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2022-02-17
La scelta di Djokovic fa capire ai talebani che persino i no vax sono esseri umani
Novak Djokovic (Ansa)
È stato Maximilien Robespierre a sintetizzare meglio di ogni altro le convinzioni dei rivoluzionari che si credono profeti: «Noi vogliamo», scrisse, «adempiere ai voti della natura, compiere i destini dell’umanità, mantenere le promesse della filosofia, assolvere la provvidenza dal lungo regno del crimine e della tirannia». È quel che succede quando i regimi politici assumo i tratti del culto: l’élite di illuminati al comando si ritiene portatrice del Bene e destinata a redimere il mondo. L’umanità, di conseguenza, viene divisa fra puri e impuri, cioè fra quanti obbediscono all’autorità e i nemici (tutti gli altri). Se l’obiettivo è quello di salvare il mondo dalla corruzione, non si può stare a sottilizzare: si adopera l’accetta, mica il cesello. Finora, nella gestione della pandemia, è stato utilizzato esattamente questo approccio: un piccolo gruppo di luminari ha inteso purificare la nazione corrotta e virulenta, e ha proclamato la legge marziale. In un lampo, l’atroce distinzione (operazione che ai progressisti riesce sempre benissimo) è stata compiuta: bianco o nero, nessuna sfumatura.
I risultati li abbiamo sotto gli occhi. La Cattedrale sanitaria non ha certo trascurato di opprimere i suoi pur fedeli seguaci, ma si è accanita con ferocia inaudita sugli eretici, gli untori no vax. Costoro sono stati prima indicati come l’incarnazione della suprema impurità. Poi sono stati trattati come individui pericolosi: isolati, esclusi dalla società, privati di diritti fondamentali, lasciati alla fame senza stipendio. A ogni italiano è stato chiesto di scegliere: il bene o il male. Il fatto è che l’approccio «con noi o contro di noi» funziona appunto in guerra. Si spara a chi ha la divisa di un altro colore, senza pensare. Ma in una situazione che non sia bellica, nella vita quotidiana, almeno in una democrazia, non è possibile applicare la distinzione puro/impuro. Bisogna tenere presente che un certo grado di impurità, una sfumatura di grigio tra il bianco e il nero, è sempre presente. Un regime democratico vive anche del particolare, cioè del caso singolo. Dividere in categorie - o, come nel caso attuale, in bioclassi - significa in definitiva disumanizzare gli uomini, ridurli a numeri.
Certo, esistono frange di individui pregiudizialmente ostili ai vaccini, magari pure riuniti in gruppi e molto attivi sul piano sociale e politico. Ma i no vax, così come sono stati raccontati - cioè come un monolite compatto e ostile - non esistono. Semmai, esistono persone che non si sono vaccinate. Persone che si sono fatte due dosi e rifiutano la terza. O ancora genitori vaccinati che non vogliono vaccinare i figli.
Obbligare milioni di persone a compiere una scelta sotto ricatto significa, nei fatti, privarle della loro individualità, annientarle in quanto individui per prenderli in considerazione soltanto come massa. Ovvio: meccanismi di questo tipo sono sempre all’opera in tutti gli Stati. Ma quando vengono utilizzati in circostanze che riguardano la più profonda intimità dei cittadini, beh, allora la faccenda si fa sgradevole. Se qualche governante si prendesse la briga di leggere le centinaia e centinaia di lettere che stiamo ricevendo all’indirizzo riservato agli «Invisibili», si renderebbe conto di quanto siano meritevoli di attenzione le storie di ciascuno di loro. Sono tutte simili, per certi versi, ma anche profondamente differenti. Ognuno ha le sue ragioni, e spesso sono più che fondate. Se i commentatori e i fini editorialisti perdessero pochi minuti e provassero a immedesimarsi nelle persone che si sentono espulse dalla nazione, forse ne ricaverebbero certezze meno granitiche. Forse arriverebbero persino a dirsi: chissà, al posto di costui anche io mi comporterei così, anche io avrei timore o opporrei un rifiuto.
