2020-01-16
Di Maio celebra il suo tour pro Libia: le sorti di Roma in mano alla Merkel
In audizione il grillino si dice soddisfatto di aver portato acqua al mulino di Berlino dove domenica dovrebbe firmarsi la tregua. Giuseppe Conte conferma: contingente Ue di interposizione. Con il rischio che ne benefici la Francia.«L'Italia è concentrata da tempo affinché la crisi sia orientata a una soluzione politica, condividiamo un forte impegno congiunto per promuovere una sostenibile soluzione politica sotto l'egida delle nazioni unite», ha detto il premier Giuseppe Conte, parlando di Libia al termine del colloquio con il Primo Ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte. «L'approccio dell'Italia verso la crisi libica è uno degli argomenti toccati. Con l'approssimarsi della conferenza di Berlino, la nostra posizione è chiara e coerente: non c'è spazio per una soluzione militare che acuirebbe le sofferenze e l'instabilità della regione». Una dichiarazione diretta non solo agli altri Paesi Ue ma anche al nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che fino a poche ore fa si muoveva sull'idea di poter avviare un contingente di interposizione in gran parte italiano.Ieri, invece, il leader grillino ha riferito al Senato l'esito (o meglio dire il non esito) del suo tour del Mediterraneo. Nella sostanza si è limitato a confessare di aver portato acqua al mulino tedesco (a Berlino domenica dovrebbe firmarsi la tregua visto la presenza annunciata di Khalifa Haftar) spiegando che si deve all'Italia se i protagonisti del teatro libico si riuniranno alla corte di Angela Merkel.Mentre sul fronte militare anche Di Maio ha tenuto a precisare che non ci saranno azioni offensive salvo ribadire quanto sostenuto poche ore prima da Conte. «L'Ue, su impulso dell'Italia, ha avviato una riflessione per una missione di monitoraggio del cessate il fuoco in Libia, nel quadro della legalità internazionale sancita dall'Onu e su richiesta delle autorità libiche», ha aggiunto Di Maio. «Sarebbe un passo importante per evitare interferenze straniere e dare un ruolo di primo piano all'Ue nella crisi».La premessa per una soluzione politica della crisi libica, «che potremo cercare di ottenere già dalla conferenza di Berlino, è che si mantenga la tregua fra le fazioni e che si apra un confronto intralibico in grado di consegnare un futuro di benessere e prosperità e anche di autonomia e indipendenza», ha concluso a sua volta Conte. In pratica, il governo ci sta spiegando che dopo aver fallito il tentativo di fare da paciere tra i due uomini forti della Libia, il generale Haftar e il premier di Tripoli Fajez Al Serraj, dovremmo gioire perchè in quell'intento dovrebbe riuscire la Germania. Una magra consolazione perché almeno il tentativo di mediazione potrebbe avevnire dentro l'aveo dell'Unione europea e non a Mosca o direttamente ad Ankara. Certo, se tutto ciò permetterà all'Eni di mantenere la posizione allora l'Italia accetterà di aver subito un grosso smacco diplomatico e politico senza terribile conseguenze. D'altronde non è stato il primo e forse non sarà l'ultimo. Sebbene la topica della scorsa settimana passerà alla storia. Se al contrario, la pace «tedesca» sulla Libia significherà perdere ulteriori posizioni in Libia, allora dovremo fare i conti con una debacle difficile da superare. Pe rils emplice fatto che da Palazzo Chigi non sembrano uscire idee utili a posizionare il nostro Paese nel nuovo scacchiere emerso dal blitz turco in Libia. Servono nel breve scelte di campo definite e forse maggiore coordinamento politico con gli Usa. D'altro canto, non è possibile nemmeno immaginare che la nostra intelligence guidata dal direttore Luciano Carta continui a fare salti mortali per parare colpi e insidie sia sul terreno sia a livello diplomatico. Da quando lo scorso 4 aprile il capo della Cirenaica ha sferrato un bombardamento notturno su Tripoli, avviando un lento accerchiamento che ora ha portato le sue truppe a pochi chilometri dal mare della Tripolitania, l'agenzia ha aumentato la copertura e la vigilanza attorno al contingente militare a Misurata. E al tempo stesso ha intensificato la rete di mediazione tra le parti in causa. Se Serraj dopo aver disertato l'invito di Conte è poi tornato a Roma lo si deve, stando a quanto emerso, ai servizi. Però ciò non sembra bastare in uno scenario così fluido.L'Italia rischia di allinearsi in seconda fila dentro l'ambito Ue e poi vedersi sorpassare dalla Francia che nelle ultime settimane ha preferito sparire dalla scena ufficiale. Impossibile immaginare che Haftar accetti di tornare alla situazione precedente il 4 aprile e ritiri le sue truppe fino alle originarie aree di competenza. Servirà una forza di interposizione che calmi gli animi, purché una volta divenuta effettiva la tregua venga riconosciuto all'Italia un ruolo di primus inter pares rispetto agli altri Paesi Ue. Tale ruolo sarà molto difficile da conquistare senza l'appoggio Usa e senza comprendere come Washington e Parigi vogliano controllare il Sahel. Altrimenti avremo fatto il lavoro per gli altri, leggasi Parigi. Per questo serve una forte politica estera. Purtroppo al momento c'è poco da essere ottimisti dalle parti della Farnesina.