2020-06-18
Di Maio in Svizzera con 12 auto blu e sul nodo frontalieri scarica il barile
Il grillino arriva in Ticino con una carovana di mezzi al seguito. Gli elvetici: «Stallo sui lavoratori dannoso. Può saltare il tavolo».Ha fatto la gita a Chiasso. C'è tutto il provincialismo italiano radiografato da Alberto Arbasino nella visita lampo, ma piena di condiscendenza e luoghi comuni, di Luigi Di Maio appena oltre il confine svizzero. Ingannato dalle consonanze linguistiche e culturali, il ministro degli Esteri si è affacciato al valico di Brogeda, poi si è spinto fino a Mendrisio, neanche fosse un frontaliere comasco impegnato a fare il pieno di benzina e a cercare gli ormai introvabili Moretti della Migros, ritirati per paura di ritorsioni dolciario-razziste. E lo ha fatto come un satrapo mediorientale nella provincia limitrofa, accompagnato da un corteo di otto auto blu (lui che dai palchi grillini al tempo degli unni ripeteva di volerle rottamare tutte) e quattro Van blindati. La nera processione è stata filmata da molti balconi e postata su siti e social ticinesi con una dicitura di fondo: i soliti sbruffoni italiani. Per i cugini svizzeri non è cambiato niente dai tempi della prima Repubblica, e questo li ha in parte rassicurati; dietro i vetri oscurati nessuna rivoluzione a cinque stelle, solo la macchiettistica replica di vizi antichi in arrivo da Roma. Come fumetto, Di Maio e gli Elvezi ha fatto meno ridere di Asterix. Per due motivi. Il primo è l'approccio: mentre nella confederazione ci si attendeva un bilaterale di contenuto, il ministro si è limitato a fungere da operatore turistico. Prima ha doverosamente ringraziato per gli aiuti nei drammatici giorni iniziali della pandemia («Non dimenticheremo mai le 50.000 mascherine, le 10.000 tute e il gel»), poi si è lanciato nella descrizione di Bella Italia per ribadire che «vi aspettiamo, tornate in Italia, applicheremo misure rigide per permettere ai cittadini di muoversi nell'area Schengen». Nella terra dove ogni giorno lavorano (e in parte lo hanno fatto anche durante l'emergenza) 325.000 italiani tutto questo è dato per scontato. Dopo averlo salutato con il gomito e averlo ascoltato con la consueta sobrietà, il consigliere federale Ignazio Cassis ha risposto che «la frontiera che ci ha separati, oggi ci riunisce. Ma questo non vuol dire che non si debba tenere conto dei bisogni locali». Convenevoli con il veleno sulla coda, perché difficilmente gli svizzeri passano il tempo in chiacchiere. Da questo incontro si aspettavano molto di più. Il ruolo di cerbero lo ha dovuto sostenere il consigliere di Stato Norman Gobbi, per niente impressionato dalla ruota di pavone dell'ospite italiano. Le sue parole rappresentano il secondo motivo di imbarazzo, quello sostanziale.«Sul tavolo giace sempre il dossier dell'accordo fiscale per i frontalieri, ormai inerte da quattro anni in attesa della firma del governo italiano. Questa situazione di stallo è per il cantone incomprensibile e arreca un grave danno al potenziale di sviluppo della collaborazione fra i nostri territori. Riteniamo perciò che sia giunto il tempo di onorare l'impegno preso con il paragrafo dell'accordo», ha ruggito Gobbi, ricordando che Ticino e Lombardia hanno inviato il 30 aprile scorso una lettera con raccomandazioni all'attenzione dei rispettivi ministri delle Finanze per sbloccare la situazione di stallo. Il nodo è un accordo fiscale che superi quello degli anni Settanta e che consenta a tutti i frontalieri (italiani e svizzeri) di essere assoggettati a un regime impositivo unico. «In modo che i cittadini siano considerati uguali davanti al fisco».Riassumendo, gli elvezi si aspettavano fatti e non solo passerelle, mentre Asterix sembrava intenzionato unicamente a entrare nell'obiettivo dei fotografi. E dava l'impressione di non avere studiato la materia. Un corteo inutile, dignitari senza delega. Gobbi non l'ha presa bene: «Possiamo continuare a parlare di relazioni amichevoli ma quando ci sono delle pietre di inciampo che non vengono tolte dalla strada diventa difficile continuare assieme in maniera cordiale su questo cammino». A irrigidire gli svizzeri sono state un paio di risposte di Di Maio, tese a gettare la palla nel campo del ministero delle Finanze. Sorrisi di prammatica, cravatte sfavillanti, ma alla fine il numero uno ticinese si è lasciato scappare con i giornali locali una frase assai poco accomodante: «Dopo cinque anni di discussioni, rimbalzare sempre la questione sul ministero delle Finanze diventa insostenibile e incomprensibile. Se non si vuole l'intesa la si può sempre ridiscutere, ma lasciare il dossier in giacenza non ha senso. A questo punto possiamo anche far saltare il banco, rescindendo l'accordo e rimettendo tutto in discussione». Un quadretto molto meno aulico rispetto a quello presentato in prima battuta dai media italiani. Gli svizzeri si aspettano fatti, non solo frasi tardodemocristiane imparate a memoria sul sedile posteriore. Quando si danno per scontate, anche le gite a Chiasso possono risultare pericolose.