2024-01-31
Sul dissenso la clava del «bene comune»
Le ecofollie di Bruxelles suscitano proteste da parte delle fasce che ne risentono di più, ma la risposta delle élite è sempre la stessa: ci sono una «emergenza» in corso e un «interesse collettivo» da tutelare, quindi chi si oppone è un nemico pubblico.Da qualche tempo in Europa (e forse in tutto l’Occidente) ha preso a diffondersi una idea di democrazia leggermente deviata, minacciosa e intollerante. E a ben vedere non è il regime che viene sempre attribuito ai presunti populisti e sovranisti. È, anzi, il modello praticato con sempre maggiore convinzione dagli Stati cosiddetti liberali, quelli che a parole si dicono più rispettosi dei diritti, delle differenze e delle sfumature della società. Il nuovo metodo di governo dei popoli si basa - ormai è noto - su imposizioni calate dall’alto in nome di un non ben precisato «interesse collettivo». Imposizioni che sono per lo più sgradite ai cittadini o comunque a una robusta fetta di essi, ma che non possono essere nemmeno discusse, figuriamoci avversate. Per un «bene superiore» siamo chiamati tutti a obbedire e tacere, e chi rifiuta è un pericoloso sabotatore da isolare e punire. Non si tratta nemmeno più di essere «intolleranti con gli intolleranti»: il nuovo potere è intollerante con chi non lo tollera, con chi lo contesta e, più in generale, con chi non si mostra felice di svolgere il compito a cui suo malgrado è stato destinato. Il meccanismo di governo è da tempo il medesimo. Onde far digerire alle popolazioni i diktat si allestisce una emergenza, si individuano soluzioni arbitrarie a questa emergenza, e si sostiene che - poiché ci si trova appunto in una condizione emergenziale - il dissenso va represso, più o meno violentemente. Che funzioni così si è capito piuttosto bene, e in effetti sono sempre di più le persone che faticano a tollerare questa cappa liberticida. Ma più dal basso si levano proteste, più dall’alto cala la mannaia, tra gli applausi dei cortigiani. L’aspetto forse più inquietante dell’intero sistema, infatti, è la quasi totale acquiescenza di quelli che un tempo si chiamavano corpi intermedi, dei media, del mondo sedicente intellettuale. Un piccolo esempio ci è fornito da un robusto editoriale di Maurizio Ferrera comparso sulla prima pagina del Corriere della Sera e riguardante le proteste dei trattori: imponenti sfilate che dall’Olanda alla Spagna passando per la Germania hanno attraversato il Vecchio Continente, ovviamente in opposizione alle politiche «ecologiche» (per modo di dire) di Bruxelles. Ferrera sulle prime esibisce una certa tolleranza. «La ristrutturazione della filiera alimentare implica incisivi cambiamenti nel modo di produrre e massicci investimenti per le aziende agricole. Non sarebbe equo scaricare interamente gli oneri su tali aziende. Di questo si può e si deve discutere», concede, bontà sua. Ma subito fa capire quale sia la via da seguire: «Le barricate sulle strade e gli insulti ai burocrati di Bruxelles non sono però uno strumento accettabile», scrive. «Le legittime e comprensibili rivendicazioni della categoria devono rispettare i paletti del negoziato istituzionale e non possono mettere in discussione gli obiettivi che i governi nazionali e il Parlamento europeo hanno congiuntamente e democraticamente definito a Bruxelles». Capito? Poiché i politici hanno deciso in sede europea che un provvedimento va bene, non ci si deve opporre. Bisogna anzi soffrire in silenzio per un bene superiore. L’editorialista del Corriere lo esplicita per fugare ogni dubbio: «La sostenibilità è un bene collettivo cruciale, su cui non si può transigere», afferma. Poi aggiunge: «La transizione verde è una necessità ineluttabile che interessa tutta la società, campagne incluse. E non può essere un pasto gratis: a qualcosa si dovrà rinunciare. Come quasi tutte le politiche pubbliche, anche quelle ambientali devono differenziare il loro impatto (in termini di costi e sacrifici) a seconda dei danni che ciascun settore o categoria produce. Siccome il vantaggio è collettivo - un eco-sistema sostenibile - è giusto che vi siano compensazioni a carico del bilancio pubblico». Che gentile, Ferrera è pure disposto a concedere qualche compensazione, uno zuccherino per chi fa il bravo. Non sembra rendersi conto di quanto sia spaventoso il suo ragionamento. Se si prova a decostruirlo, a ridurlo all’osso, si ottiene la formula dell’attuale democrazia autoritaria. A Bruxelles (o comunque in qualche centro di potere) hanno stabilito che esista una emergenza ecologica. Vera? Falsa? Non importa, perché se anche fosse reale e concreta, sono completamente sbagliati i rimedi che sempre a Bruxelles (o in qualche altro centro di potere) hanno individuato e deciso di imporre. Non è certo tagliando la benzina ai trattori che si salverà il pianeta, o compiendo una completa transizione all’elettrico. Ma non conta: così è stato deciso, così si deve fare. La risposta sbagliata alla crisi artefatta danneggia una categoria produttiva o sociale (nello specifico gli agricoltori)? Chissenefrega: in nome di un falso bene collettivo costoro debbono piegarsi. Se non lo faranno, verranno prima additati come no vax, fascisti, nazisti e porci. Poi - come capitato ad altri prima di loro - repressi con violenza più o meno intensa. Il tutto con la benedizione della grande stampa. È un caso non troppo dissimile dalla vicenda che ha coinvolto Viktor Orbán. Se il leader ungherese si mostra dubbioso sui finanziamenti da fornire all’Ucraina in guerra (dubbio condiviso non soltanto dai suoi elettori, ma anche da numerosi cittadini europei) ecco che a Bruxelles approntano un bel piano per mettere in ginocchio l’economia ungherese, e pazienza se a subirne le conseguenze dovessero essere i cittadini: occorre rispettare i comandamenti, pena la punizione divina. La nuova democrazia, dopo tutto, richiede obbedienza circa, pronta e assoluta
(Ansa)
L'ad di Cassa Depositi e Prestiti: «Intesa con Confindustria per far crescere le imprese italiane, anche le più piccole e anche all'estero». Presentato il roadshow per illustrare le opportunità di sostegno.
Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)