2022-07-15
Draghi si è rotto le scatole. Si dimette ma Mattarella vuole la verifica delle Camere
Sergio Mattarella (Antonio Masiello/Getty Images)
Il premier aveva dichiarato la non disponibilità al bis però il Quirinale gli impone di farsi sfiduciare dal Parlamento. La Lega: «Andare avanti così? Meglio votare».Mario Draghi si dimette e Sergio Mattarella respinge le dimissioni e lo rinvia in parlamento. Sui 600 metri che separano Palazzo Chigi dal Quirinale si consuma una giornata torrida, da ogni punto di vista, con Draghi e Mattarella che si incontrano (e si scontrano) per due volte nel giro di tre ore. La prima: Draghi sale al Colle nel primo pomeriggio, alle 15.15, dopo che il M5s non ha partecipato al voto di fiducia al Senato sul decreto Aiuti. Un colloquio non esattamente sereno, un’ora di faccia a faccia, a quanto apprende La Verità, durante il quale il premier fa presente al capo dello Stato che «così non si può andare avanti». Draghi snocciola tutte le difficoltà che sta incontrando sulla strada dell’azione di governo. Lo strappo di Giuseppe Conte è considerato inconcepibile dal premier: un gruppo di maggioranza, spiega al presidente della Repubblica, che usa uno stratagemma per non votare la fiducia al governo non può essere considerato un incidente di percorso. Draghi lo considera un punto di non ritorno, ricorda di aver fatto di tutto per venire incontro alle richieste del M5s, di aver cercato fino all’ultimo di dare segnali di disponibilità a Conte, sia attraverso dichiarazioni pubbliche che con approfondimenti sul salario minimo e su altre questioni poste dal leader dei pentastellati. Mattarella ascolta, sottolinea che il momento è difficile, la situazione economica e sociale è complicata, eppure esprime piena comprensione per le ragioni di Draghi. Il premier si prende qualche ora di tempo per riflettere, poi alle 18.44 comunica la sua decisione di dimettersi al Consiglio dei ministri. «Voglio annunciarvi», dice Draghi in Cdm, «che questa sera (ieri, ndr) rassegnerò le mie dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica. Le votazioni di oggi in parlamento sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico. La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno», aggiunge Draghi, «il patto di fiducia alla base dell’azione di governo. In questi giorni da parte mia c’è stato il massimo impegno per proseguire nel cammino comune, anche cercando di venire incontro alle esigenze che mi sono state avanzate dalle forze politiche. Come è evidente dal dibattito e dal voto di oggi in Parlamento questo sforzo non è stato sufficiente. Dal mio discorso di insediamento in Parlamento», dice ancora il (quasi ex) premier, «ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia. Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi. Queste condizioni oggi non ci sono più. Vi ringrazio per il vostro lavoro, i tanti risultati conseguiti. Dobbiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo raggiunto, in un momento molto difficile», conclude Draghi, «nell’interesse di tutti gli Italiani». Spiragli per un ripensamento? «Non credo ve ne siano», ci dicono dall’entourage del premier, che alle 19.20 torna al Quirinale, per presentare le dimissioni a Mattarella. Il capo dello Stato, però, è irremovibile: Draghi non è mai stato sfiduciato, anzi ha appena incassato, pur con l’assenza del M5s, la fiducia al Senato sul dl Aiuti, dopo quella ottenuta alla Camera anche coi voti dei grillini. Le dimissioni vengono respinte: «Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella», recita una nota del Colle, «non ha accolto le dimissioni e ha invitato il presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinchè si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata a seguito degli esiti della seduta svoltasi oggi presso il Senato della Repubblica». I più smaliziati tra gli addetti ai lavori notano che Draghi aveva già anticipato ai ministri che mercoledì prossimo avrebbe riferito alle Camere: Mattarella gli aveva anticipato che avrebbe respinto le dimissioni? I due hanno trovato, pur nella distanza tra le rispettive convinzioni, un punto di caduta? «Se Draghi non si convince da qui a mercoledì e conferma le dimissioni come irrevocabili», spiega alla Verità una fonte estremamente informata, «a quel punto a ottobre si vota. Non si intravedono terzi scenari». Quello che è certo è che Mattarella è estremamente preoccupato dalla prospettiva di elezioni in autunno, con la legge di Bilancio, le conseguenze economiche e sociali della guerra in Ucraina, lo spettro della pandemia che ancora incombe sull’Italia. Ci sono cinque giorni, dunque, per tentare di riannodare i fili, per cercare di aprire un varco nella fermezza di Draghi. Non solo: c’è anche da fare i conti con la Lega, il primo partito in Parlamento, che non crede nel lieto fine: «Dopo quello che ha fatto il M5s», dice alla Verità il capogruppo al Senato della Lega, Massimiliano Romeo, «che non ha votato la fiducia per un termovalorizzatore, e dopo le parole durissime di Draghi in Consiglio dei ministri, andare mercoledì in aula facendo finta che non sia successo nulla sarebbe una presa in giro nei confronti degli italiani. È più responsabile dare la parola agli italiani piuttosto che andare avanti tra veti, divisioni e liti di Pd e M5s».
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)