2023-03-03
Nick Luciani: «I Cugini in giacca e cravatta? Impossibile»
I Cugini di campagna. Secondo da sinistra, Nick Luciani (foto Gianni Brucculeri)
Il cantante della storica band di nuovo alla ribalta grazie a Sanremo: «Ogni tanto qualche fan ci suggerisce di cambiare il nostro look ma perfino i Måneskin ci hanno scopiazzato. Il Festival ci ha rivalutato. Faremo 50 concerti in Italia e andremo anche in Australia».In un Festival di Sanremo che sarà ricordato più per le polemiche che per la musica, la partecipazione dei Cugini di campagna con il loro inconfondibile look anni Settanta, adottato anche dai Maneskin, ha rischiato paradossalmente di passare sotto silenzio, offuscata da ben altri eccessi, ma la canzone Lettera 22 si è imposta immediatamente per la qualità del testo e l’esecuzione. Una grande rivincita per il gruppo e, in particolare, per il cantante Nick Luciani, che con la sua voce naturale, senza il marchio di fabbrica del falsetto, ha riconquistato la scena.Cosa le è rimasto dell’esperienza di Sanremo? «È stata un’esperienza unica perché non è come calcare i soliti palcoscenici. Il Festival ci ha rivalutato. Meglio tardi che mai: ci siamo arrivati anche noi».È la prima volta che partecipate. «Ci avevamo provato già con la canzone La nostra terra, tratta da una poesia di papa Giovanni Paolo II. Venivamo dal successo del programma di Fabio Fazio e Claudio Baglioni Anima mia e Fazio avrebbe presentato il Festival nel 1999. C’erano tutte le condizioni, ma il brano non è stato accettato perché Giovanni Paolo II non era cittadino italiano. L’abbiamo cantato sia in italiano sia in latino ed è stato apprezzato dal pubblico. A distanza di quasi venticinque anni ci siamo rifatti».Com’è nata questa occasione imperdibile? «A settembre ci eravamo esibiti all’Arena di Verona nel programma Arena Suzuki condotto da Amadeus. Vedere persone di tutte le generazioni che cantavano con noi Anima mia è stata una grandissima emozione. Abbiamo salutato Amadeus e lui ci ha detto: “Ci vediamo presto”. Già aveva un’idea, sicuramente. È stata sua l’intuizione di accoppiare il nostro storico gruppo con “La rappresentante di lista”, duo emergente che aveva partecipato alle ultime due edizioni e ha scritto un bellissimo brano. È molto orecchiabile, l’inciso “non lasciarmi solo, non lasciarmi qui” rimane. E ci hanno fatto i complimenti perché le parole si capivano, a differenza di altre canzoni».È stata una sorpresa anche per i vostri fan. «Magari i fan si aspettavano, oltre al solito look, il tormentone classico con il falsetto. Invece c’è stata questa novità della voce naturale, l’altra parte di me che il pubblico ha scoperto. È una linea apprezzata anche dai giovani».Avete conosciuto i due componenti de «La rappresentante di lista», Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina? «Durante le prove abbiamo avuto più contatti con Dario, poi nei giorni del Festival abbiamo conosciuto anche Veronica. Anche loro erano molto contenti».La Lettera 22 è la celebre macchina da scrivere della Olivetti… «Ma è anche la lettera mancante dell’alfabeto, che conta ventuno lettere. In tante situazioni della vita, come un’esperienza d’amore o un forte dolore, molte volte non si trova la parola giusta per affrontare un discorso».Le canzoni hanno la forza di esprimere i sentimenti con poche parole. «Infatti nel video della canzone, c’è una comunicazione mancata tra una coppia perché il cellulare non funziona, non c’è collegamento Internet. Allora il ragazzo torna alla classica lettera che si scriveva un tempo e gliela porta di persona, imbucandola sotto la porta. E la lettera contiene il testo della canzone».Cosa l’ha colpita del Festival? «L’atmosfera è molto diversa dalle solite esibizioni, prima di tutto per la presenza dell’orchestra con musicisti preparatissimi. Poi l’Ariston è un posto magico, cominci a pensare che lì è stata scritta la storia della canzone italiana, ti mette un’energia addosso che rimane impressa».Ha avuto paura di steccare? «Girava questa sensazione. Nella prima serata, in