2024-01-07
«Insegno a contemplare il verde per guarire il corpo e lo spirito»
Nel riquadro, Diana Tedoldi (IStock)
La fondatrice di Nature Coaching Academy Diana Tedoldi: «Ero una manager sempre sul pezzo, adesso mi occupo di fiumi e piante. Vivere bene il nostro rapporto con loro ci permette di stare meglio anche con gli altri».Diana Tedoldi (Treviglio, Bergamo, 1974) si laurea a Genova in filosofia e dal 2000 lavora nel mondo aziendale come formatrice, facilitatrice e coach professionista. Ha accompagnato migliaia di persone in percorsi di crescita personale e professionale, specialista di leadership. Ha fondato la Nature Coaching Academy per integrare coaching, biomimesi, connessione profonda con la natura e pratiche contemplative che pratica da quasi trent’anni. È autrice del libro L’albero della musica (Anima edizioni, 2006).Curiosando sul suo sito, www.dianatedoldi.com, leggo di evoluzione organizzata, crescita manageriale, leadership e teamship e insomma: mi sono un po’ preoccupato. So che esistono pratiche e azioni che conducono a queste verità del mondo moderno ma sinceramente mi sembrano aliene. Poi vedo laurea in filosofia, master in Futuro vegetale all’università di Firenze col caro Stefano Mancuso, Ecotherapy, Yoga degli alberi e Pratica arborea e allora mi conforto e mi ritrovo. Dunque, ricapitolando: come nasce la sua personale attrazione alla natura e come la pratica quotidianamente?«Sono nata in campagna, figlia unica, sono quindi stata obbligata a ricercare nel grande giardino dove abitavano i miei compagni di giochi, i rifugi dalle liti coi genitori, i luoghi in cui esplorare e fare avventure. Per me la natura è da sempre un soggetto vivente con cui silenziosamente dialogare e scambiare esperienze. Per molti anni ho avuto una doppia vita: da una parte la manager specializzata in sistemi organizzativi e leadership, veloce, sempre “sul pezzo”. Dall’altra, il mio tempo libero con la natura, per rigenerarmi dopo il lavoro in azienda. Nel 2009, dopo quindici anni di pratica della contemplazione con la natura, ho iniziato a condividere con altre persone quelle pratiche e i benefici esistenziali che ne traevo. E da allora non mi sono più fermata nel divulgarle. Attualmente pratico in due modi per me essenziali: da una parte c’è la mia relazione con Adda, il fiume a un quarto d’ora di bici da casa, per me è come una zia da visitare quasi ogni giorno. Mi siedo sulla riva e la guardo fluire, finché sento che qualcosa di lei è diventato me, e qualcosa di me è diventato lei. Poi c’è la mia “Pratica arborea”: un momento di ascolto profondo in sinergia con il melo in giardino, svuotandomi di pensieri ed emozioni disagevoli. Appoggio fronte, cuore e pancia contro il suo tronco, e sto. In ascolto. Atterro nel suo respiro, nel suo silenzio color zen. Non ci sono parole per descrivere quest’esperienza, che è del corpo, non della testa: è come entrare in un’altra dimensione del tempo e dello spazio, fino a dissolvere ogni confine fra io e non-io. Lì ripulisco le scorie della giornata, arrivano intuizioni. Le idee più sagge che guidano la mia vita le ho trovate così».Che cos’è per lei l’ecotherapy?«Una parola che funziona per tanti, con cui descrivere la salute (mentale, fisica, sociale) che consegue al ripristinare la nostra connessione con la natura in modo consapevole e intenzionale. Preferisco inquadrare il mio lavoro nel reame della riparazione culturale, della guarigione filosofica di un modo alienato di percepire noi stessi e la nostra relazione con il resto dei viventi».Che cosa cercano le persone che partecipano alle sue attività in e con la natura?«Cercano risorse per coltivare benessere e cura di sé, crescere e sviluppare consapevolezza, nella vita come nel lavoro. Sempre più i miei clienti sono aziende impegnate nella transizione ecologica, che vogliono aumentare la motivazione e il coinvolgimento delle persone nell’azione climatica. Quello che più amo è creare esperienze in cui percepire il mondo naturale come qualcosa di vivo e in costante interazione con noi, lasciare che questa consapevolezza si incarni e ci faccia qualcosa, ci ispiri a trovare il modo con cui stare bene al mondo, in sinergia con il resto dei viventi, da cui la nostra stessa vita interdipende».In questi ultimi anni ho partecipato a diversi festival che prevedevano attività nei boschi o tra gli alberi. Talora avanza una certa retorica sensazionalistica: frasi del tipo «sentite gli alberi, percepite l’universo intorno a voi, connettetevi alle radici e alle chiome» e altre furfanterie simili. Quanto c’è di profondo, di vitale, di medicamentoso, e quanto di pretestuoso in questo tipo di esperienze, soprattutto quando si tratta di assaggi, di piccole uscite di una o due ore, con persone mai viste, magari intonando un canzone tenendosi per mano intorno ad una quercia? Non crede che sia troppo facile, troppo immediato, transitare dalle nostre esistenze isteriche e tecnologicamente dipendenti a quel che dovrebbe essere una rinascita, un diventare altro, o un ritornare alle radici?«Condivido il suo imbarazzo. Oggi troviamo “maestri” di forestbathing o mindfulness che hanno letto un libro o fatto un corso online per imparare quello che insegnano. Nelle pratiche contemplative, la pratica è tutto: è con la pratica che cambi il tuo essere, ed è questo poi che determina la profondità di quello che proponi. La maggioranza delle esperienze di Forest Bathing è proposta da istruttori sportivi, e all’interno di una cornice sportiva, uno dei tanti non-sense che caratterizza questo modo di proporre esperienze che invece rientrano nel reame della meditazione, dello zen, della contemplazione, della mistica, dell’animismo».L’albero della musica è il titolo di un suo libro: di che cosa tratta?«Il libro è il risultato di una ricerca di dieci anni che ho avviato all’università per la mia tesi di laurea in storia del pensiero scientifico. Ripercorro l’intima connessione che lega alberi e tamburi, dal neolitico al 2006, in molte diverse culture del mondo, animando una visione transculturale del tamburo come attivatore di stati espansi di coscienza. Musica e natura sono intimamente connesse: per me la musica è una via mistica, apre la nostra mente a sprofondare in uno stato panico di intima appartenenza e dialogo con il mondo naturale».
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli