2021-02-03
Dogmi green, liberismo e deflazione. Bussola per capire il dopo pandemia
Greta Thunberg (Kay Nietfeld/picture alliance via Getty Images)
La retorica della «transizione energetica», basata sulla «decarbonizzazione», cela un sistema di interessi sovra statali che rischia di ridisegnare la geografia economica mondiale. Con la Cina come nuovo fattore Urss.Siamo tuttora immersi in un passaggio da un'epoca caratterizzata da relazioni complesse ma, in definitiva, ancora stabili e prevedibili tra il nucleo di Paesi consumatori appartenenti al blocco delle poliarchie democratiche occidentali, rappresentati dall'Ocse, e il gruppo relativamente ristretto di produttori riuniti attorno all'Opec (più la Russia), a un nuovo mondo caratterizzato, invece, da nuove aree di produzione e consumo - specialmente in Asia - in rapida espansione. Di qui un livello di frammentazione delle relazioni energetiche a livello transnazionale quale mai avevamo avuto in passato.I modelli di governance poliarchici, sia tra imprese, sia tra Stati, devono essere sottoposti a profonde trasformazioni e saranno difficili da gestire attraverso i modelli precedenti. Si sono rese manifeste simultaneamente, a riprova di quanto avevo previsto anni orsono, quelle profonde faglie che stanno sempre più aprendosi nel sistema capitalistico mondiale tra Stati e cluster di imprese, tra il nuovo complesso interstatale di relazioni spongiformi e ciò che rimane degli Stati, da un lato, e le nuove forme di relazioni oligarchiche tecnocratiche, dall'altro. Appare un nuovo volto dello Stato senza più «ragion di Stato» e sempre più poroso e ibridato da soggetti che sfuggono alle regole della democrazia liberale, quale quella che ci era stata consegnata dalla tradizione del grande costituzionalismo francese à la Constant e à la Madame de Staël. Gli accordi internazionali sulla decarbonizzazione, su cui qui si richiama solo l'attenzione per un bisogno cognitivo tanto sono noti ormai all'«universo mondo», quegli accordi dovrebbero addirittura sostituirsi sia al mercato sia agli Stati, in questo tempo di liberismo dispiegato e di deflazione secolare, con una singolare contraddizione che apre problemi economici e filosofici rilevanti.[...] Da un lato, quindi, aumentano gli accordi interstatali di cooperazione multilaterale su questioni proprie un tempo della «ragion di Stato» e della libertà d'impresa (si pensi, appunto, agli impegni assunti da rappresentanti delle diversificate tecnocrazie interstatali sulla transizione energetica, decarbonizzazione in primis) e, dall'altro lato, si rendono vieppiù manifesti diversificati rifiuti dei modelli di cooperazione multilaterale. Sempre più difficile, però, è rendere compulsivo qualsivoglia modello e processo implementativo di linee guida, di regole e di comportamenti inclusivi e stabili. La radice di ciò risiede nel mondo a frattali che si sta delineando in primo luogo nelle relazioni internazionali. Dopo il crollo dell'Urss si è creato un vuoto di regolazione dei rapporti di potenza non ancora colmato, perché nessun accordo generale ha sostituito il complesso architetturale costruitosi durante la guerra fredda. Ciò è accaduto per l'assenza di un trattato che potesse ricostruire, dopo il crollo dell'Urss, il sistema delle relazioni internazionali mondiali. [...] Tutto ciò mentre si affaccia una nuova potenza marittima dittatoriale nell'agone mondiale (la demografia grazie alla tecnologia si trasforma infatti in un possibile profilo statuale di potenza sino a oggi inaudito nel caso cinese), sconvolgendo le relazioni tra gli Stati che dopo il crollo dell'Urss non avevano trovato nessun assestamento, come dimostrarono le guerre europeo-balcaniche e le guerre mesopotamiche, con il Mediterraneo di nuovo contendibile per il ritorno della Russia nei mari caldi. Non solo le guerre per procura nelle aree che sono alle pendici dell'Eurasia e nei laghi (il Mediterraneo appunto) che sono dominanti per il controllo delle terre, ma guerre che servono per alternare iniziative diplomatiche cruciali per la stabilizzazione del conflitto e la vittoria bilanciata. L'esempio che è venuto dalle guerre libiche (come da quelle balcaniche) è proprio questo. Infatti non si è giunti a uno scontro totale tra Turchia e Russia, ma è successo quello che si è verificato in Bosnia: un'alternanza tra azione militare e trattative diplomatiche. [...] Siamo dinanzi a una chiara testimonianza dell'inadeguatezza delle attuali architetture istituzionali internazionali in ambito energetico. Ciò che conta è sottolineare che si è affermata, nella costruzione simbolica imposta dalle agenzie della globalizzazione finanziaria, la costruzione narrativa fondata sull'assunto che sia la decarbonizzazione la via maestra attraverso cui si può giungere a una riduzione della CO2 che viene emessa nell'atmosfera terrestre, ignorando che è il complesso delle fonti energetiche tutte (sempre migliorabili ambientalmente) che, invece, consente la riproduzione dei sistemi economici e sociali mondiali.[...] Si tratta quindi della necessità di una trasformazione profonda dell'intero modo di produrre su scala mondiale multifattoriale. È impensabile che questo processo possa essere affidato all'eteroregolazione interstatuale. [...] Questo implica una trasformazione della prassi e del concetto stesso di «ragion di Stato». [...] La radice distintiva di queste forme politiche è il fatto che tutte si muovono al confine tra Stato e mercato, preformando tanto con la procedura tecnica quanto con l'ideologia (nel caso nostro «climatica» e «naturistica») ora l'uno ora l'altro degli elementi della relazione Stato-mercato, grazie al peso possente che esercitano le relazioni interstatuali che si sono sedimentate in questo intreccio simbolico e sociale del nuovo potere transnazionale.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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