2019-08-09
Di Maio incassa l’ultimo schiaffo. Poi i grillini passano agli insulti
Il capo M5s era pronto ad acconsentire a molte richieste del Carroccio, ma è rimasto schiacciato. Adesso lui e Alessandro Di Battista attaccano: «Alleati servi del sistema, fanno vomitare. Prima delle urne tagliamo i parlamentari».Ritardi, consultazioni, incarichi esplorativi, equilibri alternativi: cosa può fare il Colle per impedire di far parlare gli elettori.Lo speciale contiene due articoli.Di Maio in peggio. Il governo gialloblù è arrivato al capolinea e il suo vicepremier stellato pare veramente in disarmo. È lui infatti il più colpito dalla grandinata di colpi sparata dal suo alleato di governo, la Lega di Matteo Salvini, anche perché per tutto il giorno ha effettivamente cercato di accontentare l'ormai ex alleato difendendo le prospettive del governo ma anche il suo presente e il suo futuro personale.Invece il dato di ieri sera è che l'esecutivo non c'è più: gli ultimatum lanciati da Salvini e culminati nello scontro con il M5s sulla Tav, la linea ad alta velocità ferroviaria tra Torino e Lione, hanno raggiunto l'obiettivo finale. Quello scontro, mercoledì, aveva dato da subito l'impressione che i due partiti fossero arrivati alla collisione finale: e infatti nella stessa sera di mercoledì Salvini aveva posto al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, una secca alternativa. La Lega avrebbe abbandonato il governo se non fossero arrivate le dimissioni di tre ministri grillini: quello dei Trasporti, Danilo Toninelli (che aveva definito il leader della Lega «un nano sulle spalle di giganti che lavorano»), quello della Difesa, Elisabetta Trenta, e quello dell'Ambiente, Sergio Costa. Ieri siamo arrivati al redde rationem. Nel pomeriggio il nervosismo è tale che, dopo un incontro tra Conte e Sergio Mattarella, immediatamente gira voce che Salvini abbia chiesto le dimissioni dello stesso Conte, mentre altre spargono la voce di un imminente ritiro dei leghisti dal governo. Via Bellerio però smentisce al volo: «Noi parliamo solo attraverso note ufficiali». Poi una nota (per l'appunto) ufficiale spiega il busillis, ma solo per metà. Vi si legge che «la Lega non vuole alcun rimpasto», ma le visioni dell'alleato sono troppo differenti «su temi fondamentali per il Paese come grandi opere, infrastrutture e sviluppo economico, choc fiscale, applicazione delle autonomie, energia, riforma della giustizia e rapporto con l'Europa». Poi, l'affondo: «L'Italia ha bisogno di certezze e di scelte coraggiose e condivise, inutile andare avanti fra No, rinvii, blocchi e litigi quotidiani. Ogni giorno che passa è un giorno perso, per noi l'unica alternativa a questo governo è ridare la parola agli italiani con nuove elezioni». Il documento contiene un aggettivo: «irrimediabile», che è una sentenza. Il M5s risponde con una dichiarazione dal tono smarrito: «La nota della Lega è incomprensibile. Dicano chiaramente cosa vogliono fare. Siano chiari». Toninelli dichiara: «Non andare avanti è tradire il mandato».In serata, dopo un'ora di colloquio con Conte, Salvini chiude il cerchio. È finita: «Andiamo subito in Parlamento», dice il capo della Lega, «per prendere atto che non c'è più una maggioranza, come evidente dal voto sulla Tav, e restituiamo velocemente la parola agli elettori». Insomma, la Lega pretende le elezioni: e vuole andare al voto passando da un confronto in Parlamento. A questo punto il prima possibile, verosimilmente in ottobre, e già si parla del 13 di quel mese.E Di Maio? Ora tenta la carta del «grande obiettivo» del taglio dei parlamentari. Su Facebook, il vicepremier ha scritto che «il dibattito sulle poltrone inizia a stancarmi». Ha ricordato che il 9 settembre è previsto il voto alla Camera per arrivare a un Parlamento con 345 poltrone in meno (230 deputati e 115 senatori). Per dire ai leghisti e ai suoi: prima tagliamo i seggi, poi tutti alle urne. Ma questo significa, come spiegato ieri dalla Verità, allungare i tempi fino a metà 