2021-10-14
I ritardi e gli errori sulle terapie domiciliari
Roberto Speranza (Getty Images)
L'importanza dell'intervento tempestivo per curare il Covid in casa era nota fin da subito al ministero. Eppure, il monitoraggio fu scaricato su medici di base e Usca (mai decollate). E, dopo mesi, le linee ufficiali raccomandavano ancora paracetamolo e attesa.Ieri è stata data notizia dello studio Cover 2 coordinato dall'istituto Mario Negri, che confermerebbe il possibile trattamento domiciliare nelle prime fasi dell'infezione di cui si parlò nell'aprile scorso. Le evidenze della ricerca allora pubblicata portarono ad affermare che «iniziando a curarsi a casa e trattando il Covid-19 come si farebbe con qualsiasi altra infezione respiratoria, ancora prima che sia disponibile l'esito del tampone», si velocizza la guarigione e viene ridotta l'ospedalizzazione. La sperimentazione, oggi, mostrerebbe tutta la sua efficacia. «Nella lotta alla pandemia le cure domiciliari sono un aspetto decisivo», così commentava la bella novella il Corriere della Sera, e capirai che bella scoperta a due anni di distanza dalla circolazione di questo sciagurato virus. Il protocollo messo a punto dal professor Giuseppe Remuzzi non è l'unico, diversi medici e comitati sono impegnati sul territorio a fornire terapie scientificamente comprovate che, a seconda delle condizioni del paziente, includono farmaci non raccomandati dalle organizzazioni ufficiali ma che danno risultati positivi. Offrono ai cittadini contagiati risposte che il governo non ha saputo assicurare. Un silenzio colpevole perché, mentre tutta l'attenzione era e rimane concentrata sui vaccini, viene ignorato il trattamento precoce del Covid e forse buona parte degli oltre 131.000 morti per coronavirus potevano essere salvati.RITARDI E OMISSIONIRipercorriamola, questa lunga storia di ritardi, sviste, omissioni che hanno lasciato soli milioni di positivi e assieme a loro i medici di base, i pediatri di libera scelta. Il 26 aprile scorso il ministero della Salute ha diffuso le nuove linee guida per le cure domiciliari del Covid-19, che aggiornano quelle del novembre 2020. Il 30 di quel mese infatti, quasi un anno fa, una circolare a firma di Giovanni Rezza, direttore generale della prevenzione sanitaria che fa capo a Roberto Speranza, finalmente si occupava di dare «indicazioni operative» sulla Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-Cov-2. Il documento, inviato a tutte le Regioni, alle federazioni di medici e infermieri, usciva dal ministero della Salute ben dieci mesi dopo la dichiarazione dello stato d'emergenza del 31 gennaio 2020. Condizione che avrebbe avuto durata sei mesi, invece è ancora in vigore.VIRUS CURABILE SUBITOQuella circolare del novembre scorso, emanata solo durante la seconda ondata pandemica, contiene un passaggio oltremodo rilevante: precisa che nella fase iniziale dell'infezione da Covid, quando il virus comincia a replicarsi, «i casi in cui il sistema immunitario dell'ospite riesce a bloccare l'infezione in questo stadio (la maggior parte) hanno un decorso assolutamente benigno». Quindi il ministero della Salute era a conoscenza dell'alta percentuale di trattabilità del Covid a domicilio, ma fino a quel momento non era intervenuto (nemmeno lo farà dopo) lasciando che i positivi, non curati in modo tempestivo, finissero in ospedale già in condizioni precarie. La malattia, ricordava infatti il documento ministeriale, può evolvere «verso una seconda fase», con polmonite interstiziale, insufficienza respiratoria e ipossiemia silente, insufficiente ossigenazione degli organi e tessuti che ne compromette la funzionalità. Ma non è finita, perché «questo scenario, in un numero limitato di persone» precisava sempre la circolare, «può evolvere verso un quadro clinico ingravescente dominato dalla tempesta citochinica e dal conseguente stato iperinfiammatorio». Sarebbe la terza fase con alterazioni gravissime e prognosi più sfavorevole. ZERO SOLUZIONIChe cosa veniva proposto, dunque, per potenziare una medicina del territorio smantellata da decenni di tagli di fondi? Il ministero parlava della necessità di «una corretta gestione del caso fin dalla diagnosi» che permetta di «mettere in sicurezza il paziente e di non affollare in maniera non giustificata gli ospedali e soprattutto le strutture di pronto soccorso». Però scaricava sui medici di base e sui pediatri di libera scelta il compito di monitorare e gestire i pazienti a domicilio, identificando anche le condizioni abitative e familiari, in collaborazione con il personale delle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale di cui poi parleremo e che