2019-11-17
Dalle 7 madamin ai pesci in scatola. Tragicommedia dei salvatori del Pd
A sinistra, dopo ogni fallimento, emerge un nuovo salvatore da seguire. Ora tocca alle «sardine» anti Salvini, che hanno sostituito le signore bene pro Tav, venute dopo i borgatari. Ma finisce sempre allo stesso modo. Male.Giornaloni in estasi per le «sardine» di Bologna. Davanti al successo della manifestazione in Piazza Maggiore (complici falangi di centro sociali e Anpi) come risposta alla prima uscita pubblica di Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni, è partito un coro assordante, a testate (quasi) unificate: «La sinistra riparta dalle sardine», che poi sarebbero - in base al nomignolo scelto dagli organizzatori - i partecipanti all'adunata, stretti come sardine, e capaci di «non abboccare all'amo leghista». Così, è partito un tragicomico tentativo di training autogeno a sinistra, per farsi coraggio contro il nemico alle porte, perché - ci si fa sapere - «Bologna resiste» (non si sa bene contro che e contro chi, visto che a fine gennaio ci saranno elezioni democratiche, non un'invasione aliena). Alla bisogna, sono stati mobilitati numerosi inviati, invariabilmente ritornati alla base con pezzi in fotocopia: ritratto agiografico dei quattro giovani promotori (Mattia Santori, Roberto Morotti, Giulia Trappoloni e Andrea Garreffa), citazioni scontatissime di Lucio Dalla e Piazza grande, inevitabile evocazione dei «quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo», e tutto il repertorio già letto e già sentito 1.000 volte: la società civile, il grido di dolore, l'urlo di speranza. Eh sì, perché in poco più di in un anno, la sinistra doveva già «essere ripartita» altre quattro volte. Ripercorriamo i precedenti. La quintultima volta la formula magica era: «La sinistra riparta da Ivano». Ivano chi? Ivano Ciccarelli da Marino, il truce pro accoglienza ai Castelli romani, eroe incontrastato e trionfatore multimediale dell'agosto 2018. Che era successo? Questo Ivano aveva partecipato al presidio comunista a Rocca di Papa per accogliere i migranti in arrivo dalla nave Diciotti, in contrapposizione - pochi metri più in là - ai militanti di destra. In un tripudio di cori Bella ciao, Ivano prese la parola in tv. Maglietta sinistramente chiazzata, manona formato badile che volteggiava vorticosamente (si intuiva che due schiaffi mollati a qualcuno, a piacere, avrebbero potuto rafforzare i concetti), Ivano dettò la linea: «Chi so' quelli? So' un gruppo de fascisti contro la venuta de 'sti poracci… Questi, oltre a essersi fatti 'a navigata, 'a sosta, dieci ore de' pullmann, mo' quanno arrivano qua, se devono gode' pure 'sta rottura de cojoni de fascisti…». Capite bene che, dopo questo speech, l'incoronazione a leader della sinistra era dietro l'angolo. Sui social, l'apoteosi: «Ivano premier», «Ivano ministro dell'interno», «Ivano segretario del Pd», «Ivano idolo». La quartultima volta, invece, la formula era: «La sinistra riparta dal pischello di Torre Maura». Si era nella primavera 2019, nella periferia più dimenticata di Roma: per giorni, i grandi media ci mostrarono due sole parti in commedia. Da un lato, i militanti di Casa Pound, descritti invariabilmente come orridi fascisti, con in più l'aggravante della strumentalizzazione della sofferenza; ed equiparati a loro, gli abitanti del quartiere, quasi mai ascoltati nel loro disagio, ma dipinti come plebe mobilitata dalla destra e dunque a sua volta intrinsecamente razzista. Dall'altro lato, una figura angelicata e poetica, quella di Simone, il «pischello» che pronunciò il celebre «nun me sta bene che no», frase divenuta inno e manifesto per giorni. Comparvero cartelli con la scritta «Simone presidente», più l'inevitabile dibattito «la sinistra riparta da Simone», una specie di giovane angelo contro le bestie fasciste.Non basta ancora? Cambiamo totalmente scenario. La terzultima volta, la formula era: «La sinistra riparta dalle madamin di Torino». Si trattava della manifestazione Sì Tav di Torino dello scorso novembre, alla quale avevano partecipato anche cittadini di centrodestra. Ma i media si dedicarono a «lanciare» le sette signore organizzatrici, arruolando d'imperio tutti i manifestanti (pure i leghisti?) in un «fronte repubblicano». Nacque così, su La Stampa, il surreale titolo: «La piazza apre al dialogo con Quirinale e governo», con il Quirinale trasformato in una via di mezzo tra un ufficio reclami e una commissione parlamentare per le audizioni, e l'idea che le sette signore bene (con rispetto parlando) fossero la «controparte» del governo. Anche Il Corriere non scherzò, dedicandosi ai propositi di tournée delle madamin e al racconto del «day after», non esattamente di lotta («…in un villino liberty affacciato sul parco del Valentino davanti a una tazza di tè e a una guantiera di pasticcini…»).La penultima volta è recentissima: «La sinistra riparta da Greta», con gli articoloni melassati sulle manifestazioni degli studenti (sorvolando sulla scuola allegramente marinata, con tanto di «permesso» del ministro), la sensibilità eco-qualchecosa e il «nuovo impegno dei giovani». Fino all'ultima puntata, quella di queste ore: «La sinistra riparta dalle sardine», con tutto il repertorio più spompato e prevedibile che abbiamo già ricordato. È l'eterno ritorno del sempre uguale. La macchina (politica e editoriale) della sinistra ha il motore a pezzi, le gomme sgonfie, il serbatoio vuoto? E allora si supplisce così: con la demonizzazione dell'«altro» (che è per forza «fascista»: e dunque «Bella ciao»), e con la ricerca superstiziosa e palingenetica della ricetta e delle figurine per «ripartire». Occhio, compagni. Perché se in Emilia vincete, forse guadagnate qualche mese. Ma se invece, nonostante tutta questa enfasi, perdete, come la mettiamo?
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)