2023-06-02
Il Nord si ribella all’Unione: «La direttiva sull’aria pulita uccide la nostra economia»
Attilio Fontana (Imagoeconomica)
La Lombardia guida il fronte delle Regioni con Veneto, Piemonte ed Emilia -Romagna. Attilio Fontana: «Per obiettivi così folli dovremmo fermare il 75% delle attività e dei veicoli».Se passasse la direttiva europea sulla qualità dell’aria, la Lombardia rischierebbe di chiudere. E, considerando che il Pil lombardo rappresenta il 22% di quello dell’intero Paese, a rimetterci sarebbe gran parte dell’economia italiana. L’allarme è lanciato dal presidente della Regione, Attilio Fontana, che nei giorni scorsi ha incontrato la presidente Roberta Metsola nella sede del Parlamento europeo, illustrando la proposta della Lombardia in tema di emissioni atmosferiche. La delegazione lombarda guidata dal presidente ha visto a Bruxelles anche gli assessori Guido Guidesi (Sviluppo economico) e il bresciano Giorgio Maione (Ambiente e clima) con il sottosegretario con delega alle Relazioni internazionali ed europee, Raffaele Cattaneo. «Anche applicando in ogni settore le migliori tecnologie disponibili, la Lombardia, per le sue specifiche condizioni orografiche e climatiche, non riuscirebbe a raggiungere i limiti previsti dalla proposta di revisione delle politiche europee sulla qualità dell’aria», spiega alla Verità il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Sottolineando che «la normativa Ue pone un obiettivo di valore legale per noi irrealistico. Per raggiungerlo dovremmo ricorrere a una drastica riduzione delle nostre attività. Pensate soltanto che bisognerebbe eliminare il 75% delle attività produttive e impedire la circolazione dei tre quarti dei veicoli che oggi circolano. E, ancora, porre in essere altre drastiche riduzioni nei settori del riscaldamento domestico e delle imprese agricole e degli allevamenti. Non possiamo essere ritenuti responsabili di una condizione orografica particolare che, in termini di qualità dell’aria, ci penalizza fortemente. Per questo», aggiunge Fontana, «non chiediamo deroghe, ma che l’Europa valuti la specificità del nostro territorio e si regoli di conseguenza. È chiaro che si tratti di una situazione che ha poco di sostenibile prima di tutto da un punto di vista sociale. La sostenibilità ambientale non può essere sconnessa e scollegata da quella sociale ed economica».La proposta di revisione alla direttiva europea sostenuta dalla Lombardia parte dalla fattibilità della richiesta europea, che punta a una riduzione dell’80% delle emissioni di ossidi di zolfo (SOx), ossidi di azoto (NOx), polveri sottili (Pm), ammoniaca (NH3) e di composti organici volatili non metanici (Nmvoc). I nuovi limiti imporrebbero di dimezzare la concentrazione di Pm10 per metro cubo e ridurre da 25 a 10 microgrammi quella di Pm 2,5. Il problema, però, non è nelle emissioni ma nel ristagno. Tant’è che neppure durante il lockdown del Covid le concentrazioni di polveri si sono ridotte in maniera sensibile come invece accaduto altrove. Il nodo è strutturale: servono deroghe. Secondo uno studio di Arpa Lombardia, infatti, in Pianura Padana questa riduzione non è possibile solo con misure tecniche, ma è necessaria anche una drastica riduzione delle attività, come ad esempio: eliminare il 75% dei veicoli e sostituire il rimanente 25% con veicoli a zero emissioni, eliminare il 75% dei sistemi di riscaldamento domestici a metano e il 100% dei sistemi di riscaldamento a biomassa legnosa, eliminare il 60% degli allevamenti bovini e suini e applicare le cosiddette Bat (Best available techniques, migliori tecnologie disponibili) sul restante 40% (stabulazione, copertura degli stoccaggi e gestione dei reflui zootecnici), eliminare il 75% delle attività industriali. Insomma, in base a questi standard, servirebbe fermare il 75% delle attività produttive, impedire la circolazione di tre quarti dei veicoli oggi in circolazione e chiudere il 75% degli allevamenti e delle attività agricole. E, nonostante questo, ci sarebbero ancora più del 60% dei riscaldamenti di case e industrie fuori legge.Il problema non riguarda solo la regione presieduta da Fontana. Anzi, la battaglia contro la direttiva Ue è portata avanti da un fronte trasversale che vede schierati anche il Veneto di Luca Zaia, il Piemonte di Alberto Cirio e l’Emilia-Romagna guidata da Stefano Bonaccini. L’impatto dei nuovi standard sarebbe, infatti, devastante per le regioni più produttive. Con una posizione comune, dunque, Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, insieme alle altre regioni europee della Air quality initiative come Catalogna, Comunità di Madrid, Stiria e alcune province olandesi, chiedono obiettivi ambiziosi ma realistici con scadenze e misure fattibili, flessibilità che tenga conto delle caratteristiche specifiche dei contesti territoriali e una migliore integrazione tra tutte le politiche dell’Ue che influiscono sulla qualità dell’aria. Vedremo se Bruxelles accetterà delle deroghe. Il provvedimento dovrebbe arrivare al voto definitivo a metà luglio, per altro in piena «campagna elettorale» per le europee del 2024. Così com’è ora il testo, si lasciano otto anni di tempo agli Stati membri per adeguarsi ai nuovi limiti, che quindi entreranno in vigore nel gennaio 2030. Ma il messaggio delle regioni del Nord al legislatore europeo è chiaro: anche in otto anni, quei nuovi limiti sono irragionevoli.