2019-12-17
Di Maio vola a Tripoli nel tentativo (tardivo) di recuperare terreno
Il ministro degli Esteri dovrebbe incontrare Fayez Al Serraj e forse Khalifa Haftar, dopo che per settimane ha trascurato il dossier per occuparsi solo delle turbolenze di governo. Intanto l'Italia veniva estromessa dalla partita.Tripoli, capitale della Libia dove ha sede l'esecutivo riconosciuto dalla comunità internazionale, il cosiddetto «governo degli italiani» guidato da Fayez Al Serraj. Bengasi, da dove il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, ha lanciato lo scorso 4 aprile la sua offensiva sulla capitale con l'obiettivo di mettere le mani sui dollari del petrolio e sul rubinetto dei migranti con cui tenere sotto scacco l'Europa. Misurata, la cosiddetta Sparta libica, bastione a difesa di Serraj. Diretti verso tutte queste città della Libia ieri sono partiti tre Dassault Falcon 900, i jet dei nostri servizi segreti. Missione: preparare la visita di oggi del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, alla sua prima volta in Libia in oltre tre mesi alla Farnesina.La visita avviene in una situazione piuttosto complessa. Gli Stati Uniti continuano a rimanere nell'ombra, nonostante il recente colloquio a Doha, in Qatar, tra Serraj e il potente senatore repubblicano Lindsey Graham, nell'ultimo periodo un po' allontanatosi dal presidente Donald Trump. I due Paesi da osservare ora in Libia sono la Turchia, alleata di Serraj, e la Russia, da tempo al fianco di Haftar anche con i mercenari della Wagner. Basti pensare che soltanto ieri l'esercito della Cirenaica ha preso in consegna degli elicotteri da combattimento di fabbricazione russa che, come spiega Agenzia Nova, dovranno essere usati nell'offensiva in corso su Tripoli. E sempre ieri la commissione Affari esteri del Parlamento turco ha approvato l'intesa con la Libia firmata a fine novembre da Serraj e dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Che non ha escluso l'ipotesi di un invio di truppe in Libia in caso di richiesta da parte del governo di Tripoli.Indietro, molto più indietro, si muove l'Europa, che sta cercando di evitare che la crisi libica prenda una deriva «siriana». Per questo, punta tutto su una conferenza piuttosto atipica che la Germania tenta da mesi ormai di organizzare senza successo. Una due giorni da cui sarebbero escluse tutte le fazioni libiche in lotta per il potere e tutti i Paesi confinanti, fatta eccezione per l'Egitto (schierato con Haftar). Ma a ben poco è servito il trilaterale di venerdì scorso con il premier italiano Giuseppe Conte, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron. La dichiarazione congiunta invitava tutte «le parti libiche e internazionali» a impegnarsi «per una cessazione complessiva e duratura delle ostilità e a riprendere con impegno un credibile negoziato sotto l'egida delle Nazioni Unite». Tuttavia, né Ankara né Mosca sono state ad ascoltare. Anzi, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha definito pubblicamente la conferenza di Berlino «inutile».In questo caos libico, fatto di minacce di Haftar più che di effettive conquiste territoriali, si inserisce la visita di Di Maio. Che a Tripoli dovrebbe incontrare il premier Serraj e il suo vice Ahmed Maitig, uomo forte di Misurata, e forse anche il suo omologo Mohamed Siala. Quasi sicuro anche un incontro con Haftar, preparato in questi giorni dai nostri servizi segreti. Non soltanto il Falcon 900 di ieri. A Bengasi venerdì era atterrato un aereo C130J con a bordo uomini dell'Aise, i nostri 007 per l'estero. La missione di Di Maio è il primo contatto diretto tra autorità libiche e governo giallorosso. Che però si ritrova a inseguire, anche a causa della diffidenza francotedesca, che rimane nonostante il trilaterale di Bruxelles, (al summit Nato di inizio dicembre l'Italia non è stata coinvolta nel tavolo sulla Libia mentre a fine agosto ci avevano tenuti fuori dalle discussioni sul Sahel al G7). I problemi per l'Italia sono tre. Il primo è a livello internazionale. Come riportava domenica Repubblica, al forum Med di Roma organizzato dall'Ispi, l'emissario Onu Ghassan Salamé, uomo noto per la pacatezza ma ormai stufo dei vuoti appelli alla pace dei leader europei, ha avuto un durissimo scontro con Conte e Di Maio. Riassumibile così, scrive il quotidiano di Largo Fochetti: «L'Italia, l'Europa sono ferme. Siete fermi. Vi è esplosa la crisi più paurosa di sempre alle porte di casa e voi non fate nulla, rischiate di essere marginalizzati da un processo che vi tocca e può portare ad altra guerra».Il secondo problema è diplomatico. Neppure il sempre precario Serraj crede più all'Italia. Ma la novità di queste settimane è che ora non ne ha neanche più bisogno, visto l'asse con Erdogan. Tanto che ora Tripoli sta ripudiando il bollino di «governo gli italiani», affibbiatogli dopo gli sforzi di Roma per raggiungere un'intesa tra le fazioni attorno alla capitale. Complici un «equilibrismo italiano piuttosto precario» (come spiega una fonte a Tripoli) tra Tripoli e Bengasi e le armi e i droni giunti da Ankara, Serraj e l'Italia non sono mai stati così distanti.Il terzo e ultimo problema riguarda il governo giallorosso. Repubblica scriveva che Di Maio non ha lavorato in maniera propositiva sul dossier libico, impantanato nella gestione delle crisi del governo e del suo partito. Fonti della Farnesina lo descrivono come poco agile sul dossier libico. Ma il ministro 5 stelle è bloccato anche per un altro motivo: dopo il vertice con Merkel e Macron, Conte sembra preferire gestire in prima persona la questione, tenendo a Palazzo Chigi le carte. La faccenda racconta due cose. La prima è la litigiosità nel governo giallorosso. La seconda è che la lentezza ci ha fatto perdere terreno in Libia, nonostante gli Stati Uniti siano alla ricerca di un partner dopo un attivismo di Turchia e Russia temuto eccessivo.
Alberto Stefani (Imagoeconomica)
(Arma dei Carabinieri)
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina.
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi. Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo.
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