stipendi della Pa, pensioni, eccetera? Qualcuno è disposto a pensare che tutti e soli i capitoli di spesa contenuti nel Recovery plan, ammesso e non concesso che tutto vada come deve, siano sufficienti a sostenere un'economia massacrata e un Paese che ha subìto un crollo di ricchezza senza precedenti?Rispondere a questa domanda porta al secondo nodo, che eccede i nostri confini. In un momento di auspicato rimbalzo mondiale dopo un anno di apnea sia della domanda sia dell'offerta, schiacciati tra possibili fiammate inflattive e giganteschi problemi di welfare, quanto è «sostenibile» un'Unione europea condizionata dall'austerità? Ieri il Wall Street Journal ospitava uno scenario dal titolo significativo: «The economic recovery is here. It's unlike anything you've seen»: «La ripresa è qui, e non avete mai visto nulla di simile». Secondo il quotidiano finanziario, il pacchetto di stimoli legati alla pandemia in America ammonta al 4,4% del Pil previsto nel prossimo quadriennio. Per dare un'idea, dopo la crisi di Lehman l'importo fu, rispetto al Pil dei quattro anni successivi di allora, circa la metà (2,4%). Solo questa mole spaventosa di spesa pubblica (5.100 miliardi di dollari), cioè di ricchezza privata per famiglie e aziende, permette alla Fed (che a sua volta ha ampliato il suo bilancio più di quanto non abbia fatto dopo il 2008) di ragionare sulla progressiva dismissione di obbligazioni di cui ha fatto incetta nei mesi scorsi.Qualcosa di simile potrebbe fare, tra non molto, anche la Bce con i titoli pubblici, soprattutto su spinta tedesca. Che effetti ci saranno sulla tenuta dei debiti sovrani, a cominciare dal nostro? È pensabile che, mentre i Paesi sono impegnati in una faticosissima rincorsa ai livelli di produzione e benessere non solo del pre Covid ma del pre 2008, si riaprano le danze di una crisi finanziaria sugli spread? L'intervento di Wolfgang Schäuble riproposto dal Financial Times due giorni fa, in cui di fatto invita l'Italia a mettere i suoi asset (oro?) a garanzia del debito, oppure a sottoporsi a un commissariamento, fa capire l'atteggiamento tedesco. Che probabilmente si irrigidirà nel dopo Merkel, ormai imminente. Fin dai tempi di Obama, questo scontro commerciale e ideologico, aggravato dalla struttura deflazionista della moneta unica, è una delle linee di faglia dell'Occidente. Ieri, proprio commentando Schäuble, il capo economista dell'Iif (Istituto di finanza internazionale) Robin Brooks ha scritto: «In linea di principio, l'eurozona ha due soluzioni possibili: riforme strutturali della periferia (cioè noi, ndr) per spingere la svalutazione interna (cioè dei salari, ndr) o trasferimenti fiscali. È perfettamente razionale che i tedeschi preferiscano la prima». E noi? Dopo la pandemia, gli Usa possono accettare una politica economica di compressione della domanda in un'area come l'Europa? Piaccia o meno, senza Trump per l'Italia è oggi più facile seguire Biden, oltre che più lineare rispetto all'interesse nazionale, almeno da questo punto di vista. Draghi lo ha fatto molto rapidamente. Ma il bivio tra atlantismo (economico) ed europeismo (a trazione tedesca) si sta facendo prossimo. «Se il coordinamento europeo funziona bisogna seguirlo, se non funziona bisogna andare per conto proprio», ha scandito il premier lo scorso marzo. Saranno mesi interessanti.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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