
Lo storico Roberto Festorazzi ricostruisce un capitolo della propria storia familiare: uno scorcio inedito sulle origini del movimento mussoliniano sulle rive del lago di Como e sulle tensioni politiche tra le due guerre mondiali.Nei primi anni Duemila, il ritrovamento fortuito di un documento, nella vecchia casa di famiglia dove nel 1989 era morto mio nonno, mi permise di spalancare gli occhi sul suo passato fascista. Un varco si aprì nelle mia mente, e da allora sono andato alla ricerca di altre carte che mi permettessero di costruire una biografia del nonno «in camicia nera». Il primo documento da me scoperto, era una relazione da lui tenuta al Fascio di Bellano, nel giugno del 1923. Un rapporto politico che lesse, di fronte ai suoi camerati, in qualità di segretario politico della sezione stessa. Il nonno, al tempo, aveva appena vent'anni, essendo nato a Regolo, una frazione del Comune di Perledo di un centinaio di abitanti, il 25 febbraio 1903, primogenito di Giuseppe Festorazzi, nato nel 1874 e morto nel 1957, e di Clementina Nasazzi, scomparsa nel 1954 a 75 anni. [...] Diplomatosi ragioniere, all'Istituto Parini di Lecco, il nonno si era fatto assumere come impiegato dal Comune di Bellano per pagarsi gli studi universitari: frequentava infatti i corsi della Bocconi, a Milano, ma, per le vicende che vogliamo narrare, non riuscì a laurearsi. Pagò un prezzo molto alto per la lotta politica da lui condotta con lo spirito che noi ben abbiamo conosciuto: una forza morale e un'intransigenza sui principi davvero unica. Combatté, più che con il manganello, a mani nude, gettandosi nella mischia della quotidiana battaglia per il riscatto della sua gente, che viveva in condizioni di miseria. [...] La Grande guerra aveva mietuto molte vittime anche in questa zona e i sacrifici delle famiglie per sopravvivere, a partire dal 1919, si erano moltiplicati. La gente attendeva con ansia febbrile l'ora del riscatto. C'era chi abbracciava l'ideale socialista, c'erano i seguaci del partito cattolico di don Sturzo, mentre la vecchia classe dirigente liberale stava decisamente tramontando. [...] I socialisti, in particolare, si rendevano responsabili di odiose manifestazioni di sciacallismo, dileggiando i reduci del conflitto, gli ex combattenti, bollati come nazionalisti reazionari e guerrafondai, alleati dei grassi borghesi che avevano tratto profitto dall'avventura bellica. I rossi, non di rado, disturbavano le manifestazioni a ricordo dei caduti e si opponevano alla costruzione di monumenti a memoria del loro sacrificio per la patria. Tutto questo ferì la dignità e l'orgoglio di molti, suscitando rabbia e indignazione diffuse. La furia ideologica dei socialisti fomentò la reazione di chi si attendeva una risposta efficace, alla crisi economica e alla miseria endemica, che tenesse conto della realtà delle cose: che la guerra, giusta o sbagliata che fosse stata, era finita, e che gli italiani mandati a combatterla non si erano sentiti a servizio di alcuna casta di pescicani, ma unicamente chiamati a un sacro dovere. Quando Mussolini fondò a Milano, con la riunione del 23 marzo 1919, in piazza San Sepolcro, il nuovo movimento dei fasci, aveva ben chiara la risposta da fornire a queste ansie serpeggianti. Da sinistra, il futuro Duce intendeva combattere l'astrattezza ideologica dei socialisti, il ciarpame marxista, ereditando i voti di quanti erano stanchi dei loro eccessi. Il primo obiettivo, era dunque quello di distruggere la forza e la coesione delle organizzazioni socialiste; poi, una volta compiuto lo sgretolamento del loro insediamento sociale, si sarebbe passati a demolire i popolari. Solo in questo modo il fascismo avrebbe potuto (e di fatto poté) affermarsi come forza vincente: aggredendo dapprima i due partiti di massa, e poi stringendo compromessi di potere con quanto restava della palude liberaldemocratica, egemone sul piano nazionale fino al 1919. La storia politica documentabile di mio nonno comincia proprio qui. Dal 1922, l'anno terminato con la Marcia su Roma e con la conquista del potere da parte di Mussolini. La sua prima tessera di adesione al Partito nazionale fascista (n. 158.518) risale proprio al 1922. Il documento attesta che «Festorazzi rag. Piero di Giuseppe» è socio della sezione di Bellano «dalla sua formazione», ma anche che risulta provenire dal Fascio di Lecco, al quale era iscritto dal novembre del 1920, ossia da quando aveva diciassette anni. [...] La vicenda di mio nonno è, insieme, quella di un vinto e di un vincitore, ossia di un uomo che contribuisce a radicare efficacemente il nuovo movimento sul territorio, ma al tempo stesso dà prova di un idealismo estremo che gli procura guai e incomprensioni con le gerarchie. Nella sua mentalità, nonno Pietro non entra in politica per ricevere, ma unicamente per dare. Per lui non ha alcun senso «vivere» di politica, non vuole conquistarsi uno spazio proprio che gli garantisca una rendita economica. Ha vent'anni e vuole combattere una «buona battaglia». Avanti a sé mette l'ideale e anche l'interesse del movimento nel quale si identifica. Quando entrerà in conflitto con i suoi superiori, con disciplina militaresca si tirerà da parte, senza mormorazioni, recriminazioni, o propositi di vendetta. La sua intelligenza, e la purezza della sua dedizione alla causa, risiedono proprio in questo. Egli è un uomo libero, quando rinuncia a un incarico senza tradire l'idea. Tanto è vero che, nel 1941, a 38 anni, con moglie e tre figli, aderisce con slancio alla campagna di Russia, perché il dovere là lo chiama.
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