Un esecutivo può stare in piede anche senza l’appoggio del M5s: il peso politico dell’operazione ricadrebbe su Carroccio e dem. E se Matteo Salvini decidesse di sfilarsi potrebbero venire riesumate le alchimie da Prima Repubblica. Con il «governo di minoranza».
Un esecutivo può stare in piede anche senza l’appoggio del M5s: il peso politico dell’operazione ricadrebbe su Carroccio e dem. E se Matteo Salvini decidesse di sfilarsi potrebbero venire riesumate le alchimie da Prima Repubblica. Con il «governo di minoranza».Dopo che Silvio Berlusconi ha rispolverato apertamente una delle formule politiche più caratteristiche della Prima Repubblica, chiedendo ufficialmente una «verifica di governo» proprio mentre il Paese celebrava l’estate del 1982 (che consegnò alla storia la prima verifica del Pentapartito), è lecito sbizzarrirsi. Osservando il pallottoliere di Montecitorio e Palazzo Madama, infatti, col premier Mario Draghi dimissionario e a una manciata di giorni dal decisivo passaggio parlamentare, le possibili alchimie politiche, almeno a livello teorico, abbondano, al netto del fatto che ogni ipotesi dovrà confrontarsi con la praticabilità politica e, soprattutto, con la disponibilità (per ora nulla) del diretto interessato a proseguire la propria esperienza da presidente del Consiglio. Ovviamente, ogni possibile formula politica è legata a un differente scenario aritmetico nelle due Camere e, dato il riferimento berlusconiano alle vecchie liturgie repubblicano, è il caso di non ometterne alcuna.Partiamo da quella numericamente più semplice ma politicamente più ardua, e cioè lo scenario «abbiamo scherzato», nel quale Giuseppe Conte e i suoi danno vita a un maldestro dietro-front, ammettendo il bluff per scongiurare un voto anticipato che verosimilmente li atomizzerebbe: i numeri della maggioranza tornerebbero quelli anteriori alla non-fiducia di giovedì scorso e l’incidente parlamentare derubricato a uno sbandamento collettivo grillino. A Palazzo Madama, dunque, si resterebbe a una comodissima quota da «Unità nazionale» di 266 senatori su 321 (escludendo dal computo quelli a vita e i senatori incerti del Misto), e a Montecitorio su una ancor più comoda quota 553, laddove la soglia di maggioranza è rispettivamente di 161 senatori e 316 deputati. Ma visto che, come abbiamo detto, allo stato delle cose questo scenario appare come il più inverosimile (ma ovviamente non da escludere), è il caso di addentrarsi in tutte le subordinate. A partire dallo scenario di un esecutivo «degrillinizzato», che tenga dentro tutte le forze che hanno inizialmente votato la fiducia a Draghi, a parte M5s. Che poi non è un mistero che sarebbe lo scenario prediletto per Giuseppe Conte, che potrebbe contare su un anno di campagna elettorale contro la maggioranza formata da Lega, Pd, Forza Italia, Italia Viva, Di Maio e partiti di centro. Un’ipotesi che Matteo Salvini, stando alle dichiarazioni delle ultime ore, vede come fumo negli occhi, visto che lo porterebbe alle elezioni Politiche della prossima primavera con le mani legate, mentre anche i pentastellati, oltre a FdI, potrebbero menar fendenti al governo in piena libertà. C’è poi da aggiungere che lo stesso Draghi ha asserito che non vorrebbe guidare un governo senza M5s, ma sotto questo punto di vista il lavoro ai fianchi del Colle o di qualche cancelleria continentale potrebbe fare il miracolo. In questo caso, i conti sono i seguenti: maggioranza a quota 204 al Senato e 449 alla Camera, dunque ben oltre la maggioranza assoluta. Il comunicato congiunto di Berlusconi e di Salvini di ieri mattina lascia poco spazio a questa possibilità, ma è da testare la determinazione degli uomini di Forza Italia a persistere sulla linea del voto anticipato, e da vedere se realmente il «partito dei governatori» e l’ala governista del Carroccio (raccolta attorno al ministro Giancarlo Giorgetti) accetterebbe la richiesta delle urne. A livello politico questa maggioranza, ancor più bizzarra di quella appena naufragata, si reggerebbe sull’asse Lega-Pd, ma il peso parlamentare di Forza Italia (che risale ancora alla performance elettorale del 2018) e la pattuglia moderata legata al Cavaliere sposterebbe