2023-08-27
Droni ucraini armati con bombe a grappolo
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Le forze armate di Volodymyr Zelensky montano le singole granate sui velivoli telecomandati, con cui conducono anche raid in Russia. Questo alimenta nuovi timori di escalation e dubbi sull’uso degli F-16. Intanto, è in crisi l’addestramento dei piloti: scontro in volo, tre morti. Ricordate l’Asap? La norma Ue per finanziare la produzione di munizioni da inviare all’Ucraina? Si parlava di un milione di proiettili l’anno, in calibro 155, utili all’artiglieria, che deve misurarsi con la difficile impresa di sfondare le linee russe nel Donbass. Pare che l’esercito gialloblù ne spari fino a 8.000 al giorno. E le bombe a grappolo? Sulla consegna dei controversi ordigni si era aperta una frattura tra gli alleati occidentali di Volodymyr Zelensky. Persino l’Italia, fedelissima a Washington, aveva lasciato trasparire malumori. Due mesi fa, quando gli Usa hanno accettato di inviarle al fronte, Giorgia Meloni ha ricordato che il nostro Paese «aderisce alla Convenzione internazionale» che proibisce produzione, trasferimento e stoccaggio di quelle bombe.Il motivo della premessa è presto spiegato. A quanto pare, gli ucraini hanno scoperto un impiego più creativo cui destinare le famose cartucce in 155 millimetri, nella loro variante cluster, gentilmente offerta dalla Casa Bianca: smontarle e fare incetta delle munizioni più piccole, con le quali armare i droni che stanno compiendo raid - non sempre efficaci - nel Mar Nero e anche in territorio russo. Tipo quelli di ieri su Belgorod e Mosca, che hanno portato alla chiusura temporanea degli aeroporti e al ferimento di alcuni civili. La controffensiva, finora, non ha portato a memorabili riconquiste territoriali, benché il ministro della Difesa di Zelensky, Oleksiy Reznikov, insista che essa procede «secondo i piani». Su varie testate prestigiose, dal Washington Post al New York Times, gli analisti lamentano i limitati progressi. Stando all’intelligence americana, la Crimea sarebbe persa irrimediabilmente. E il generale Robert Brieger, presidente del Comitato militare dell’Unione europea, ha manifestato sfiducia. Forse sono queste perplessità a spiegare la riunione di dodici giorni fa, rivelata dal Guardian, tra una delegazione Nato e gli emissari di Kiev, per discutere la situazione sul campo. Nelle ultime ore, i media hanno leggermente corretto il tiro, enfatizzando l’avanzata ucraina nell’area di Zaporizhzhia e le ardite incursioni nella penisola in cui sorge Sebastopoli: lì, un missile ha distrutto un lanciatore antiaereo degli occupanti. Stando al capo dei servizi militari ucraini, Kyrilo Budanov, gli attacchi sulla Crimea avrebbero spinto il comando degli uomini di Vladimir Putin a un ridispiegamento. Ieri, comunque, gli 007 britannici sono stati costretti a fotografare il sostanziale stallo: i «buoni» premono a Bakhmut e nel Sud, mentre l’Armata del Cremlino bersaglia il settore di Kupiansk-Lyman, guadagnando posizioni nel Nord Est. Certo, ai soldati del Paese invaso mancherà una svolta, ma non la capacità di fare di necessità virtù. Lo certifica un reportage di The Warzone, che ha recuperato alcuni video diffusi su Twitter da canali vicini alla nazione aggredita, in cui sono ripresi i militari di Kiev, probabilmente appartenenti alla 92esima Brigata meccanizzata, che aprono una bomba a grappolo e raccolgono gli ordigni più piccoli inseriti al suo interno, per poi rimontarli sui droni. Nelle sequenze immortalate, si vede un operatore che sega la munizione più grande, una M483A1 da 155 millimetri, il calibro di cui, appunto, i cannoni ucraini hanno disperato bisogno; dall’esoscheletro vengono estratte le granate di dimensioni ridotte, M42 e M46 a «obiettivo doppio», poiché sono in grado di penetrare attraverso le blindature per circa 7 centimetri, ma sono progettate anche in modo tale da rilasciare, allo scoppio, schegge letali che viaggiano in ogni direzione; il combattente si premura di inserire una sorta di sicura metallica, per impedire denotazioni accidentali durante il montaggio sul drone; infine, quando il piccolo velivolo è armato, la linguetta viene rimossa. Non è roba da Art attack, ma al netto del pericolo insito nel maneggiare gli esplosivi, l’espediente è scaltro. Anche perché, da una singola cluster bomb, gli ucraini possono ricavare 88 proiettili per i droni, moltiplicando i target russi cui mirare. Il vero problema, più che militare, è politico. Fino a questo momento, le regole d’ingaggio per gli aiuti bellici prevedevano di non destinare