Purtroppo, nessuno sembra volersi disturbare ad approfondire. A meno che la «singola storia» non sia quella di un personaggio famoso. Ieri, sulla Stampa, Mattia Feltri si è concesso il lusso di esaminare la vicenda di Novak Djokovic, tennista eccelso che notoriamente rifiuta il vaccino, e per questo è stato accusato di essere un cattivo maestro o un ricco arrogante dalla quasi totalità dei media italici (e non solo). Feltri ha ascoltato per un momento le ragioni dello sportivo, e ne è rimasto colpito: «Non ha parlato di rettiliani, di dittatura nazisanitaria, non ha negato il Covid, ha parlato soltanto dell’armonia in cui vive col suo corpo e della sua libertà di scelta. Non credo abbia ragione», ha concluso il collega, «ma la mitezza delle sue parole e l’enormità che è disposto a sacrificare - le solide chance di trionfare nella più lunga e inebriante battaglia della storia dello sport - impongono di rivedere il pigro ritratto collettivo che abbiamo fatto dei renitenti al vaccino, anche soltanto per guardare in faccia il talebano che è in noi».
Siamo felici che Feltri - come altri risvegliati in questo clima da 8 settembre - abbia scoperto che anche i vaccinati sono esseri umani. Ma non è certo Djokovic a imporci di «rivedere il pigro ritratto collettivo» dei no vax. Sono, semmai, le singole storie degli italiani che in queste ore non possono salire sul bus o prendere un caffè al bar, non possono lavorare o spostarsi. Gente che intacca i risparmi o chiede prestiti per sopravvivere solo perché un piccolo gruppo di talebani, di fanatici ottusi del culto sanitario, ha deciso di trattarli da nemici. Anche se la guerra non c’è, e non ci sono ragioni scientifiche o mediche per dichiararla.
In una puntata di quel gioiello televisivo che fu La notte della Repubblica, Sergio Zavoli intervistò una ex militante di Prima linea. Una donna elegante e intelligente che aveva organizzato, anni prima, l’annientamento fisico di un giudice che indagava sul suo gruppo «rivoluzionario». Quasi incredula davanti all’evidenza (sì, proprio lei aveva commesso tali e tante atrocità!), la signora dichiarò che più passava il tempo e più si pentiva. Ogni giorno cresceva la disperazione per aver causato la morte di quel giudice perché, diceva l’ex guerrigliera, «ho scoperto che era un uomo buono, normale».
Ebbene, lì fuori è pieno di uomini e donne buoni, «normali». E voi li state opprimendo senza pietà e, soprattutto, senza motivo. Sulla Repubblica, la notte è calata di nuovo.
Il Garante toscano dei minori: «Non negate loro lo sport»
«Non ci stiamo». Non hanno usato queste parole ma è come se lo avessero fatto, i tre Garanti per l’infanzia e l’adolescenza che, come segnala «Gli sportivi», gruppo attivo anche su Telegram a cui fanno riferimento 9.000 genitori di circa 25.000 ragazzi, hanno manifestato la loro contrarietà a quella che considerano una grave discriminazione.
Il riferimento, come noto, è ai decreti legge 221 e 229 che, a partire dal 10 gennaio, stabiliscono per i ragazzi non vaccinati l’esclusione da qualsivoglia attività ludica, ricreativa, sportiva, culturale. Per capirci, questi giovani - pur essendo a tutti gli effetti sani - se non sono in regola con il ciclo vaccinale oppure guariti non possono più giocare la partita di calcio, né frequentare il corso di musica, di danza, di ginnastica.
Una situazione grave che, nell’arco di poche settimane, segnalano «Gli sportivi», ha visto attivarsi diverse figure che hanno nella tutela dei diritti dei ragazzi la loro ragion d’essere. Il primo era stato, ancora a fine dicembre, Francesco Lalla, difensore civico con la delega di Garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Liguria, il quale aveva chiesto un «alleggerimento delle forme di intervento circa l’uso e l’esibizione del green pass» stigmatizzando «parole, gesti o comportamenti nei confronti di bambini e ragazzi a proposito della vaccinazione o della non vaccinazione».
