2022-05-12
Super Mario prova a guidare la trattativa con la Russia
Vladimir Putin (Getty images)
L’Italia è il mediatore ideale per gli Usa: affine alla Federazione, ma meno succube di Berlino e meno centrale di Parigi nella Nato.Il viaggio di Mario Draghi verso gli Usa è iniziato a marzo del 2021, quando grazie alla collaborazione della Difesa fu arrestato l’ufficiale di Marina, Walter Biot. Pizzicato mentre passava a un militare russo documenti Nato. Nulla di nuovo, di per sé, se non la scelta di optare per i canali della giustizia ordinaria e dei Ros. Entrambi con l’obbligo di azione penale. Affidare la pratica ai servizi avrebbe messo a tutta la vicenda la sordina. Invece si è deciso di connotare la nascita del governo con un messaggio di rottura verso Mosca, trend che è andato via via crescendo fino alla decisione di inviare armi a supporto dell’esercito ucraino, all’indomani dell’invasione dell’Armata rossa. Adesso è più facile vedere il filo conduttore che unisce le singole decisioni tra di loro e che nei fatti si sta trasformando o potrebbe trasformarsi anche nella miccia pronta a far deflagrare persino i rapporti energetici tra Roma e Mosca. È chiaro che chiudere i rubinetti del gas sarebbe un danno enorme per l’Italia ma al tempo stesso l’arma finale di pressione anche nei confronti di Vladimir Putin. Le parole di Draghi in occasione della conferenza stampa americana lasciano aperta la possibilità di alzare i toni, tanto più che i rappresentanti delle forze armate a trazione Ue chiederanno già oggi di armare ancor di più Kiev. Ma al tempo stesso sembra che la tela avviata già a marzo dello scorso anno possa trasformarsi in una investitura per organizzare un tavolo di trattative con il Cremlino. Quando? Beh difficile da dirsi. Sicuramente appena prima che Putin possa sentirsi umiliato o peggio sconfitto. Non è un caso se ieri Draghi ha impresso anche una svolta interna alle difficili trattative sul gas e alla posizione delle nostre aziende pubbliche. Ha infatti aperto alla possibilità di pagare l’oro azzurro in rubli, senza violare le sanzioni. Un bel margine di manovra per tutti. Se l’ex Mr Bce riuscisse a intestarsi la trattativa e quindi tornasse in Italia con tale investitura, allora lo scenario italiano cambierebbe e non di poco. Innanzitutto Roma si troverebbe a essere il Paese Ue politicamente più forte anche se al tempo stesso quello economicamente più debole. Il che agli americani può andare molto bene perché aumenterebbe la nostra dipendenza psicologica dalle stelle e strisce. E l’effetto leva nei confronti di Germania e Francia. Da questo punto di vista il nostro Paese rientrerebbe nell’identikit perfetto. Molto dipendente dal gas russo, ma non quanto la Germania. Elemento chiave all’interno della Nato, ma non così forte da poter essere una pedina disturbante quanto lo sia la Francia. Ovviamente l’ipotesi di un tavolo di trattative spiegherebbe anche la scelta di Draghi di non andare a Kiev prima del volo a Washington, nonostante i consigli in direzione opposta della nostra intelligence. Il presidente del Consiglio avrebbe così la possibilità di girare a Volodymyr Zelensky una agenda più dettagliata e al tempo stesso la garanzia che l’Europa non ne esca del tutto umiliata. L’Ue dovrà in ogni caso - e quindi anche con un tavolo di trattative in corso - prepararsi ad anni di guerriglia in un territorio che è a pochi chilometri dal proprio confine. Figurarsi se a dover decidere confini o altri punti di caduta militari fosse chiamato addirittura un Paese terzo - il riferimento è a India e Israele.Il semicontinente indiano avrebbe la forza e le dimensioni per organizzare un tavolo con Mosca. Vorrebbe però dire spostare i pilastri del mondo. Uno rimarrebbe negli negli Usa, l’altro in Cina e il terzo, da Bruxelles, finirebbe a New Delhi. Troppa Asia, non farebbe comodo a nessun Paese occidentale. Un discorso simile si può fare con Tel Aviv. Se fosse Israele a intestarsi la mediazione, il Medio Oriente potrebbe prendere decisioni sul petrolio e sulle rotte che non garberebbero nemmeno Washington. Così si torna a Roma, che dal suo può mettere sul piatto anche il concetto di affinità culturale con Mosca. Lo dimostrano decenni di buone relazioni e intere colonie russe lungo la nostra penisola. Certo, non va omesso un altro dettaglio non irrilevante. Ovvero, il futuro immediato di Mario Draghi. È innegabile che il governo sia arrivato a fine corsa. Lo dimostrano le prove di forza sulla riforma fiscale, sul catasto, sul ddl Concorrenza e su qualunque passo che preveda una salda maggioranza parlamentare. Draghi potrebbe giocarsi la carta Nato sia che la trattativa per l’avvio di un tavolo con Putin vada in porto, sia che deragli. Certo, nel primo caso si sarebbe guadagnato i gradi sul campo e potrebbe lasciare Palazzo Chigi dando gli ultimi ordini proprio per mandare avanti quelle riforme sulle quali si è giocato la prima parte del mandato da premier e il tentativo, non andato in porto, di salire al Colle. Visto il crescente ruolo della Nato e delle armi, quello del segretario del Patto atlantico sarebbe anche un ruolo in grado di mandare input all’Italia e di contrastare la moral suasion tipica di Sergio Mattarella.