
Compie 18 anni il portale di gossip fondato da Roberto D'Agostino: notizie, indiscrezioni e pettegolezzi che un certo mondo è obbligato a frequentare.«Flash! Dagospia compie 18 anni. La Roma godona, tra grandissime teste coronate, morti di fama, cazzari senza arte né party, festeggia domani la maggiore età della portineria elettronica inaugurata da Roberto Disgustino il 23 maggio 2000. Il capo indiano Estiqaatsi è contento». Se uno adottasse lo stile, tutt'altro che compassato (tra giochi di parole, sadismi e tenerezze, sarcasmi, neologismi e soprannomi tra l'irridente e l'abrasivo), usato e abusato sul suo sito Internet da Roberto D'Agostino, l'annuncio del compleanno lo dovrebbe scrivere così. Quando iniziò l'avventura non c'era il flipper dei social a far rimbalzare in modo virale la pallina di notizie, indiscrezioni, pettegolezzi. Niente motori di ricerca per avere in meno di un secondo un universo di link e collegamenti a disposizione. Il sito Dagospia, per trovarlo, dovevi sapere che c'era e andartelo a cercare direttamente.Nonostante questo - o forse proprio per questo: essere stato, cioè, un pioniere nel Far Web - è diventato un indirizzo che un certo mondo, autoreferenziale quanto si vuole, si è ritrovato - nel bene o nel male - a non poter fare a meno di frequentare.Per dirla con Filippo Ceccarelli, penna elegante e documentatissima di Repubblica, «Dagospia è uno strumento insostituibile per la classe dirigente, senza il quale non potrebbe vivere. Sono un giornalista e lo consulto almeno due volte al giorno. Se fossi un banchiere o un politico forse lo consulterei ancora più spesso».Già nel 2003 Edmondo Berselli, raffinato intellettuale e scrittore, direttore de Il Mulino, nel suo libro Post Italiani, pennellava questo ritratto profetico: «È probabile che Dagospia diventi non solo l'organo ufficiale del «net-tegolezzo», con D'Agostino come ideologo, testimonial e scoopista, ma un punto di riferimento per l'informazione tout court».Lo stesso D'Agostino chioserà: «Capii presto che non erano le scopatine degli attori ad interessare i miei lettori, ma l'insieme gossip-potere-economia».Risultato? Oggi Dagospia ha una fama riconosciuta a livello nazionale e internazionale. Antonio Padellaro al debutto del Fatto Quotidiano, 2009, scriverà: «Alla presentazione del primo numero del nostro giornale non c'era l'Ansa ma Dagospia. Sì, quel sito di gossip su cui si trovano tutte le notizie che gli altri si dimenticano di dare. È ormai un servizio pubblico. I contributi per l'editoria, fagocitati da giornali a agenzie per riprodurre il nulla, sarebbe meglio versarli a lui».Pochi mesi fa Politico.eu, influente sito di analisi, fratello europeo della famosa testata di Washington, lo ha celebrato presentandone i contenuti, «un mix inebriante di scandali politici, gossip di celebrità e pornografia softcore», come il must-read (lettura imprescindibile) per l'establishment italiano. Articolo che è stato subito linkato dall'americano Drudgereport.com, il padre storico di tutti i siti d'informazione senza bavaglio. Dagospia è anche sinonimo di Cafonal, epitome del meglio del peggio dei nostri tempi, rubrica e poi libri, complici gli scatti inizialmente di Umberto Pizzi, che ha fatto scrivere nella prefazione di UltraCafonal a una vera signora del giornalismo, Natalia Aspesi: «Ma davvero siamo così orribili, così sfatti, così volgari, così cadaveri, così ultrasupertopcafonastri, tagliati fuori dalla vita?». Fece eco Ceccarelli: «Quando nel 2008 uscì il primo, immane volume di Cafonal, il pontefice massimo dell'intrattenimento regolamentato e addomesticato, il presidente del “terzo ramo del Parlamento", insomma Bruno Vespa, dedicò a Dagospia una trasmissione di due ore. Detto altrimenti: il sistema si difendeva inglobando, celebrando, normalizzando».D'Agostino ha sempre riconosciuto di aver avuto in Francesco Cossiga una «guida spirituale»: «È stato il primo a darmi fiducia». Ha dichiarato il suo omaggio affettuoso a Barbara Palombelli: «Sono affetto da palombellismo. È la mia ideologia politica, il cinismo romano, l'andreottismo letta-letta, la convinzione che qualsiasi problema si può risolvere attovagliati al Bolognese», ristorante di piazza del Popolo.Poi, siccome a Roma tutto si tiene in un grande palcoscenico popolato da ombre cinesi, si è dovuto difendere per i suoi rapporti con Luigi Bisignani (D'Agostino: «Cercavo notizie da chi le notizie le aveva. Chiamavo Bisignani per avere nuove su Silvio Berlusconi come chiamavo la buonanima di Angelo Rovati all'epoca di Romano Prodi o Claudio Velardi per Massimo D'Alema). Bisignani che però verrà sbugiardato quando indicherà Franco Bernabè come «suggeritore anonimo» del sito. Strillo di Dagospia: «Bernabè: non sono una fonte di Dagospia (e noi lo confermiamo)».Così, Maurizio Arrivabene, capo della scuderia Ferrari, davanti alle voci su una sua possibile rimozione, sbotta: «La squadra qui non la fa mica Dagospia».Stessa reazione di Toni Servillo: quando un collaboratore