Più recentemente, ai primi di febbraio, è poi stato Fulvio Biasi, Garante dei diritti dei minori per la Provincia Autonoma di Trento, è scrivere di suo pugno ai vertici delle istituzioni locali una lettera per dare voce ad un disagio avvertito come crescente. Tutto questo a causa di «una perdurante e martellante narrazione mediatica, testa ad indicare i bambini e i ragazzi quali diffusori di malattia, con conseguente loro colpevolizzazione di essere «sbagliati». «Il solo pensiero di condizionare il diritto allo studio al possesso di un lasciapassare da dover esibire sui mezzi pubblici, per accedere alle attività sportive e culturali costituisce non solo una gravissima ferita allo spirito della carta costituzionale ma anche un insulto all’intelligenza della generalità dei consociati», ha sottolineato Biasi.
Toni non molto diversi sono pure quelli impiegati il 9 di febbraio, rispondendo proprio al gruppo «Gli sportivi», da Camilla Bianchi, Garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Toscana. Infatti, oltre ad aver manifestato a varie istituzioni - a partire dal presidente del Consiglio Draghi - «fortissime perplessità sussistenti nella cittadinanza relativamente all’inoculazione del vaccino nei giovanissimi, attesi i possibili effetti pregiudizievoli ancora ignoti dello stesso in questa fascia di età molto delicata ed in pieno sviluppo», Bianchi ha riconosciuto le criticità legate all’introduzione del passaporto sanitario.
«A seguito all’introduzione del green pass i ragazzi che per varie motivazioni non vengano vaccinati o non abbiano oggettivamente bisogno di esserlo», ha infatti scritto la Garante della Toscana, «non saranno più in grado di poter pienamente socializzare, divertirsi, coltivare le loro passioni (sport, cinema, teatri, biblioteche...)». Per questo Bianchi si augura, a breve, «nuove determinazioni che vengano eventualmente assunte ai vari competenti livelli istituzionali, auspicando che le stesse siano in grado, se non di superare integralmente, almeno di mitigare le serie criticità segnalate». Un auspicio evidentemente non isolato.
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Stampa e politica hanno mostrificato chi non si è vaccinato. Ora che tocca al campione, qualcuno scopre una realtà diversa.Il Garante toscano dei minori: «Non negate loro lo sport». È già la terza Authority a preoccuparsi per i giovani atleti discriminati dal green pass. Si mobilita un gruppo di 9.000 genitori.Lo speciale contiene due articoli.È stato Maximilien Robespierre a sintetizzare meglio di ogni altro le convinzioni dei rivoluzionari che si credono profeti: «Noi vogliamo», scrisse, «adempiere ai voti della natura, compiere i destini dell’umanità, mantenere le promesse della filosofia, assolvere la provvidenza dal lungo regno del crimine e della tirannia». È quel che succede quando i regimi politici assumo i tratti del culto: l’élite di illuminati al comando si ritiene portatrice del Bene e destinata a redimere il mondo. L’umanità, di conseguenza, viene divisa fra puri e impuri, cioè fra quanti obbediscono all’autorità e i nemici (tutti gli altri). Se l’obiettivo è quello di salvare il mondo dalla corruzione, non si può stare a sottilizzare: si adopera l’accetta, mica il cesello. Finora, nella gestione della pandemia, è stato utilizzato esattamente questo approccio: un piccolo gruppo di luminari ha inteso purificare la nazione corrotta e virulenta, e ha proclamato la legge marziale. In un lampo, l’atroce distinzione (operazione che ai progressisti riesce sempre benissimo) è stata compiuta: bianco o nero, nessuna sfumatura.I risultati li abbiamo sotto gli occhi. La Cattedrale sanitaria non ha certo trascurato di opprimere i suoi pur fedeli seguaci, ma si è accanita con ferocia inaudita sugli eretici, gli untori no vax. Costoro sono stati prima indicati come l’incarnazione della suprema impurità. Poi sono stati trattati come individui pericolosi: isolati, esclusi dalla società, privati di diritti fondamentali, lasciati alla fame senza stipendio. A ogni italiano è stato chiesto di scegliere: il bene o il male. Il fatto è che l’approccio «con noi o contro di noi» funziona appunto in guerra. Si spara a chi ha la divisa di un altro colore, senza pensare. Ma in una situazione che non sia bellica, nella vita quotidiana, almeno in una democrazia, non è possibile applicare la distinzione puro/impuro. Bisogna