2022-07-20
Draghi sale al Colle, poi prepara l’arringa. Atteso per stasera il verdetto del Senato
Il premier a Palazzo Madama chiederà ai partiti di uniformarsi alla sua agenda. Intanto Volodymyr Zelensky lo saluta: «Grazie dell’aiuto».La giornata più torrida dell’anno, sotto tutti i punti di vista, non è servita a chiarire cosa farà (anzi dirà) oggi Mario Draghi. Sapremo tutto questa mattina: l’appuntamento di Draghi in Senato per le comunicazioni fiduciarie è in programma alle 9.30. Un’oretta di discorso, poi Draghi si sposterà alla Camera, dove alle 10.30 consegnerà al presidente Roberto Fico il testo delle dichiarazioni programmatiche rese a Palazzo Madama. Alle 11.30 il premier tornerà in Senato per il dibattito, che durerà fino alle 17. Un’ora di pausa, eventuale replica di Draghi e dichiarazioni di voto per appello nominale con inizio della chiama alle 18.30. Intorno alle 19.30 dovrebbe essere proclamato il risultato del voto. Domani ci si sposta alla Camera: alle 9 inizierà la seduta, alle 11.30 è prevista la replica di Draghi, poi ci saranno le dichiarazioni di voto dei gruppi. Alle 13.45 è in programma l’inizio della chiama nominale. Fra le 15 e le 15.30 ci sarà il voto di fiducia. Tutto ciò, ovviamente, accadrà solo se Draghi non renderà irrevocabili le sue dimissioni, comunicando la decisione al Senato per poi salire al Quirinale: in quel caso il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, scioglierà le Camere e si andrà alle elezioni tra fine settembre e inizio ottobre. «È probabile», prevede il costituzionalista Stefano Ceccanti, deputato del Pd, «che sia al Senato sia alla Camera la formula per la risoluzione che sarà sottoposta al voto dell’Aula sia essenziale, del tipo: la Camera, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio, le approva». Lo scenario più probabile, nel caso Draghi decida di non dimettersi irrevocabilmente, è che scandisca le sue priorità nell’azione del governo, e che i partiti si impegnino a rispettare questo patto senza dare luogo a ulteriori fibrillazioni. Del resto, Draghi aveva chiesto una maggioranza operativa e non caratterizzata politicamente, quindi di unità nazionale, per andare avanti. La prima condizione sarebbe soddisfatta dal voto favorevole alla risoluzione; la seconda dalla fuoriuscita di numerosi altri parlamentari dal M5s, circostanza che manterrebbe bilanciato il quadro politico della coalizione di governo. Il condizionale è d’obbligo, e tutto potrebbe crollare anche all’ultimo minuto. I fattori di incertezza riguardano, ad esempio, Lega e Forza Italia, i due partiti di centrodestra al governo, che hanno posto paletti programmatici a Draghi per continuare a sostenere l’esecutivo. A complicare il quadro ci si è messo Enrico Letta, che ieri mattina ha incontrato Draghi facendo andare su tutte le furie il resto della maggioranza. È stato il primo snodo della giornata di ieri: alle 10 del mattino Letta ha varcato il portone di Palazzo Chigi e ha chiesto al premier di dare continuità all’azione di governo. Nonno Mario ne ha ascoltato le argomentazioni, poi è salito al Quirinale e ha incontrato il capo dello Stato. Il colloquio tra i due è stato sereno: Mattarella è preoccupato da un addio di Draghi, ha sottolineato per l’ennesima volta che una crisi di governo è l’ultima cosa, in un momento così delicato, di cui l’Italia ha bisogno. Draghi ha ribadito di non poter proseguire in maniera incisiva di fronte a un quadro politico impazzito. «C’è molta incertezza», hanno spiegato alla Verità fonti autorevoli, al termine del colloquio, mentre la sensazione che arriva da più parti è che ormai il problema M5s sia superato: «Lo ha risolto Luigi Di Maio, prima con la formazione dei nuovi gruppi, poi con il costante collegamento con chi non ha intenzione di seguire la linea di rottura. Domani (oggi, ndr) o Giuseppe Conte vota la fiducia e Alessandro Di Battista lo massacra e si prende il partito, oppure non la vota e perde altri 20-30 parlamentari, che andranno a costituire un gruppo autonomo». Alle 18.30, Draghi ha sentito al telefono il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky. «L’ho ringraziato», ha twittato Zelensky, «per il supporto completo e la solidarietà del popolo italiano e per il significativo contributo personale del primo ministro nel concedere all’Ucraina lo status di Paese candidato all’adesione all’Ue». Sembrerebbero parole di commiato, ma nella generale drammatizzazione di queste ore non va dimenticato che, anche in caso di dimissioni, Draghi resterebbe a Palazzo Chigi fino almeno al prossimo novembre, quando si insedierebbe il nuovo governo. Oggi, dunque, conosceremo il finale di questa telenovela politica estiva, e sapremo anche chi uscirà ammaccato da questa folle settimana. Se Draghi accetterà di andare avanti senza il M5s, pur ulteriormente prosciugato, avrà comunque fatto un passo indietro rispetto alle sue tante dichiarazioni che escludevano questa possibilità. Se il M5s voterà la fiducia, sarà Conte a perdere faccia e partito. Se Lega e Forza Italia voteranno la fiducia insieme al M5s, avranno fatto retromarcia. Se la voteranno con il M5s fuori dalla maggioranza, dovranno assolutamente ottenere da Draghi delle aperture sulle loro richieste, ribadite in serata direttamente al premier, che alle 20 ha ricevuto a Palazzo Chigi Matteo Salvini, Antonio Tajani, Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi. Silvio Berlusconi, che ha telefonato a Draghi per organizzare l’incontro, è rimasto a Villa Grande.