2022-08-18
Due poltrone per Zinga e senza rischi. Alla faccia di chi ha votato nel Lazio
Nicola Zingaretti (Imagoeconomica)
Il governatore si candida in un listino bloccato per fare il parlamentare. Alle dimissioni non ci pensa proprio. Le darà, nel caso, quando potrà scegliere l’incarico che gli piace di più. L’etica politica del Pd funziona così.Dunque Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, è candidato per il Pd di Enrico Letta alle elezioni politiche del 25 settembre. Lo fa senza dimettersi da governatore della Regione della Capitale d’Italia. Lo fa in un collegio blindato nel listino deciso dal partito collocato al primo posto, uguale: elezione sicura, ce lo ritroveremo parlamentare. Dovrà stare molto attento a non partecipare a trasmissioni televisive che vadano in onda la stessa sera in cui replicano puntate de Il commissario Montalbano, interpretato dal fratello, bravo attore, che si chiama Luca perché tra i due fratelli non c’è dubbio che gli italiani sceglierebbero il secondo. Ma questi sono fatti loro che riportiamo - diciamo - per dovere di informazione o di cronaca catodica.Abbiamo parlato tanto tutti dei trombati in questi giorni ma poco dei trombanti, cioè di coloro che avendo ottenuto un posto hanno trombato gli altri che si sono ritrovati con le terga, o chiappette, a terra. È il caso di Nicola Zingaretti che, lo ricordiamo, è stato anche segretario del Pd lasciando poi la guida del Partito democratico a Enrico letta e contraddicendo una delle conquiste teoriche fondamentali del filosofo del VI secolo a.C., Parmenide di Elea, che sosteneva che dal nulla non si può passare a nulla. Nel Pd è avvenuto. Purtroppo è morto Emanuele Severino, parmenideo convinto, sennò avremmo chiesto spiegazioni a lui. Facciamocene una ragione.Torniamo a bomba, si fa per dire. Meglio dire torniamo a petardo vista la consistenza dei soggetti in questione. Si diceva poco sopra che si candida, il Nicola, senza dimettersi dalla Regione. Gli riconosciamo uno stile che era proprio solo dei Padri costituenti. Nel frattempo piglio lo stipendio in Regione, poi per un periodo li piglio tutti e due e poi, con calma, quando avrò sistemato tutte le mie cosette, mi dimetto. Ripeto: con calma, molta calma, a dimettersi c’è sempre tempo, a essere trombati basta un istante. Il ragionamento non fa una grinza, per carità, soprattutto se riferito alle sue terga, un po’ meno se riferito ai laziali che lo hanno votato. Ci viene in soccorso un vecchio broccardo giuridico latino che recita così: «Mater semper certa est, pater numquam» (la madre è sempre certa, il padre mai). Che c’entra? C’entra tantissimo perché qui la mater in realtà sono tre: Letta, il Pd e soprattutto il collegio blindato. Il pater, in questo caso sono gli elettori o se volete il consenso elettorale. Ora, avremmo capito se si fosse candidato in un collegio uninominale, magari anche abbastanza sicuro - comunque mai come il primo posto nel listino bloccato nel Lazio, dove se non vince il caso sarà studiato dalle maggiori università del mondo -; in quel caso il pater sarebbe stato molto incerto perché nel Lazio, alle politiche il centrodestra a guida Meloni prenderà certamente molti voti. No, col cavolo, listino bloccato. In barba a tutti quelli che lo hanno eletto per fare il governatore e poi se lo troveranno adagiato sullo scranno parlamentare. Essendo di Roma gli sarà anche facile raggiungerne la sede. Ora, o le elezioni regionali non valgono nulla per il suddetto, oppure avrebbe dovuto ragionare diversamente e agire diversamente per conservare una certa dignità agli occhi degli elettori. Mi avete eletto come governatore. Ho deciso, per amore del Paese (questo non manca mai, un po’ come una volta il dado nel brodo), di candidarmi alle politiche, vi ringrazio per la fiducia che mi avete dato e mi dimetto per lasciar posto a un altro e non tenere a bagnomaria, mentre io faccio la mia bella campagna da governatore e non da semplice cittadino che è cosa molto diversa, e vi saluto cordialmente. Punto. Fine della storia e inizio di un’altra. Poveri illusi, ma scusate: chi glielo fa fare? Questioni di etica politica? Ma non scherziamo con le cose serie. Questioni di un minimo di rispetto del mandato popolare? Cose di altri tempi e soprattutto di altri uomini e altre donne, dei quali nella maggioranza dei casi non c’è più neanche l’ombra. E così, bel bello, il Nicolino tiene le terga sulla poltrona preparandole a un’altra certa. Stesse chiappe, diverse poltrone, funziona così. Più che poltrone in questo caso, essendo certe, conviene salvare le chiappe. Per carità, intento rispettabilissimo. Chi vorrebbe non salvarle. E che vorremmo salvarle noi cittadini, almeno nei modi, se vi pare troppo parlare di sostanza. Non vogliamo affaticarvi, per carità, siete in campagna elettorale e in più d’estate e in più nel Lazio, Regione calda.
Charlie Kirk (Getty Images)