tenere presente che un certo grado di impurità, una sfumatura di grigio tra il bianco e il nero, è sempre presente. Un regime democratico vive anche del particolare, cioè del caso singolo. Dividere in categorie - o, come nel caso attuale, in bioclassi - significa in definitiva disumanizzare gli uomini, ridurli a numeri. Certo, esistono frange di individui pregiudizialmente ostili ai vaccini, magari pure riuniti in gruppi e molto attivi sul piano sociale e politico. Ma i no vax, così come sono stati raccontati - cioè come un monolite compatto e ostile - non esistono. Semmai, esistono persone che non si sono vaccinate. Persone che si sono fatte due dosi e rifiutano la terza. O ancora genitori vaccinati che non vogliono vaccinare i figli. Obbligare milioni di persone a compiere una scelta sotto ricatto significa, nei fatti, privarle della loro individualità, annientarle in quanto individui per prenderli in considerazione soltanto come massa. Ovvio: meccanismi di questo tipo sono sempre all’opera in tutti gli Stati. Ma quando vengono utilizzati in circostanze che riguardano la più profonda intimità dei cittadini, beh, allora la faccenda si fa sgradevole. Se qualche governante si prendesse la briga di leggere le centinaia e centinaia di lettere che stiamo ricevendo all’indirizzo riservato agli «Invisibili», si renderebbe conto di quanto siano meritevoli di attenzione le storie di ciascuno di loro. Sono tutte simili, per certi versi, ma anche profondamente differenti. Ognuno ha le sue ragioni, e spesso sono più che fondate. Se i commentatori e i fini editorialisti perdessero pochi minuti e provassero a immedesimarsi nelle persone che si sentono espulse dalla nazione, forse ne ricaverebbero certezze meno granitiche. Forse arriverebbero persino a dirsi: chissà, al posto di costui anche io mi comporterei così, anche io avrei timore o opporrei un rifiuto. Purtroppo, nessuno sembra volersi disturbare ad approfondire. A meno che la «singola storia» non sia quella di un personaggio famoso. Ieri, sulla Stampa, Mattia Feltri si è concesso il lusso di esaminare la vicenda di Novak Djokovic, tennista eccelso che notoriamente rifiuta il vaccino, e per questo è stato accusato di essere un cattivo maestro o un ricco arrogante dalla quasi totalità dei media italici (e non solo). Feltri ha ascoltato per un momento le ragioni dello sportivo, e ne è rimasto colpito: «Non ha parlato di rettiliani, di dittatura nazisanitaria, non ha negato il Covid, ha parlato soltanto dell’armonia in cui vive col suo corpo e della sua libertà di scelta. Non credo abbia ragione», ha concluso il collega, «ma la mitezza delle sue parole e l’enormità che è disposto a sacrificare - le solide chance di trionfare nella più lunga e inebriante battaglia della storia dello sport - impongono di rivedere il pigro ritratto collettivo che abbiamo fatto dei renitenti al vaccino, anche soltanto per guardare in faccia il talebano che è in noi». Siamo felici che Feltri - come altri risvegliati in questo clima da 8 settembre - abbia scoperto che anche i vaccinati sono esseri umani. Ma non è certo Djokovic a imporci di «rivedere il pigro ritratto collettivo» dei no vax. Sono, semmai, le singole storie degli italiani che in queste ore non possono salire sul bus o prendere un caffè al bar, non possono lavorare o spostarsi. Gente che intacca i risparmi o chiede prestiti per sopravvivere solo perché un piccolo gruppo di talebani, di fanatici ottusi del culto sanitario, ha deciso di trattarli da nemici. Anche se la guerra non c’è, e non ci sono ragioni scientifiche o mediche per dichiararla. In una puntata di quel gioiello televisivo che fu La notte della Repubblica, Sergio Zavoli intervistò una ex militante di Prima linea. Una donna elegante e intelligente che aveva organizzato, anni prima, l’annientamento fisico di un giudice che indagava sul suo gruppo «rivoluzionario». Quasi incredula davanti all’evidenza (sì, proprio lei aveva commesso tali e tante atrocità!), la signora dichiarò che più passava il tempo e più si pentiva. Ogni giorno cresceva la disperazione per aver causato la morte di quel giudice perché, diceva l’ex guerrigliera, «ho scoperto che era un uomo buono, normale». Ebbene, lì fuori è pieno di uomini e donne buoni, «normali». E voi li state opprimendo senza pietà e, soprattutto, senza motivo. Sulla Repubblica, la notte è calata di nuovo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/djokovic-no-vax-esseri-umani-2656690520.