2022-07-05
D’Incà si ribella a Draghi sul dl Aiuti. No fiducia, no termovalorizzatore
Il ministro per i Rapporti con il parlamento, Federico D’Incà (Ansa)
Entro il 16 va convertito in legge il decreto. Che contiene il via libera all’impianto per i rifiuti di Roma inviso ai grillini, lacerati tra chi vuole uscire dal governo e i ministri contrari. Conte-premier, l’incontro sarà domani.Il M5s è nel caos più totale e il governo traballa: ieri pomeriggio il ministro per i Rapporti con il parlamento, il pentastellato Federico D’Incà, ha opposto resistenza a porre la questione di fiducia sul decreto Aiuti. La circostanza, confermata a La Verità da diverse autorevoli fonti parlamentari e di governo, è paradossale quanto curiosa: porre la questione di fiducia è compito appunto del ministro per i Rapporti con il parlamento, ma D’Incà ha traccheggiato il più possibile, per tentare di evitare una insidia pericolosissima per la permanenza del M5s nell’esecutivo e quindi per la sua stessa poltrona. A quanto ci risulta, D’Incà ha tentato in tutti i modi di evitare che sul decreto Aiuti, in discussione ieri e oggi alla Camera, venga posta la questione di fiducia perché il testo, oltre a una serie di sostegni alle famiglie come gli sconti sulle bollette energetiche, contiene anche il via libera alla possibilità di realizzare un termovalorizzatore per i rifiuti di Roma. Una norma alla quale il M5s si oppone. «D’Incà», dice a La Verità un big della maggioranza, «sta facendo il ministro dei rapporti col M5s, non con il parlamento, ma alla fine dovrà cedere». Il problema è serissimo: il decreto Aiuti, approvato dal Consiglio dei ministri a maggio con l’astensione della delegazione del M5s, che si opponeva al termovalorizzatore di Roma, va convertito in legge da Camera e Senato entro il 16 luglio, altrimenti decade. Ieri molti deputati del M5s, a partire dal capogruppo Davide Crippa, sono intervenuti in aula, a Montecitorio, criticando il provvedimento: un atteggiamento semi-ostruzionistico, solitamente adottato dalle opposizioni per perdere tempo. Il governo ha fatto trapelare l’intenzione di porre la fiducia, perché altrimenti c’è il serio rischio di «andare lunghi» con i tempi e non riuscire a rispettare la scadenza, considerati i 400 emendamenti presentati. La questione di fiducia però non permette di trovare escamotage parlamentari come, ad esempio, votare la fiducia ma non il decreto, una sceneggiata che verrebbe comunque capita solo dagli addetti ai lavori: «Sarebbe comunque una sfiducia mascherata», dice a La Verità un’altra fonte a conoscenza dei fatti. «La realtà è che i ministri pentastellati vogliono restare incollati alle poltrone». «La fiducia», ha minimizzato lo staff di D’Incà all’Adnkronos, «non potrebbe comunque tecnicamente essere posta prima di domani (oggi, ndr) perché oggi (ieri, ndr) non sono previste votazioni. Peraltro è prevedibile un rinvio in commissione per alcune correzioni tecniche e solo dopo potrebbe essere posta la fiducia, su cui il governo, come sempre avviene, si confronterà con le forze di maggioranza».La situazione è caotica: il faccia a faccia tra Giuseppe Conte e Mario Draghi, in programma ieri, è stato rinviato a domani, ma il M5s è lacerato tra chi vuole uscire dal governo e chi (i ministri e i sottosegretari, guarda caso) non è della stessa idea.Non è mancata anche una polemica rovente per l’attacco del deputato del M5s Alberto Zolezzi all’assessore all’Agricoltura, ambiente e ciclo dei rifiuti del Comune di Roma Sabrina Alfonsi: «Se dobbiamo fare un inceneritore», ha detto Zolezzi, «facciamolo a Montecitorio e non in altre zone abitate. L’assessore Alfonsi più che a casa nostra, forse è l’assessore a cosa nostra». Diversi esponenti del Pd hanno protestato duramente, e Zolezzi ha fatto marcia indietro: «Mi sono espresso in maniera troppo sintetica», ha precisato il parlamentare grillino, «e con termini inappropriati: me ne scuso con l’assessora Alfonsi. Il problema politico però resta». Al di là della querelle M5s-Pd, frutto probabilmente anche delle forti tensioni delle ultime ore tra i due partiti, con i dem che hanno messo in discussione l’alleanza se Giuseppe Conte dovesse uscire dal governo, è l’intervento del capogruppo Davide Crippa a sollevare dubbi sul fatto che i pentastellati voteranno a favore del decreto. Crippa infatti ha criticato l’impianto stesso del provvedimento: «Il contrasto al caro-energia», ha detto ieri il capogruppo M5s alla Camera, «deve essere al centro della strategia del governo. Con l’ultimo provvedimento varato, confluito nel decreto Aiuti, sono arrivate nuove misure per sostenere famiglie e imprese ma è giusto segnalare quello che non funziona. Ancora una volta», ha sottolineato Crippa, «l’Autorità per l’energia, per il terzo trimestre dell’anno, ha determinato le tariffe per la tutela facendo riferimento al Ttf, un indice finanziario che ormai non ha più attinenza con la realtà».