i mezzi occidentali a raid entro i confini di Mosca. Ma il video esaminato da The Warzone dimostra che controllare l’uso dei nostri equipaggiamenti non è così facile. E se gli ucraini non hanno mai rivendicato i blitz dei droni sulla capitale russa, forse, c’è un motivo: come la prenderebbero Joe Biden e i Paesi Nato, sensibili alla sottile linea rossa che ci separa da un’escalation apocalittica, se scoprissero che le loro armi o parti di esse, consegnate per difendere la sovranità ucraina, vengono usate per colpire direttamente il nemico? Ammesso ne siano davvero all’oscuro...Ciò solleva qualche interrogativo sul prossimo passo del sostegno alla resistenza: l’arrivo degli F-16, che potranno decollare non appena sarà ultimato l’addestramento dei piloti, sul quale gli Usa adesso sembrano aver impresso un’accelerazione, benché l’attuale training dei top gun non proceda senza intoppi: anzi, due biposto L-39 Albatros, venerdì, si sono scontrati in volo. Il bilancio dell’incidente è di tre vittime. La coalizione dei volenterosi, a partire dalla Danimarca, in teoria ha messo i paletti: vi diamo i caccia, purché sorvolino solamente il teatro di guerra ucraino. Resta una questione: se, semplicemente, non stiamo mentendo per evitare guai, siamo però appesi alla buona fede di gente in lotta per la sopravvivenza. Consapevoli che quei jet possono arrivare a Mach 2, il doppio della velocità del suono: quanti secondi ci vogliono per svalicare? Per avventurarsi in uno spettacolare raid, sperando di incrinare il consenso verso lo zar? Come reagirebbero gli ucraini, se sentissero venir meno l’appoggio occidentale? Se fiutassero la mala parata, a ridosso delle presidenziali statunitensi? Ci siamo noi al timone? Anche se se il dito sul grilletto, o la mano sulla cloche dei bombardieri, non sono nostri?
(Guardia di Finanza)
In particolare, i Baschi verdi del Gruppo Pronto Impiego, hanno analizzato i flussi delle importazioni attraverso gli spedizionieri presenti in città, al fine di individuare i principali importatori di prodotti da fumo e la successiva distribuzione ai canali di vendita, che, dal 2020, è prerogativa esclusiva dei tabaccai per i quali è previsto il versamento all’erario di un’imposta di consumo.
Dall’esame delle importazioni della merce nel capoluogo siciliano, i finanzieri hanno scoperto come, oltre ai canali ufficiali che vedevano quali clienti le rivendite di tabacchi regolarmente autorizzate da licenza rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ci fosse un vero e proprio mercato parallelo gestito da società riconducibili a soggetti extracomunitari.
Infatti, è emerso come un unico grande importatore di tali prodotti, con sede a Partinico, rifornisse numerosi negozi di oggettistica e articoli per la casa privi di licenza di vendita. I finanzieri, quindi, seguendo le consegne effettuate dall’importatore, hanno scoperto ben 11 esercizi commerciali che vendevano abitualmente sigarette elettroniche, cartine e filtri senza alcuna licenza e in totale evasione di imposta sui consumi.
Durante l’accesso presso la sede e i magazzini sia dell’importatore che di tutti i negozi individuati in pieno centro a Palermo, i militari hanno individuato la presenza di poche scatole esposte per la vendita, in alcuni casi anche occultate sotto i banconi, mentre il grosso dei prodotti veniva conservato, opportunamente nascosto, in magazzini secondari nelle vicinanze dei negozi.
Pertanto, oltre al sequestro della merce, i titolari dei 12 esercizi commerciali sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria e le attività sono state segnalate all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, per le sanzioni accessorie previste, tra le quali la chiusura dell’esercizio commerciale.
La vendita attraverso canali non controllati e non autorizzati da regolare licenza espone peraltro a possibili pericoli per la salute gli utilizzatori finali, quasi esclusivamente minorenni, che comprano i prodotti a prezzi più bassi ma senza avere alcuna garanzia sulla qualità degli stessi.
L’operazione segna un importante colpo a questa nuova forma di contrabbando che, al passo con i tempi, pare abbia sostituito le vecchie “bionde” con i nuovi prodotti da fumo.
Le ipotesi investigative delineate sono state formulate nel rispetto del principio della presunzione d’innocenza delle persone sottoposte a indagini e la responsabilità degli indagati dovrà essere definitivamente accertata nel corso del procedimento e solo ove intervenga sentenza irrevocabile di condanna.
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