2022-07-21
Il premier distribuisce ceffoni e incassa una mini fiducia inutile
Grillini e centrodestra di governo non la votano dopo gli attacchi di Mario Draghi. Lo scivolone sulla risoluzione di Pier Ferdinando Casini, eletto dalla sinistra, suggerita dal capo di gabinetto di Palazzo Chigi, Antonio Funiciello. Oggi la salita al Colle.Chiede al Parlamento un «sostegno convinto» all’azione dell’esecutivo, non uno semplice, ma non ottiene né l’uno né l’altro e conclude così, salvo ormai clamorosi imprevisti, la sua esperienza a Palazzo Chigi: il giorno più buio della lunga carriera di uomo pubblico di Mario Draghi si consuma nell’aula del Senato. Non solo il M5s, i cui attacchi erano ampiamente previsti, ma pure Lega e Forza Italia lo azzannano in aula, capovolgendo i pronostici interessati di chi ha continuato a suonare la grancassa della responsabilità senza considerare il piccolo dettaglio che forse il primo ad essersi stancato era proprio lui, Draghi, che lo scorso gennaio voleva salire al Colle da presidente della Repubblica, e invece ci è salito più e più volte da premier in piena difficoltà. Il voto di fiducia si conclude con appena 95 voti a favore della risoluzione pro-Draghi, e considerato che i senatori sono 321, compresi quelli a vita, il risultato è disastroso.La giornata inizia alle 9.40: Draghi si presenta in Aula al Senato e svolge le sue comunicazioni. Il premier va giù duro contro il M5s, che lo scorso 14 luglio non ha partecipato al voto di fiducia a Palazzo Madama: «Non votare la fiducia a un governo di cui si fa parte», attacca Draghi, «è un gesto politico chiaro, che ha un significato evidente. Non è possibile minimizzarlo, perché viene dopo mesi di strappi ed ultimatum». Il premier riserva stoccate pesanti anche alla Lega. Il suo non è un discorso di riconciliazione, ma di rottura: «La riforma della concorrenza», dice Draghi rivolgendosi alla Lega, «tocca i servizi pubblici locali, inclusi i taxi, e le concessioni di beni e servizi, comprese le concessioni balneari. Ora c’è bisogno di un sostegno convinto», aggiunge, «all’azione dell’esecutivo, non di un sostegno a proteste non autorizzate, e talvolta violente, contro la maggioranza di governo».Il Carroccio va su tutte le furie (o vede l’assist ideale per andare alle elezioni anticipate). Filtra malumore dal «centrodestra di governo»: Silvio Berlusconi concorda con Salvini, il discorso di Draghi non soddisfa Lega e Forza Italia, tornati in sintonia con Giorgia Meloni dopo la rottura sul Quirinale. La dichiarazione di voto del capogruppo leghista a Palazzo Madama, Massimiliano Romeo, fa capire che il barometro segna tempesta: «Prendendo atto che il M5s è fuori», scandisce Romeo, «a questo punto si prenda atto che è nata una nuova maggioranza e serve ricostruire un nuovo governo». La Lega e Forza Italia chiedono un Draghi bis senza M5s. Mettono nero su bianco la loro condizione in un comunicato e in una risoluzione firmata da Romeo e da Roberto Calderoli, che chiede «un nuovo governo, guidato ancora da Mario Draghi, senza il M5s e profondamente rinnovato».ìDa Palazzo Chigi fanno sapere che non se ne parla neanche. Al Quirinale scatta l’allarme rosso. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sente al telefono tutti i leader della ormai quasi ex maggioranza. Berlusconi chiama Draghi. Si attende la replica del premier, che tradisce le attese dei suoi fedelissimi e va giù ancora più duro di quanto fatto in mattinata: «Il sostegno che ho visto nel paese», dice Draghi, «mi ha indotto a riproporre un patto di coalizione e sottoporlo a vostro voto, voi decidete. Niente richieste di pieni poteri». Mette il M5s spalle al muro su reddito di cittadinanza e superbonus, ma non fa nessuna apertura a Lega e Fi: «Chiedo che sia posta la fiducia sulla proposta di risoluzione presentata dal senatore Casini», conclude. «Ascoltate le comunicazioni del presidente del Consiglio, il Senato le approva», recita la risoluzione di Pierferdy, sostanzialmente un atto di sottomissione del parlamento al premier. È la mossa, a quanto apprende La Verità, suggeritagli dal suo capo di gabinetto Antonio Funiciello, che chiude ogni speranza di una ricomposizione della maggioranza. «Si mette male», dice alla Verità un ministro. Lega e Forza Italia vanno su tutte le furie: Draghi vuole la fiducia su una risoluzione presentata da un senatore, Casini, eletto col Pd e che oggi rappresenta solo sé stesso. Appena 24 ore prima, Draghi aveva incontrato solo il segretario del Pd Enrico Letta, scatenando altre proteste. Alle 18.26 arriva la nota del centrodestra di (ex) governo, sottoscritta da Forza Italia, Lega, Udc e Noi con l’Italia, che dicono di aver «accolto con grande stupore la decisione del presidente del consiglio Mario Draghi di porre la questione di fiducia sulla risoluzione presentata da un senatore, Casini, eletto dalla sinistra». Lega, Forza Italia e M5s dichiarano che non parteciperanno al voto di fiducia, che alle 20.20 si conclude con soli 95 voti a favore e 38 contrari. Draghi rientra a Palazzo Chigi, alle 21 lascia la sede del governo, ma non va al Quirinale. Oggi alle 9 sarà alla Camera, poi andrà da Mattarella a dimettersi per l’ultima volta, quella buona.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)