del sito gli chiede una foto, spiegandogli per chi lavora, Servillo replica che lui non fa foto con uno che ha a che fare con «quel sito».Ignota anche la prima scintilla del duello con Diego Della Valle. L'imprenditore benedirà una canzone dedicata a D'Agostino, dall'ineffabile titolo: «Dagostrunz». Rincarando poi la dose: D'Agostino? «Sputtana tutto e tutti, magari per accontentare il datore di lavoro di turno: ci si può guadagnare da vivere anche in modi più dignitosi». E D'Agostino: «Sono strunz e me ne vanto. Nella vita bisogna scegliere se essere servi o stronzi. Io ho scelto di essere stronzo piuttosto che leccaculo. Nella vita c'è chi ha palle e chi ha i pallini». Siccome una faida è una faida, a farne le spese furono anche i famigli come Enrico Mentana: «Chicco Mentana è riuscito ad aspettare la fine del suo telegiornale su La7 per dare la notizia delle condanne al processo di Napoli per Calciopoli: peccato abbia citato solo Luciano Moggi, Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto. Si è stranamente dimenticato del suo celebre testimone di nozze, tale Della Valle Diego, di professione “indignatod's", condannato...» (per completezza d'informazione, va ricordato che in appello scattò il non luogo a procedere per prescrizione).Sia come sia, il successo di Dagospia e del suo fondatore è certificato anche da una fortunata imitazione di Umberto Pantani in tv. Perché solo chi ha uno stile («capelli lunghi e barba alla ZZ-Top, coperto di tatuaggi e anelli con i teschi», così il sito Politico.eu) può essere parodiato. «In un paese serio Dagospia non esisterebbe», D'Agostino dixit. Amen.
Franco Zanellato
Lo stilista Franco Zanellato: «Il futuro? Evolvere senza snaturarsi e non inseguire il rumore, ma puntare su qualità e coerenza. Nel 2024 abbiamo rinnovato il marchio partendo dal Dna. Il digitale non è più soltanto un canale di vendita».
C’è un’eleganza silenziosa nel successo di Zanellato. In un panorama della moda che cambia rapidamente, tra nuove sensibilità e mercati in evoluzione, il brand fondato da Franco Zanellato continua a crescere con coerenza e autenticità, restando fedele ai valori del Made in Italy e a un’idea di lusso discreto e consapevole. Partito da Vicenza, ha saputo trasformare l’azienda di guanti di famiglia, in un luxury brand conosciuto in tutto il mondo. L’iconica Postina, simbolo di una femminilità raffinata e senza tempo, oggi dialoga con tre nuove borse che ampliano l’universo creativo della maison, interpretando con linguaggio contemporaneo il concetto di «Arte e mestieri» che da sempre ne definisce l’identità. Una visione che piace e convince. A trainare questa crescita, il mercato italiano e la piattaforma e-commerce, ma soprattutto una strategia che mette al centro la ricerca, l’equilibrio tra tradizione e innovazione, e un dialogo sempre più diretto con le donne che scelgono Zanellato per ciò che rappresenta: autenticità, bellezza, rispetto dei tempi e dei gesti, una filosofia che unisce artigianalità e design contemporaneo sempre vincente. Ne abbiamo parlato con Franco Zanellato per capire come si spiega questo successo e quale direzione prenderà l’azienda nei prossimi anni.
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Proviene dal «maiale degli alberi»: dalle foglie alla corteccia, non si butta niente. E i suoi frutti finiscono nelle opere d’arte.
Due sabati fa abbiamo lasciato la castagna in bocca a Plinio il Vecchio e al fior fiore dell’intellighenzia latina, Catone, Varrone, Virgilio, Ovidio, Apicio, Marziale, i quali hanno lodato e cantato il «pane dei poveri», titolo ampiamente meritato dal frutto che nel corso dei secoli ha sfamato intere popolazioni di contadini e montanari.
Albert Bourla (Ansa)
Il colosso guidato da Bourla vende una quota della sua partecipazione nella casa tedesca. Un’operazione da 508 milioni di dollari che mette la parola fine sull’alleanza che ha dettato legge sui vaccini anti Covid.
Pfizer Inc vende una quota della sua partecipazione nella casa farmaceutica tedesca Biontech Se. Il colosso statunitense offre circa 4,55 milioni di American depositary receipts (Adr) tramite un collocamento accelerato, con un prezzo compreso tra 108 e 111,70 dollari per azione. L’operazione porterebbe a Pfizer circa 508 milioni di dollari, segnala la piattaforma di dati finanziari MarketScreener.
Da sinistra, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e Maurizio Landini (Ansa)
Secondo uno studio, solo nel 2024 hanno assicurato all’erario ben 51,2 miliardi di euro.
A sinistra c’è gente come Maurizio Landini, Elly Schlein o l’immancabile duo Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni che si sgola per denunciare il presunto squilibrio della pressione fiscale che grava sui cittadini e chiede a gran voce che i ricchi paghino di più, perché hanno più soldi. In parole povere: vogliono la patrimoniale. E sono tornati a chiederla a gran voce, negli ultimi giorni, come se fosse l’estrema ancora di salvataggio per il Paese.