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-garante-toscano-dei-minori-non-negate-loro-lo-sport" data-post-id="2656690520" data-published-at="1645036973" data-use-pagination="False"> Il Garante toscano dei minori: «Non negate loro lo sport» «Non ci stiamo». Non hanno usato queste parole ma è come se lo avessero fatto, i tre Garanti per l’infanzia e l’adolescenza che, come segnala «Gli sportivi», gruppo attivo anche su Telegram a cui fanno riferimento 9.000 genitori di circa 25.000 ragazzi, hanno manifestato la loro contrarietà a quella che considerano una grave discriminazione. Il riferimento, come noto, è ai decreti legge 221 e 229 che, a partire dal 10 gennaio, stabiliscono per i ragazzi non vaccinati l’esclusione da qualsivoglia attività ludica, ricreativa, sportiva, culturale. Per capirci, questi giovani - pur essendo a tutti gli effetti sani - se non sono in regola con il ciclo vaccinale oppure guariti non possono più giocare la partita di calcio, né frequentare il corso di musica, di danza, di ginnastica. Una situazione grave che, nell’arco di poche settimane, segnalano «Gli sportivi», ha visto attivarsi diverse figure che hanno nella tutela dei diritti dei ragazzi la loro ragion d’essere. Il primo era stato, ancora a fine dicembre, Francesco Lalla, difensore civico con la delega di Garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Liguria, il quale aveva chiesto un «alleggerimento delle forme di intervento circa l’uso e l’esibizione del green pass» stigmatizzando «parole, gesti o comportamenti nei confronti di bambini e ragazzi a proposito della vaccinazione o della non vaccinazione». Più recentemente, ai primi di febbraio, è poi stato Fulvio Biasi, Garante dei diritti dei minori per la Provincia Autonoma di Trento, è scrivere di suo pugno ai vertici delle istituzioni locali una lettera per dare voce ad un disagio avvertito come crescente. Tutto questo a causa di «una perdurante e martellante narrazione mediatica, testa ad indicare i bambini e i ragazzi quali diffusori di malattia, con conseguente loro colpevolizzazione di essere «sbagliati». «Il solo pensiero di condizionare il diritto allo studio al possesso di un lasciapassare da dover esibire sui mezzi pubblici, per accedere alle attività sportive e culturali costituisce non solo una gravissima ferita allo spirito della carta costituzionale ma anche un insulto all’intelligenza della generalità dei consociati», ha sottolineato Biasi. Toni non molto diversi sono pure quelli impiegati il 9 di febbraio, rispondendo proprio al gruppo «Gli sportivi», da Camilla Bianchi, Garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Toscana. Infatti, oltre ad aver manifestato a varie istituzioni - a partire dal presidente del Consiglio Draghi - «fortissime perplessità sussistenti nella cittadinanza relativamente all’inoculazione del vaccino nei giovanissimi, attesi i possibili effetti pregiudizievoli ancora ignoti dello stesso in questa fascia di età molto delicata ed in pieno sviluppo», Bianchi ha riconosciuto le criticità legate all’introduzione del passaporto sanitario. «A seguito all’introduzione del green pass i ragazzi che per varie motivazioni non vengano vaccinati o non abbiano oggettivamente bisogno di esserlo», ha infatti scritto la Garante della Toscana, «non saranno più in grado di poter pienamente socializzare, divertirsi, coltivare le loro passioni (sport, cinema, teatri, biblioteche...)». Per questo Bianchi si augura, a breve, «nuove determinazioni che vengano eventualmente assunte ai vari competenti livelli istituzionali, auspicando che le stesse siano in grado, se non di superare integralmente, almeno di mitigare le serie criticità segnalate». Un auspicio evidentemente non isolato.
iStock
Il punto è che l’argento ha trovato il modo perfetto per piacere a tutti. Agli investitori spaventati dal debito mondiale fuori controllo che potrebbe incenerire il valore delle monete, ai gestori che temono la stagflazione (il mostro fatto da inflazione e recessione), a chi guarda con sospetto al dollaro e all’indipendenza della Fed. Ma anche - ed è qui la vera svolta - all’economia reale che corre verso l’elettrificazione, la digitalizzazione e l’Intelligenza artificiale. Un metallo bipartisan, potremmo dire: piace ai falchi e alle colombe, ai trader e agli ingegneri.
