2024-08-24
Il no di Dybala sgonfia il calcio arabo. Dopo un anno è già tornato il deserto
Rispetto all’estate 2023, in cui i sauditi spostarono campioni per 3 miliardi di euro, questa sessione di mercato è ferma a 100 milioni. La Joya ne ha rifiutati 75: ai giocatori è chiaro che la lega è ridicola e lo stile di vita ostico. Diciamocela tutta: certi amori non finiscono, fanno grandi giri e poi ritornano, ma spesso i ritorni sono favoriti da circostanze in cui all’amore si sovrappone l’utile. Prendiamo l’affaire Paulo Dybala. Sembrava tutto fatto: 75 milioni di euro in tre anni per il fantasista (La Joya è uno dei pochi calciatori in attività a cui il termine accostabile ai Baggio e ai Savicevic si attaglia bene) in un accordo con i sauditi dell’Al-Quadsiah che avrebbe aggiunto un ulteriore pezzo pregiato del calcio occidentale al campionato arabo. Ma il punto è proprio quello: rispetto al 2023 sembra trascorsa un’era geologica, il fascino pecuniario esercitato dalle dune dorate del deserto non è più ragione sufficiente a convincere un calciatore con davanti a sé buone prospettive di carriera a spostarsi in una realtà che di allettante ha solo lo stipendio. Per questo motivo Dybala ha postato dal suo profilo Instagram la didascalia: «Grazie Roma, ci vediamo domenica», travestendo di scosse telluriche emotive una decisione che di emotivo ha poco, e di strategico ha molto. Per carità, gli ultras giallorossi non lo hanno mai scaricato, fino all’ultimo lo hanno incoraggiato sperando nel colpo di scena finale. Alcuni bene informati sussurrano che Paulo si sia consultato con i suoi familiari chiosando: «Non posso tradire i tifosi». Forse due anni fa lo avrebbe fatto. Oggi le sirene arabe non sono più capaci di intonare melodie suadenti, la bolla gonfiata dai petroldollari si sta affievolendo, il campionato saudita, pur zeppo di fenomeni provenienti dalle leghe europee, non decolla. Certo, c’è CR7 a dar lustro al torneo, coi suoi capelli impomatati, il suo stile di vita proteico, criogenico e perfetto, la famiglia da Mulino Bianco, i piedi sopraffini. Lui, gioiello splendente a fine carriera, ha diversi motivi per rimanere a Gedda e dintorni. E però, nonostante il campionissimo portoghese inneschi interesse costante, ragionando fino in fondo, in quanti, tra gli appassionati di calcio del globo terracqueo, seguono con passione la lega araba di pallone? Le partite viaggiano a ritmi blandi, i compagni mediorientali dei campioni europei hanno piedi a ferro da stiro e disciplina tattica da bradipo, i riflettori intorno alle loro prodezze, una volta atterrati dagli sceicchi, vengono inghiottiti dalla sabbia. In più, essendo i match disputati da quelle parti non troppo stimolanti, pure gli allenamenti sono meno vigorosi. I recenti campionati europei lo hanno dimostrato: gente come Sergej Milinkovic-Savic, Marcelo Brozovic, ma anche Firmino, Neymar, Salah e compagnia assortita è come se a poco a poco avessero perso parte della magia associata alle loro straordinarie prestazioni. Non stanno diventando dei brocchi, ma di certo non stanno alzando il livello del loro calcio. Poi c’è la questione - non trascurabile - dello stile di vita praticato in terre maomettane di stretta osservanza. Le giovani mogli degli atleti, abituate a sgambettare nelle strade alla moda delle capitali europee con piglio disinibito, devono stare molto attente a non mostrare centimetri di pelle di troppo e sono costrette a mantenere un profilo basso anche nella socialità più semplice. Neanche ai loro consorti va meglio. Emblematico fu il caso di James Rodriguez in Qatar: «Lì tutti prendono da mangiare con le mani e me lo passavano così, preferivo non mangiare. Dicevo loro fossero folli». Un processo di adattamento che non è andato molto liscio, tanto che chiedeva sempre delle posate per mangiare. Rodriguez ha continuato parlando del momento della doccia negli spogliatoi dell’Al Rayyan: «Tutti nel mondo quando fanno un bagno rimangono senza niente, ma lì mi dicevano che non potevo restare così, la legge lo proibisce, ero spaventato». Il calciatore colombiano ha fatto le valigie ed è fuggito armi e bagagli, rinunciando a parecchi danari. Prendiamo poi il caso recente di Raphael Varane, difensore francese che rappresenta uno dei colpi più significativi del recente mercato del Como, società decisa a rinverdire il suo passato glorioso di Serie A. Varane ha respinto sirene stramiliardarie provenienti proprio dall’Arabia Saudita, preferendo una lussuosa villa sul Lario, meta tra le più gettonate persino dagli influencer di tutto il mondo e dagli attori hollywoodiani, sapendo di essere pure a pochi chilometri da Milano, militando peraltro in un campionato, quello italiano, sfidante sul piano agonistico, indossando o affrontando casacche dal blasone ricco di gloria. Per questo la Saudi Pro League sta smettendo di investire nel calciomercato. Dai 3 miliardi circa di spesa per cartellini e ingaggi del 2023 si passa, a tre settimane dalla riapertura del mercato per la Spl, a poco più di 100 milioni (quasi tutti spesi dall’Al Ittihad), nessun nome sensazionale, addirittura qualche cessione eccellente. Insomma, si cercava di riverniciare l’immagine politico-economica dell’Arabia Saudita anche attraverso il pallone, ma se manca un sostrato culturale capace di far da collante all’identità di un popolo, il progetto è destinato a tramontare, come ogni realtà artificiale che postula l’autosufficienza morale dell’individuo dalla sua comunità di appartenenza. Il calcio, in altre parole, è anche costume, società, campanili, suolo, tempio dell’anima popolare, quel tempio in cui i mercanti credevano di banchettare, ma sono stati, per ora, accolti senza applausi. L’affaire Dybala insegna questo, e in queste considerazioni, è indubbio, permane un auspicio in verità anche romantico: che le società come l’Union Berlino possano sempre resistere dinanzi agli artifici scenici dei petroldollari.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)