2020. Di Maio inizia così la sua campagna elettorale: la casta non ha voluto dimagrirsi, Lega in testa. Ma il leader grillino ha un altro problema: negli ultimi due mesi, dopo il crollo alle europee, i toni sempre più duri di Salvini hanno reso Di Maio sempre più fragile. Anche gli equilibri nel M5s, negli ultimi due mesi, si sono modificati, e anche in casa ormai tutto gioca contro di lui: per cercare un'alternativa alla fallimentare strategia dell'ala «governativa» del M5s, l'ala «movimentista» che non ha mai simpatizzato con il suo leader, e cioè la parte più «di sinistra» incarnata dal presidente della Camera Roberto Fico e dal leader-alternativo-in-pectore Alessandro Di Battista, negli ultimi tempi è andata in cerca di una saldatura con parti centrali del partito. Il primo scricchiolio era arrivato il 6 agosto con le dimissioni di Massimo Bugani, uno dei capi della segreteria di Di Maio a Palazzo Chigi e (soprattutto) socio di Davide Casaleggio nella Casaleggio & associati, la casa-madre del M5s: l'improvviso addio è stato letto come un nuovo avvertimento per il vicepremier. Ma non è bastato a far cambiare la strategia.Ora, con la crisi alle porte, Di Maio può soltanto lanciare invettive contro il suo ex gemello Salvini, forse temendo per il suo futuro: «Noi siamo pronti», dice in serata il ministro grillino, «perché della poltrona non ci interessa e non ci è mai interessato nulla. Ma una coda è certa: quando prendi in giro il Paese, i cittadini, prima o poi ti torna contro. Prima o poi ne paghi le conseguenze». Di Battista ha bisogno invece di cercare visibilità, magari per proporsi come nuovo capo. Forse è per questo se in serata, spara una dichiarazione forte contro il leader leghista, un attacco che scende sul personale: «Salvini», dice il Dibba, «manda tutto all'aria per pagare cambiali a parlamentari terrorizzati dal taglio delle poltrone o agli amici del “suocero" Denis Verdini che se la fanno sotto per la riforma della prescrizione che entrerebbe a breve in vigore». Parole da voto, Mattarella permettendo: in caso di incarichi di emergenza nazionale, che farà il M5s? E chi deciderà?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/di-maio-incassa-lultimo-schiaffo-poi-i-grillini-passano-agli-insulti-2639734768.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-tra-matteo-e-le-urne-ce-mattarella-pronto-a-tutto" data-post-id="2639734768" data-published-at="1757379022" data-use-pagination="False"> Ma tra Matteo e le urne c’è Mattarella pronto a tutto Nel giorno del suo cinquantacinquesimo compleanno, Giuseppe Conte pensava di cavarsela con una passeggiatina al Colle, un colloquio di 40 minuti (dalle 12.55 alle 13.35) con Sergio Mattarella (che in giornata ha poi incontrato il presidente della Camera e sentito la presidente del Senato), e una scarna nota ipertranquillizzante fatta filtrare alla fine, nell'illusione di spegnere subito l'incendio. Era di buon umore, l'avvocato del popolo: il colloquio di mercoledì all'ora di cena con Matteo Salvini gli era parso positivo, e il successivo comizio a Sabaudia del leader leghista gli era sembrato meno fiammeggiante di quanto temesse. Morale: l'altra sera Conte aveva fatto sconvocare una conferenza stampa che si sarebbe dovuta tenere ieri. E così, nella convinzione di poter agevolmente sedare il fuoco, il premier era salito al Quirinale. Subito dopo, la macchina dello spin di Conte pensava di poter servire altra camomilla, facendo sapere che il presidente del Consiglio si era limitato a «un'informativa» al Capo dello Stato. E le fonti vicine a Conte, incautamente, aggiungevano: «Nessuna ipotesi di dimissioni». Il tentativo di minimizzazione proseguiva raccontando di un mero esame della situazione svolto al Quirinale, senza l'approfondimento di scenari di crisi. È forse questo che ha ulteriormente irritato la Lega, portandola alla durissima nota che - per la prima volta - evoca esplicitamente il voto, bissata - dopo poche ore - da un'altra a firma Matteo Salvini che il voto