gli equilibri verso destra, non escludendo nemmeno un rimpasto interno alla delegazione governativa berlusconiana e stroncando ogni possibilità di successo per dossier come la legalizzazione della cannabis, lo Ius scholae o il ddl Zan-bis. A proposito di rimpasto, sarebbe inevitabile, nell’ambito della ridiscussione della compagine governativa privata degli esponenti grillini, un potenziamento della presenza e del peso dei leghisti, così come andrebbe verificata la permanenza dei tecnici, a partire dal ministro dell’Interno Lamorgese e di quello di Trasporti Giovannini. Intoccabile, dopo la scissione dai pentastellati e la creazione di una forza ultragovernista, il posto alla Farnesina di Luigi Di Maio, sempre più a proprio agio nelle vesti di una sorta di Giulio Andreotti 4.0. E visto che avevamo iniziato citando le alchimie della Prima Repubblica, si potrebbe chiudere non escludendo, ad esempio, un «governo di minoranza» o della «non sfiducia» in cui a sfilarsi, oltre a Conte, vi fosse Salvini. In quel caso, senza il Carroccio, i numeri andrebbero sotto la maggioranza assoluta al Senato (143) e di un soffio sopra alla Camera, con 318 deputati e la sopravvivenza sarebbe garantita con una sorta di «geometrie variabili» sui provvedimenti più significativi o sull’astensione alla fiducia da parte di Lega e M5s. La stagione delle «convergenze parallele», però, si direbbe terminata.
Kaja Kallas (Ansa)
Nella Commissione Ue si deplora il livello «rivoltante» di corruzione in Ucraina. Lo scandalo mazzette rafforza la posizione di Orbán e il veto belga sull’uso degli asset russi. Kallas invece rimane coi paraocchi.
In Europa faticano ad ammetterlo e c’è pure chi - tipo Kaja Kallas, che smania per farci indossare gli elmetti - tiene su i paraocchi. Ma la verità è che lo scandalo delle mazzette in Ucraina ha rotto qualcosa nell’idillio tra Kiev e Bruxelles. Con l’opinione pubblica già stressata dall’ossessiva evocazione di un grande conflitto contro la Russia, messa di fronte alla prospettiva di un riarmo a tappe forzate, anche al prezzo della macelleria sociale, diventa complicato giustificare altre liberali elargizioni a Volodymyr Zelensky, con la storiella degli eroi che si battono anche per i nostri valori.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
S’incrina il favore di cancellerie e media. Che fingevano che il presidente fosse un santo.
Per troppo tempo ci siamo illusi che la retorica bastasse: Putin era il cattivo della storia e quindi il dibattito si chiudeva già sul nascere, prima che a qualcuno saltasse in testa di ricordare che le intenzioni del cattivo di rifare la Grande Russia erano note e noi, quel cattivo, lo avevamo trasformato nel player energetico pressoché unico. Insomma la politica internazionale è un pochino meno lineare delle linee dritte che tiriamo con il righello della morale.
L’Unesco si appresta a conferire alla cucina italiana il riconoscimento di patrimonio immateriale dell’umanità. La cosa particolare è che non vengono premiati i piatti – data l’enorme biodiversità della nostra gastronomia – ma il valore culturale della nostra cucina fatta di tradizioni e rapporto con il rurale e il naturale.
Antonio Tajani (Ansa)
Il ministro degli Esteri annuncia il dodicesimo pacchetto: «Comitato parlamentare informato». Poco dopo l’organo smentisce: «Nessuna comunicazione». Salvini insiste: «Sconcerto per la destinazione delle nostre risorse, la priorità è fermare il conflitto».
Non c’è intesa all’interno della maggioranza sulla fornitura di armi a Kiev. Un tema sul quale i tre partiti di centrodestra non si sono ancora mai spaccati nelle circostanze che contano (quindi al momento del voto), trovando sempre una sintesi. Ma se fin qui la convergenza è sempre finita su un sì agli aiuti militari, da qualche settimana la questione sembrerebbe aver preso un’altra piega. Il vicepremier Matteo Salvini riflette a fondo sull’opportunità di inviare nuove forniture: «Mandare aiuti umanitari, militari ed economici per difendere i civili e per aiutare i bambini e sapere che una parte di questi aiuti finisce in ville all’estero, in conti in Svizzera e in gabinetti d’oro, è preoccupante e sconcertate».