decollarono male, con infinito ritardo. Nei soggetti a domicilio asintomatici o paucisintomatici la gestione era affidata a «vigile attesa, misurazione periodica della saturazione dell'ossigeno» e, rimandando alle decisioni dell'Aifa, a trattamenti sintomatici quali «paracetamolo o fans». No all'uso di vitamine, nemmeno la D, né di integratori. Nel protocollo non comparivano clorochina né idrossiclorochina il cui utilizzo, per l'Agenzia italiana del farmaco «non è raccomandato né allo scopo di prevenire né allo scopo di curare l'infezione», facendo riferimento a «un aumento degli eventi avversi legati all'uso del farmaco, seppur non gravi». Dal 17 luglio 2020 l'Aifa aveva anche sospeso l'autorizzazione dell'uso off label degli antiretrovirali lopinavir/ritonavir o darunavir/ritonavir o cobicistat, consentito nelle prime fasi dell'epidemia. Pochi giorni prima dell'uscita delle linee guida sulla gestione domiciliare del Covid, il 24 novembre l'agenzia regolatoria confermava pure la sospensione dell'autorizzazione all'utilizzo fuori «bugiardino» dell'idrossiclorochina sia per l'uso terapeutico sia per l'uso profilattico. «CHIAMATE IL 118»Quindi restavano solo tachipirina, o fans, e vigile attesa. Ecco che cosa si consigliava dopo dieci mesi di pandemia e 1,6 milioni di italiani colpiti dal Covid. Ma in precedenza, quali indicazioni erano state date per i trattamenti domiciliari? Ripercorriamoli, i vari decreti dell'allora presidente del consiglio, Giuseppe Conte, dopo la dichiarazione dello stato di emergenza. L'1 marzo 2020, tra le misure urgenti veniva disposto che il medico di sanità pubblica, oltre a informare la persona circa le caratteristiche di contagiosità, le modalità di trasmissione della malattia e la necessità di misurarsi la temperatura corporea due volte al giorno, in caso di comparsa di sintomi «procede secondo quanto previsto dalla circolare 5443 del 22 febbraio 2020». La disposizione cui fare riferimento era che il paziente sintomatico con temperatura corporea superiore a 37,5 e con mal di gola, rinorrea, difficoltà respiratoria, altri sintomi simil influenzali doveva essere isolato e segnalato al 112 o 118 che procedeva a prelevarlo con ambulanza. La stessa procedura era indicata nei decreti del 4 e dell'8 marzo. Saliva la febbre e non si sentiva bene? Subito il cittadino (se era fortunato che qualcuno gli desse retta nel caos della pandemia) veniva spedito in ospedale dove spesso non migliorava. Anzi. E quando finiva in terapia intensiva non aveva il conforto dei familiari nemmeno negli ultimi istanti di vita. A proposito di idee zero chiare sui dispositivi di protezione, negli allegati dei decreti di Conte si invitava a «usare la mascherina solo se si sospetta di essere malato o si assiste persone malate».LE USCA SENZA MEDICIDi assistenza domiciliare si comincia a parlare nel decreto legge del 9 marzo 2020, dove l'articolo 8 prevede il potenziamento delle reti assistenziali. Le Regioni dovevano istituire entro dieci giorni le Usca, nella misura di una unità speciale ogni 50.000 abitanti per la gestione dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero. Attive dalle 8 alle 20 (di notte il paziente aveva solo il 118), dovevano essere composte da medici che nemmeno si trovavano per fronteggiare l'emergenza ricoveri. «Non c'era chiarezza neanche su cosa dovessero fare le Usca», dichiarò a gennaio di quest'anno Pier Luigi Bartoletti, vice segretario Fimmg, la Federazione italiana medici di medicina generale. «Diagnosi, trattamento, terapia, assistenza: ci sono tante possibilità. È rimasto un decreto appeso al muro e poi, come sempre, “ognuno se la cavi come meglio crede"» furono le sue parole su Sanitàinformazione. NULLA È CAMBIATOLo scorso 26 aprile il ministero della Salute ha riproposto per le cure domiciliari vigile attesa, paracetamolo o fans mentre per l'uso degli anticorpi monoclonali la selezione del paziente è affidata ai medici di base e ai pediatri. No all'eparina a domicilio, continuano a non essere raccomandati l'idrossiclorochina e gli antiretrovirali sopra ricordati, né per prevenire né per curare l'infezione da Covid. Le misure contenute nelle linee guida sono per lo più generiche, consigliano di evitare la disidratazione, di promuovere lo svolgimento di attività fisica, di far dormire il paziente in posizione prona e, se le condizioni peggiorano, ricorrere alle cure ospedaliere. Questo, a ottobre 2021, è il protocollo ufficiale che dovrebbe rassicurare il cittadino positivo al tampone di non finire ricoverato se si prende un virus che, se trattato subito, ha quasi sempre un «decorso assolutamente benigno». Parola di ministro della Salute.