Dopo gli osanna all’austerità i media di Elkann accusano la Meloni dei tagli alla sanità

Il lato chiaro della forza è tornato. A vendicare le ingiustizie ci pensano i gloriosi quotidiani del gruppo Gedi, per l’occasione rinominati Jedi. Ieri, in assetto stellare, hanno menato due epocali fendenti. L’impero di carta degli Elkann, nell’attesa di agguerrite inchieste sulle magagne testamentarie e industriali della Real casa, si scaglia contro il governo. «Uccide la sanità», strilla in prima pagina La Stampa, riprendendo un accorato appello firmato da Nobel e scienziati. Pure Repubblica esplode in prima: «Sanità a rischio crac». Unite come una sola testata nel nome della segretaria piddina, Elly Schlein, che sembra aver finalmente trovato un argomento che non divide il tormentatissimo partito: «Chi ha il portafoglio gonfio può andare dal privato a saltare le lunghissime liste d’attesa, chi non ha i mezzi per farlo sta rinunciando a curarsi e noi non lo possiamo accettare» reitera la Ocasio-Cortez del Ticino, ospite di Porta a Porta. Che sull’argomento, da settimane, batte e ribatte.
La santa alleanza tra Jedi ed Elly fomenta pure la battagliera Conferenza delle regioni, che sferra l’ultimatum: basta «definanziamento», altrimenti si rivolgerà alla Corte costituzionale. Insomma: dopo un decennio di incessanti risparmi, giornali e opposizione scoprono il male dei mali. I tagli alla sanità. Cominciati nel 2011 a onor del vero, con il governo guidato da Mario Monti. Proseguiti, con la tripletta democratica a Palazzo Chigi: Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni. E terminati con la pandemia. Totale: meno 37 miliardi. Una decade rinominata «la stagione dei tagli» dalla Fondazione Gimbe di Nino Cartabellotta: non un pericoloso sovranista, ma un nume tutelare dei democratici. Come scrive Gimbe, sono stati sottratti 25 miliardi tra il 2010 e il 2015, durante la spending review, e altri 12 nei quattro anni seguenti.
Periodi di lacrime e sangue. Bruxelles esigeva. Roma batteva i tacchi. Mentre Stampa e Repubblica lodavano l’inevitabile austerità. «Ce lo chiede l’Europa», ritmavano in coro progressisti e professori. Adesso, invece, non ci sono santi. La Stampa fa pelo e contropelo agli imperanti predoni, unici responsabili dello sfacelo. Crescono spesa privata e liste d’attesa. Guardie mediche in straordinario affanno. Coesione sociale a rischio. Insomma: urge adeguare i finanziamenti agli standard europei. E anche Repubblica non sente ragioni, appellandosi all’eterno proverbio napoletano: «Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdammoce o’ passato». Parte dunque lancia in resta, prendendo spunto dalla raccolta di firme. Professoroni e cattedratici sollecitano un piano «straordinario di investimenti». La richiesta diventa un insuperabile pretesto. Le tinte fosche, sui due quotidiani, diventano color pece: «Ospedali a pezzi e attese infinite». L’Italia è «fanalino di coda nella spesa». Urlo di dolore schleiniano: «Non diventi un Paese per ricchi». Conseguente è l’editoriale a corredo, intitolato: «L’eguaglianza negata». Segue a pagina 25, dove osano solo gli affezionati. E lì, tra una stilettata e l’altra all’inumano esecutivo, si legge: «La sanità pubblica italiana ha conosciuto negli ultimi 15 anni un declino costante e accelerato, aggravato dalla pandemia che ha fatto esplodere anche una crisi di personale e formazione».
Oibò. Proprio gli irripetibili anni in cui Repubblica era controllata da Carlo De Benedetti, tessera numero uno del Pd. A marzo 2012, mentre Monti annuncia inesorabili economie, l’Ingegnere gongola: «Credo che il presidente della Repubblica abbia fatto un capolavoro politico nel riuscire a mettere il miglior primo ministro che ci sia». L’allora corazzata di largo Fochetti, d’altronde, aveva già salutato l’avvento del morigeratissimo messia con smodato tripudio: «Quasi otto italiani su dieci manifestano un giudizio positivo nei confronti del governo. Ma il consenso personale del nuovo presidente del Consiglio è ancora più ampio: 84%». Del resto, osserva il quotidiano il 20 novembre 2011, «è bastata una settimana perché il clima d’opinione svoltasse dalla depressione all’euforia». Un mese dopo, il professore in loden comincia a depauperare la sanità con il decreto «Salva Italia». Inaugurando una lunga epoca di sforbiciate, poi continuate con i tre esecutivi targati dem. 37 miliardi di tagli: 200 piccoli ospedali, 45.000 letti, 6 mila medici e 11.000 infermieri.
Solo adesso, però, Elly si ridesta. Imbambolata su tutto lo scibile politico, dalle guerre nel mondo all’alleanza con i grillini, non le rimane che riesumare l’arcinoto. Per carità: nessuno nega gli atavici ed enormi affanni del nostro sistema sanitario. Ma per addossarli all’attuale maggioranza serve rara audacia. Fortunatamente, a dare manforte, accorre la sempre amica stampa elkanniana: «Il governo uccide la sanità». Un’ardita operazione politico editoriale. È il ritorno dei giornali Jedi, contro il lato oscuro della forza. Peccato abbiano sbagliato galassia.