Dietro il rally non c’è solo la solita corsa al riparo mentre i tassi Usa scendono fra le prudenze di Powell e le intemperanze di Trump. Il debito globale fa il giro del mondo senza mai fermarsi. C’è soprattutto una domanda industriale che cresce come l’appetito di un adolescente davanti a una pizza maxi. L’argento ha proprietà di conducibilità elettrica e termica che lo rendono insostituibile in una lunga serie di tecnologie chiave. E così, mentre il mondo si elettrifica, si digitalizza e si affida sempre più agli algoritmi, il metallo lucente diventa il filo conduttore - letteralmente - della nuova economia.
Prendiamo il fotovoltaico. Nel 2014 assorbiva appena l’11% della domanda industriale di argento. Dieci anni dopo siamo al 29%. Certo, i produttori di pannelli sono diventati più efficienti e riescono a usare meno metallo per modulo. Ma dall’altra parte della bilancia ci sono obiettivi sempre più ambiziosi: l’Unione europea punta ad almeno 700 gigawatt di capacità solare entro il 2030. Tradotto: anche con celle più parsimoniose, di argento ne servirà comunque a palate.
Poi ci sono le auto elettriche, che di sobrio hanno solo il rumore del motore. Ogni veicolo elettrico consuma tra il 67% e il 79% di argento in più rispetto a un’auto a combustione interna. Dai sistemi di gestione delle batterie all’elettronica di potenza, fino alle colonnine di ricarica, l’argento è ovunque. Oxford Economics stima che già entro il 2027 i veicoli a batteria supereranno le auto tradizionali come principale fonte di domanda di argento nel settore automotive. E nel 2031 rappresenteranno il 59% del mercato. Altro che rottamazione: qui è l’argento che prende il volante.
Capitolo data center e Intelligenza artificiale. Qui i numeri fanno girare la testa: la capacità energetica globale dell’IT è passata da meno di 1 gigawatt nel 2000 a quasi 50 gigawatt nel 2025. Un aumento del 5.252%. Ogni server, ogni chip, ogni infrastruttura che alimenta l’Intelligenza artificiale ha bisogno di metalli critici. E indovinate chi c’è sempre, silenzioso ma indispensabile? Esatto, l’argento. I governi lo hanno capito e trattano ormai i data center come infrastrutture strategiche, tra incentivi fiscali e corsie preferenziali. Il risultato è una domanda strutturale destinata a durare ben oltre l’ennesimo ciclo speculativo.
Intanto, sul fronte dell’offerta, la musica è tutt’altro che allegra. La produzione globale cresce a passo di lumaca, il riciclo aumenta ma non basta e il mercato è in deficit per il quinto anno consecutivo. Dal 2021 al 2025 il buco cumulato sfiora le 820 milioni di once (circa 26.000 tonnellate). Un dettaglio che aiuta a spiegare perché, nonostante qualche correzione, i prezzi restino ostinatamente alti e la liquidità sia spesso sotto pressione, con tassi di locazione da record e consegne massicce nei depositi del Chicago Mercantile Exchange, il più importante listino del settore.
Nel frattempo gli investitori votano con il portafoglio. Gli scambi sui derivati dell’argento sono saliti del 18% in pochi mesi. Il rapporto oro-argento è sceso, segnale che anche gli istituzionali iniziano a guardare al metallo bianco con occhi diversi. Non più solo assicurazione contro il caos, ma scommessa sulla trasformazione dell’economia globale.
Ecco perché l’argento oggi non si limita a brillare: racconta una storia. Quella di un mondo che cambia, che consuma più elettricità, più dati, più tecnologia. Un mondo che ha bisogno di metalli «di nuova generazione», come li definisce Oxford Economics. L’oro resta il re dei ben rifugio, ma l’argento si è preso il ruolo più ambizioso: essere il ponte tra la paura del presente e la scommessa sul futuro. E a giudicare dai prezzi, il mercato ha già deciso da che parte stare.
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