Visto che finora le sanzioni economiche non sono riuscite a fermare Vladimir Putin, Joe Biden arriva oggi a Bruxelles per chiedere all’Europa di rincararle. Ma che altro può fare la Ue oltre a quello che ha già fatto, ossia bloccare fondi e proprietà degli oligarchi e bandire dal circuito finanziario aziende e istituzioni finanziarie legate al Cremlino? La risposta è semplice: il presidente americano, oltre a insistere perché altre società russe siano aggiunte alla lista nera, farà pressioni per ridurre gli approvvigionamenti di gas, petrolio e carbone.
In pratica, Biden vuole imporre agli europei l’embargo dei combustibili, da cui Mosca trae una parte importante dei suoi introiti. Il problema è che un blocco totale degli acquisti di materiale energetico proveniente dalla Russia porterebbe molti Paesi non soltanto a limitare l’uso del riscaldamento domestico, ma anche a fermare la maggior parte degli impianti industriali. La questione non riguarda, o riguarda parzialmente, la Gran Bretagna, perché dal punto di vista energetico è quasi autosufficiente, e neppure la Francia, perché con i suoi 58 reattori nucleari produce da sé quasi il 70% dell’energia elettrica di cui ha bisogno. Tuttavia, per Germania e Italia (ma anche per Ungheria e molti altri Paesi) sarebbero guai, perché la loro economia dipende in gran parte dal gas, dal petrolio e dal carbone russo. Per noi sarebbe un vero disastro, perché è vero che da quando la Russia ha invaso l’Ucraina il governo si sta dando da fare per cercare di sostituire il gas di Putin con quello di qualche altro autocrate un po’ più presentabile (si è parlato di Algeria, Azerbaigian, Libia e Qatar) oppure per acquistare gas liquido dagli Stati Uniti, reperendo rigassificatori mobili, visto che nel nostro Paese non ci sono quelli fissi (i tre esistenti sono insufficienti). Però, per fare tutto ciò servono tempo e denaro, due elementi di cui non disponiamo. Se si rinuncia ai combustibili russi, i prezzi di gas e petrolio sono destinati a salire e trasportare con navi cisterna il gnl dall’America non è gratis. L’alternativa potrebbe essere ridurre un po’ le importazioni da Mosca, in modo da finanziare meno la guerra scatenata da Putin. Ma fiutata l’aria, lo zar del Cremlino ha giocato d’anticipo, imponendo le transazioni in rubli invece che in dollari, sostenendo così la moneta nazionale e cercando di far alzare ulteriormente le quotazioni del metano, al fine di compensare ciò che potrebbe perdere da una parte nel caso le sanzioni colpissero anche i combustibili.
Che la guerra si combattesse oltre che con i missili anche con le misure economiche c’era da immaginarselo. Tuttavia, mentre i primi stanno martellando le città ucraine, le seconde, oltre a colpire Mosca colpiranno l’Europa. Se la Cina è il principale partner commerciale della Russia, il secondo è la Germania e il terzo l’Italia. In poche parole, i tedeschi e noi siamo tra coloro che pagheranno il prezzo più alto di ciò che sta succedendo. E non c’è solo il gas, che farebbe mancare l’energia necessaria a far funzionare le nostre fabbriche, ci sono l’acciaio, che noi importiamo, così come il legno, i fertilizzanti e il grano. Al momento, il Prodotto interno lordo che quest’anno era visto in crescita ha già ridotto le stime, ma se la guerra continuerà, non è da escludere che il nostro Paese entri in recessione. Non va meglio alla Germania, che forse è ancora più esposta di noi verso Mosca. E anche qui non soltanto per il gas, che pure tiene accesa l’industria tedesca, ma per tutti gli scambi con Mosca, operazioni commerciali che sono stimate in 25 miliardi di dollari. Se Germania e Italia sono tra i primi partner, la Russia nel suo complesso vale per la Ue all’incirca 80 miliardi di export, ma quasi 100 di import. Andando al sodo, questo significa che, oltre agli ucraini che ci rimettono la vita, il conto di questa guerra lo pagano essenzialmente gli europei.
Biden spinge per nuove sanzioni contro Putin e se il suo obiettivo di fermare l’avanzata russa non si concludesse con il ritiro dei soldati di Mosca e la restituzione a Kiev di tutti i territori occupati, come ormai molti analisti ipotizzano, potrebbe consolarsi con le conseguenze che il conflitto porterà, ovvero un sostanziale rallentamento dell’economia europea. Certo, gli Stati Uniti sono nostri alleati e dovrebbero guardare con simpatia a ciò che succede nel vecchio continente. Tuttavia, se da un lato considerano l’Italia un Paese amico, anche se poco affidabile, dall’altro osservano con sospetto la Germania. Il Dieselgate scoppiato qualche anno fa aveva nel mirino l’industria tedesca e il surplus commerciale di Berlino, che è il maggiore al mondo. Anni fa gli Stati Uniti lo definirono «eccessivo e fonte di grave preoccupazione». Del resto, a gennaio di quest’anno, un’analisi del sito americano Politico, sempre ben informato, segnalava che «un potente cocktail di energia e interessi commerciali stava allontanando la Germania dall’ovile occidentale», a dimostrazione della crescente insofferenza dell’amministrazione di Washington verso Berlino e i rapporti con Mosca. Nell’articolo si parlava di «deriva» e di interessi non più in sintonia con quelli degli Stati Uniti, aggiungendo che, a giudicare dai bestseller in libreria, nel Paese stava crescendo un vecchio antiamericanismo.
Insomma, non sappiamo se le sanzioni faranno il loro dovere, fermando i carrarmati russi, ma è assai probabile che riusciranno a rallentare la locomotiva tedesca e, purtroppo, produrranno anche un effetto collaterale sulla corriera italiana. Per tacere del resto del convoglio europeo, con carrozze di seconda classe.