
Caro Luigi Di Maio, ho resistito molto alla tentazione di scriverle questa cartolina. Ma quando le ho sentito dire che il «centrodestra non è credibile», mentre lei invece è molto «credibile», ecco non ce l’ho più fatta.Anche perché mi aspettavo che, appena udita questa spericolata affermazione, le saltassero tutti alla giugulare come ai bei tempi, quando per giornaloni e tv ufficiali lei era solo un bibitaro ignorante, passato dagli spalti dello stadio ai terrazzini in cui si annunciava l’abolizione della povertà. Dimenticavo, però, che adesso lei ha indossato la giacchetta elegante dell’establishment. Dimenticavo che è diventato draghiano, poltronaro, istituzionale, leccapiedi del sistema che un tempo voleva sovvertire. E dunque nessuno le rinfaccia più nulla. Neppure la pretesa di dare lezioni di credibilità. Per cui non ci resta che accodarci al coro e condividere le sue perplessità.In effetti siamo preoccupati. Temiamo che se, sfortunatamente, lei fosse costretto a lasciare il potere e la seggiola ministeriale, il Paese avrebbe di sicuro un tracollo per quanto riguarda la credibilità internazionale. Dove trovare infatti qualcuno alla sua altezza? Dove trovare qualcuno che confonde il Cile con il Venezuela (a proposito di Pinochet) e l’Ucraina con la Moldavia (a proposito di aiuti)? Dove trovare qualcuno che considera la Russia un Paese del Mediterraneo; che chiama «Ross» il segretario di Stato americano Mike Pompeo e Ping (fratello di Pong) il presidente cinese Xi Jiping? Dove trovare uno che non distingue tra un consigliere di Trump (John Bolton) e un cantautore (Michael Bolton)? Dove trovare soprattutto uno che inneggia, con apposito intervento su Le Monde, la «tradizione democratica millenaria della Francia», rivelando di sapere tutto sull’elezione a suffragio universale di Pipino il Breve, ovviamente dopo un ballottaggio fra Carolingi e Merovingi e spartizioni di seggi sulla base del Rosatellum dell’VIII secolo?Siamo preoccupati: senza di lei la nostra credibilità internazionale è a rischio. Ci mancherà sicuramente la sua antica sapienza diplomatica, come quando ha bollato i rumeni come «ladri» e ha definito Putin «peggio di un animale». Così come ci mancherà il suo grande senso dell’opportunità nel farsi fotografare in braghette sul bagnasciuga mentre a Kabul scoppiava l’inferno. E ci mancherà la sua profonda conoscenza dell’inglese che la portò a chiamare il sottosegretario Manlio Di Stefano come «Of Stefano» su un documento ufficiale. Potenza del traduttore automatico. Ma non è solo sui temi internazionali che la sua credibilità ha raggiunto vertici difficilmente superabili: come dimenticare per esempio quando ha parlato di «lobby dei malati di cancro» o ha stabilito che il nostro corpo è composto al 90 per cento d’acqua, confondendo gli esseri umani con i cocomeri?Ecco il motivo della nostra preoccupazione: non riusciremo mai più ad avere cotanta credibilità. Testimoniata anche dal suo ruolo di paladino della lingua italiana nel mondo, con quel raffinato uso del congiuntivo: «Ho sempre detto che volessimo fare», «Qualora Renzi staccava». «Se verrei un giorno urlerei». In un memorabile tweet riuscì a sbagliare il congiuntivo del verbo «spiare» per tre volte di seguito. In un’altra occasione, scrivendo una proposta di legge di tre righe, ne ha sbagliati due, ma perché non sembrasse troppo poco ci ha aggiunto altri due strafalcioni di diverso genere. Che ci vuole fare? Quando la credibilità chiama lei non riesce a tenersi. E così le capita di esagerare. Una volta, per cercare di giustificarla, i suoi collaboratori scrissero in una nota che si era sbagliato perché «aveva letto una mail ma non l’aveva capita». Ora il dubbio è legittimo: se mai arrivasse al suo posto qualcuno che capisce perfino quel che legge, che fine farebbe la nostra credibilità internazionale?
Alessandra Coppola ripercorre la scia di sangue della banda neonazi Ludwig: fanatismo, esoterismo, violenza e una rete oscura che il suo libro Il fuoco nero porta finalmente alla luce.
La premier nipponica vara una manovra da 135 miliardi di dollari Rendimenti sui bond al top da 20 anni: rischio calo della liquidità.
Big in Japan, cantavano gli Alphaville nel 1984. Anni ruggenti per l’ex impero del Sol Levante. Il boom economico nipponico aveva conquistato il mondo con le sue esportazioni e la sua tecnologia. I giapponesi, sconfitti dall’atomica americana, si erano presi la rivincita ed erano arrivati a comprare i grattacieli di Manhattan. Nel 1990 ci fu il top dell’indice Nikkei: da lì in poi è iniziata la «Tokyo decadence». La globalizzazione stava favorendo la Cina, per cui la nuova arma giapponese non era più l’industria ma la finanza. Basso costo del denaro e tanto debito, con una banca centrale sovranista e amica dei governi, hanno spinto i samurai e non solo a comprarsi il mondo.
Matteo Lepore (Ansa)
Quella che in un istituto era stata presentata come la «Giornata della cittadinanza» si è rivelata essere della mera propaganda pro immigrazione, mascherata da attività extra didattica. Fdi: «Denunceremo».
Doveva essere una sorta di lezione civica rivolta agli studenti. La comunicazione arrivata ai genitori degli allievi delle medie della scuola Guido Guinizelli di Bologna citava testualmente «Un evento gratuito», che si sarebbe svolto il 20 novembre dalle 10 alle 13 al Teatro Manzoni per la «Giornata della cittadinanza 2025». Luca (nome di fantasia) non ha esitato a dare il suo consenso, convinto che per la figlia dodicenne Margherita poteva essere un momento didattico.
Cosa ci dice il caso Garofani di ciò che avviene sul Colle? Ne discutono Giuseppe Cruciani e Massimo de' Manzoni.





