2021-04-05
Se i dem Usa vogliono silenziare l'opposizione
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C'è un dibattito che sta sempre più prendendo piede negli Stati Uniti. Si ipotizza la possibilità di azzerare il cosiddetto «filibuster»: procedura parlamentare, vigente in Senato, che consente al partito di opposizione di bloccare un determinato disegno di legge. Un tema che potrebbe apparire una questione meramente tecnica. Ma che è in realtà gravido di conseguenze politiche potenzialmente dirompenti per la democrazia.Con «filibuster» ci si riferisce alla procedura parlamentare, vigente in Senato, che consente al partito di opposizione di bloccare un determinato disegno di legge. Uno stallo che – secondo una riforma dei regolamenti risalente al 1975 – può essere aggirato soltanto attraverso un ulteriore procedimento (detto «cloture»): procedimento invocabile tuttavia con la maggioranza qualificata di sessanta voti su cento.Da quanto detto, si comprende come questa situazione risulti oggi particolarmente fastidiosa per il Partito democratico americano: una compagine che, in Senato, dispone di una maggioranza risicatissima. I due partiti detengono infatti un eguale numero di seggi (cinquanta e cinquanta), ma i dem, esprimendo il vicepresidente degli Stati Uniti, hanno la possibilità di rompere lo stallo in loro favore. Un vantaggio, quest'ultimo, che è tuttavia «sfruttabile» esclusivamente nelle votazioni a maggioranza semplice. Ed è qui che sorge il nodo, visto che, almeno al momento, la maggior parte dei disegni di legge risulta sottoponibile al «filibuster»: il che rende particolarmente impervia la strada per l'asinello. Un asinello che, per avere i numeri adeguati, necessiterebbe del voto costante di almeno dieci senatori repubblicani. Uno scenario che, dato il clima di sempre crescente polarizzazione dell'agone politico americano, risulta quasi del tutto utopistico. E' quindi in questo complicato quadro parlamentare che un numero crescente di democratici (soprattutto di area progressista) sta invocando l'abolizione del «filibuster». In particolare, svariati parlamentari sostengono che tale procedimento sia collegato al razzismo. «Il filibuster è stato progettato per dare al Sud la possibilità di porre il veto a qualsiasi legislazione efficace sui diritti civili o legislazione anti-linciaggio», ha recentemente dichiarato la senatrice dem del Massachusetts, Elizabeth Warren. «Il filibuster ha radici profonde nel razzismo e non dovrebbe essere consentito di svolgere tale funzione o di creare un veto per la minoranza. In una democrazia, è la maggioranza a dominare», ha aggiunto. Una posizione ripresa da altri suoi compagni di partito, tra cui il deputato Hank Johnson. Lo stesso Barack Obama, lo scorso luglio, invocò l'abolizione del «filibuster», definendolo una «reliquia di Jim Crow» (cioè una procedura sostanzialmente razzista). Su una posizione simile si è collocato anche Joe Biden che, qualche giorno fa, si è detto espressamente d'accordo con la suddetta definizione data da Obama. Ora, si scorgono, in queste posizioni, alcuni problemi. Innanzitutto, a livello generale, quanto detto dalla senatrice Warren lascia vagamente perplessi. Se è vero che in una democrazia la maggioranza abbia il diritto di governare, è altrettanto vero che esista il diritto di fare opposizione, secondo i metodi stabiliti dalla legge. Togliere strumenti operativi alle forze parlamentari di minoranza rischia quindi di suonare «vagamente» antidemocratico. In secondo luogo, si scorge un problema tecnico. Non solo alcuni senatori dem non hanno intenzione di approvare la cancellazione del «filibuster». Ma non è neppure così facile mutare i regolamenti del Senato. Al di là di una maggioranza qualificata di cui i dem non dispongono, sarebbe magari possibile ricorrere a un procedimento ad hoc chiamato «opzione nucleare»: un procedimento tuttavia che fu usato dai repubblicani per la conferma del giudice Neil Gorsuch alla Corte Suprema nel 2017. Circostanza che attirò all'elefantino aspre critiche da parte dell'asinello. E qui veniamo a un terzo problema: quello della coerenza. I senatori democratici hanno infatti ripetutamente usato lo strumento del «filibuster» durante l'intero arco della presidenza di Donald Trump sui più disparati provvedimenti (dalle questioni inerenti all'immigrazione agli aiuti economici per il Covid-19). Non solo: nel 2005, quando era ancora senatore dell'Illinois, Obama difese a spada tratta l'utilizzo del «filibuster». «Se la maggioranza [repubblicana] sceglie di porre fine al «filibuster», se sceglie di cambiare le regole e porre fine al dibattito democratico, allora le lotte, l'amarezza e lo stallo non potranno che peggiorare», disse. Insomma, da senatore Obama ha difeso un procedimento che, da presidente, ha tacciato fondamentalmente di razzismo. Davanti a tali precedenti storici, l'attuale capogruppo dei senatori dem, Chuck Schumer, ha giocato sulla difensiva. «La grande differenza è che siamo sempre stati disposti a negoziare in modo bipartisan. [Il capogruppo dei senatori repubblicani] Mitch McConnell non lo è. I progetti di legge che mette sul tavolo, anche quando li chiama bipartisan, non lo sono». Peccato che le cose non stiano esattamente così. Se i repubblicani non sono certo esenti da strumentalizzazioni pregresse, è però altrettanto vero che il Partito democratico stia portando avanti un'agenda politica unilaterale e, almeno finora, chiusa al compromesso con il Gop. Abolire uno strumento di garanzia come il «filibuster» (pur a fronte degli abusi verificatisi da entrambe le parti negli anni) per supplire alla mancanza di un'adeguata maggioranza parlamentare rischia di acuire la polarizzazione già da anni in atto negli Stati Uniti. E confermerebbe una volta di più che, nonostante i tanti proclami a favore dell'unità nazionale, a molti dem interessi alla fine soltanto silenziare chi non la pensa come loro. Independence Day Usa GIF by CBS Giphy
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)
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L’area tra Varese, Como e Canton Ticino punta a diventare un laboratorio europeo di eccellenza per innovazione, finanza, sviluppo sostenibile e legalità. Il progetto, promosso dall’associazione Concretamente con Fabio Lunghi e Roberto Andreoli, prevede un bond trans-frontaliero per finanziare infrastrutture e sostenere un ecosistema imprenditoriale innovativo. La Banca Europea per gli Investimenti potrebbe giocare un ruolo chiave, rendendo l’iniziativa un modello replicabile in altre regioni d’Europa.