2024-12-09
Dopo la Siria, Mosca rischia nel Sahel
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Il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione del Mali,Abdoulaye Diopministro e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov (Ansa)
La caduta di Bashar al-Assad ha rappresentato un duro colpo per la Russia, che adesso potrebbe dover gestire delle complicazioni anche nella regione del Sahel. Negli ultimi due anni e mezzo, quest’area è in buona parte entrata nell’orbita geopolitica di Mosca. A farlo, sono stati soprattutto tre Paesi: Mali, Burkina Faso e Niger. A settembre 2023, questo terzetto ha sottoscritto un patto di sicurezza e di mutua assistenza militare: un’intesa che, benedetta de facto dal Cremlino, suonò come uno schiaffo tanto all’Ecowas quanto alla Francia. Parigi, dal canto suo, è sempre più debole. Il Ciad ha annunciato che i soldati francesi abbandoneranno il proprio territorio, mentre il Senegal ha di recente espresso fastidio per le basi dell’Esagono che ospita.Se dunque Mosca si è notevolmente rafforzata nell’area nel corso degli ultimi due anni e mezzo, adesso la crisi siriana potrebbe crearle dei problemi rilevanti. Ricordiamo che la principale sigla di insorti che ha condotto l’offensiva contro Assad è Tahrir al-Sham: un’organizzazione islamista che presenta storici legami con Al Qaeda, oltre che rapporti ambivalenti con la Turchia. Ebbene, il jihadismo salafita è un avversario che Mosca si sta trovando ad affrontare anche nel Sahel. Da questo punto di vista, una delle organizzazioni più attive è quella di Jama'at Nasr al-Islam (Jnim), che è la branca sahariana di Al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqim). Lo scorso settembre, proprio Jnim ha rivendicato la responsabilità di due attacchi a Bamako. Secondo l’Isw, «Jnim ha notevolmente rafforzato le sue zone di supporto nel Mali meridionale dal 2022 e sta probabilmente utilizzando queste aree per supportare attività più sofisticate e frequenti nella capitale e nei dintorni». Uno degli obiettivi dei jihadisti è quello di indebolire la giunta militare al potere in Mali: giunta che gode del sostegno russo. D’altronde, uno dei mezzi che Mosca ha usato per rafforzare la sua influenza politico-militare sul Sahel è stato quello di presentarsi come maggiormente capace di aiutarne i governi a fronteggiare la minaccia jihadista. Una minaccia che però non è ancora stata sradicata. Senza contare che il successo di Tahrir al-Sham in Siria potrebbe spingere gli islamisti del Sahel ad alzare il tiro e a mettere ancora di più sotto pressione Mosca. Tanto più che, adesso, anche l’Iran potrebbe veder traballare la propria influenza sulla regione africana. Di contro, la Turchia potrebbe approfittare della situazione, sfruttando anche i suoi stretti rapporti con il governo di Tripoli. Per la Russia si tratta potenzialmente di un incubo geopolitico. Le trattative per porre fine alla crisi ucraina si avvicinano. E, perdendo terreno sia in Siria che nel Sahel, Vladimir Putin potrebbe ritrovarsi con un potere negoziale decisamente ridotto. Una situazione che Donald Trump potrebbe sfruttare al tavolo diplomatico.
Nel riquadro, il chirurgo Ludwig Rehn (IStock)
Non c’era più tempo per il dottor Ludwig Rehn. Il paziente stava per morire dissanguato davanti ai suoi occhi. Era il 7 settembre 1896 e il medico tedesco era allora il primario di chirurgia dell’ospedale civile di Francoforte quando fu chiamato d’urgenza per un giovane giardiniere di 22 anni accoltellato nel pomeriggio e trovato da un passante soltanto ore più tardi in condizioni disperate. Arrivò di fronte al dottor Rehn solo dopo le 3 del mattino. Da questo fatto di cronaca, nascerà il primo intervento a cuore aperto della storia della medicina e della cardiochirurgia.
Il paziente presentava una ferita da taglio al quarto spazio intercostale, appariva pallido e febbricitante con tachicardia, polso debole, aritmia e grave affanno respiratorio (68 atti al minuto quando la norma sarebbe 18-20) aggravato dallo sviluppo di uno pneumotorace sinistro. Condizioni che la mattina successiva peggiorarono rapidamente.
Senza gli strumenti diagnostici odierni, localizzare il danno era estremamente difficile, se non impossibile. Il dottor Rehn riuscì tuttavia ad ipotizzare la posizione del danno mediante semplice auscultazione. La ferita aveva centrato il cuore. Senza esitare, decise di intervenire con un tamponamento cardiaco diretto, un’operazione mai provata precedentemente. Rehn praticò un’incisione di 14 cm all’altezza del quinto intercostale e scoprì la presenza di sangue scuro. Esplorò il pericardio con le mani, quindi lo aprì, esponendo per la prima volta nella storia della medicina un cuore attivo e pulsante, seppur gravemente compromesso e sanguinante. Tra i coaguli e l’emorragia Rehn individuò la ferita da taglio all’altezza del ventricolo destro. Il chirurgo operò una rapida sutura della ferita al cuore con un filo in seta, approfittando della fase di diastole prolungata a causa della sofferenza cardiaca. La sutura fu ripetuta tre volte fino a che l’emorragia si fermò del tutto e dopo un sussulto del cuore, questo riprese a battere più vigoroso e regolare. Prima di richiudere il torace, lavò il cuore ed il pericardio con soluzione idrosalina. Gli atti respiratori scesero repentinamente da 76 a 48, la febbre di conseguenza diminuì. Fu posto un drenaggio toracico che nel decorso postoperatorio rivelò una fase critica a causa di un’infezione, che Rehn riuscì tuttavia a controllare per l’efficacia del drenaggio stesso. Sei mesi dopo l’intervento il medico tedesco dichiarava: «Sono oggi nella fortunata posizione di potervi dichiarare che il paziente è ritornato in buona salute. Oggi è occupato in piccole attività lavorative, in quanto non gli ho al momento permesso nessuno sforzo fisico. Il paziente mostra ottime prospettive di conservazione di un buono stato di salute generale».
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