lo reclama esplicitamente. Sta di fatto che, nel pomeriggio, Salvini e Conte si sono visti per 90 lunghissimi minuti a Palazzo Chigi, senza Di Maio, che pure era nel suo ufficio. La sensazione è che, fino a ieri, in diversi palazzi romani si fosse sottovalutata la determinazione di Salvini. Alla Verità risulta un fatto: molti erano convinti che Salvini avesse definitivamente accettato l'idea di un semplice rimpasto, e soprattutto di non voler mettere in discussione la scadenza del 9 settembre, con la definitiva approvazione in Parlamento del taglio di deputati e senatori. Una riforma popolarissima, certo. Ma pure un cavallo di Troia per impedire il voto per un semestre, e forse anche più a lungo: e non solo per il tempo consentito (3 mesi) agli eventuali contrari per convocare un referendum, ma soprattutto perché, siccome il taglio dei parlamentari innescherebbe un inevitabile effetto ultramaggioritario, diverse forze parlamentari sarebbero pronte - pur di allungare il brodo - a riaprire adesso la questione della legge elettorale, per mettere sabbia nelle ruote della Lega. Ma Salvini tutto questo l'ha capito: ed ecco perché la sua accelerazione ha fatto ribaltare il banco. Certo, con la parlamentarizzazione della crisi (se verrà innescata dal voto di fiducia/sfiducia invocato da Salvini) sarà il Quirinale a prendere in mano, come norma impone, le operazioni. E qui si concentrano tutti i timori della Lega, che vede l'attivismo del Colle come unico, concreto ostacolo, per il voto anticipato già a ottobre. La possibilità di affidare un incarico esplorativo a una personalità tecnica, infatti, è eufemisticamente nelle corde di Mattarella. Ricordiamo tutti il traccheggiamento infinito attorno alla figura di Cottarelli. Ma ancora prima dell'affidamento di un mandato esplorativo a un tecnico, o di un reincarico allo stesso Conte perché cerchi una maggioranza alternativa (M5s-Pd-pezzi di Fi) in Parlamento, in via Bellerio temono che il rallentamento delle operazioni. Magari con la scusa delle Camere ormai chiuse per ferie. Magari con il ritardo nella presentazione delle mozioni di sfiducia, necessarie per innescare la crisi de facto. E dire che stavolta il Colle non avrebbe a disposizione l'alibi «stagionale»: si dice che in autunno di solito non si vota. Ma in Austria si voterà il 26 settembre, e pure in Spagna (se non si formerà un governo entro il 23 settembre) le urne si riapriranno in autunno. Ergo, non c'è motivo per dire che in Italia non si possa fare altrettanto. Quindi, dopo una rapidissima esplorazione, condotta direttamente o per interposta persona, il capo dello Stato potrebbe anche decidere di sciogliere subito le Camere. Informalmente, nelle scorse settimane, sia pur non vincolandosi mai in modo chiaro, il Colle aveva fatto giungere a Salvini il messaggio secondo cui non avrebbe compiuto «forzature». Ma il timore del leader leghista è che ciò non avvenga, e che l'esplosione della crisi coincida con l'immersione in una palude. Immaginiamola una tempistica efficace: scioglimento delle Camere entro pochi giorni; voto tra il 6 e il 20 ottobre (la Lega punta domenica 13 ottobre); nuovo governo e nuovo Parlamento operativi tra la prima e la terza settimana di novembre. Occorre però che, dopo la nascita del nuovo governo, il lavoro parlamentare proceda come un treno. Il termine che non può assolutamente essere mancato è l'approvazione della manovra entro il 31 dicembre. Nulla vieta che il lavoro di impostazione sia portato avanti dai tecnici ministeriali in attesa dell'insediamento di un esecutivo a trazione super leghista. Che, in quel caso, metterebbe il timbro politico sulla finanziaria anche con un maxi emendamento. Un precedente caro ai competenti c'è: Mario Monti fece il Salva Italia in 48 ore.
Ecco #DimmiLaVerità dell'8 settembre 2025. Il generale Giuseppe Santomartino ci parla dell'attentato avvenuto a Gerusalemme: «Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? Il ruolo di Hamas e la questione Cisgiordania».