particolare, i cantanti sono tutti agitati. Nonostante la lunga esperienza sul palco, ho avuto inizialmente un po’ di tensione, aumenta l’adrenalina e viene anche un po’ di fiatone. Poi però, vedendo la reazione positiva del pubblico, passa».Dietro le quinte? «Il primo giorno ci dovevamo esibire dopo Blanco. Io ho visto sul monitor che c’era qualcosa che non andava, gli altri Cugini non se n’erano accorti, poi lui si è messo a spaccare tutti i fiori. Tiziano Leonardi, che è il più giovane e il più vivace del gruppo, ha fatto una battuta: “Allora scivoliamo!”, perché avevamo gli zatteroni ai piedi».Vi cambiavate nei camerini o in albergo? «In albergo e ci muovevamo per le vie di Sanremo a bordo di un pulmino anni Settanta, per non usare i soliti van moderni. Così ci riconoscevano tutti».A volte non vi sentite «strani» vestiti in quel modo? «Un po’, anche perché ormai ho cinquant’anni. Qualche fan dice: “Cambiate”. Però immaginare i Cugini in giacca e cravatta sarebbe impossibile. Sono convinto che, se una cosa è rara, conviene mantenerla. Rinnovarsi rimanendo, però, sempre sul tema».I Maneskin vi hanno riportato in auge anche dal punto di vista del look. «Hanno scopiazzato un po’ il nostro look, in particolare una tuta a stelle e strisce che portavo già venticinque anni fa, simile a quella del loro leader Damiano, e poi un vestito a cubi argento e nero, che indossa il chitarrista Thomas Raggi. Si è fatto un po’ di rumore e noi, sempre scherzando, in modo ironico, ci siamo rifatti con la cover di Zitti e buoni, durante il concerto di Capodanno».Vi piacciono? «Sì, sono in gamba, anche se non è il nostro genere. Molte volte eccedono un pochino, ma sono giovani, se lo possono permettere».Voi eccedete solo nel look. «Siamo più semplici, più contenuti. Certe cose ci sconvolgono un po’, come è successo anche a Sanremo, a dire la verità».Chi era Nick Luciani prima di entrare nei Cugini di campagna? «Io sono dei Castelli Romani. Mia madre è di Monte Compatri, mio padre di Rocca Priora, dove sono nato con i miei due fratelli. Da grande mi sono spostato ad Albano Laziale».Ha respirato sempre l’aria dei Castelli… «Anche le mie corde vocali. L’ossigeno ha dato una spinta in più per avere questa estensione. Io cantavo già a sei anni, soprattutto le canzoni di Claudio Villa che ai romani piacevano tanto. Ho partecipato allo Zecchino d’oro e mi sono esibito nei paesi limitrofi dei Castelli Romani. Poi ho formato un gruppetto a livello amatoriale, nel quale il chitarrista era molto patito dei Cugini di campagna e, per gioco, abbiamo eseguito qualche loro canzone».Com’è entrato nel gruppo? «Nel 1993 un amico che veniva in villeggiatura ai Castelli e faceva il portiere all’hotel Clodio di Roma ha lasciato un provino a Ivano Michetti e ha organizzato un incontro per farglielo ascoltare. Stava uscendo dal gruppo Marco Occhetti, che è morto un anno fa, e cercavano un altro cantante. Ho fatto le prime serate con loro ad aprile 1994».Com’è stato entrare in un gruppo già formato, con una forte identità? «Inizialmente Ivano mi avevo detto che lui voleva creare un nuovo gruppo di giovani da lanciare, sempre con quello stile. Poi, invece, se n’è uscito che sarei entrato a far parte dei Cugini di campagna. È stata una forte emozione e anche una grande responsabilità perché dovevo rispecchiarmi negli ex cantanti (Flavio Paulin, Paul Gordon Manners e Marco Occhetti, ndr) e non sapevo come avrebbe reagito il pubblico. Invece hanno apprezzato molto la mia voce e anche la mia immagine. Mi sono dovuto far crescere i capelli perché li avevo molto corti. Sono arrivato pronto a puntino per la trasmissione di Fazio e Baglioni, Anima mia, dove siamo riesplosi».È stata per voi una svolta. «Nel 1996, appena finita una tournée, siamo stato ospiti da Fazio a Quelli che il calcio, in una puntata in cui si giocava sull’assonanza tra le michette, i panini, e il cognome di Ivano e Silvano Michetti. Fabio ci ha parlato della possibilità di mettere in piedi un programma sugli anni Settanta, coinvolgendo Baglioni, e il progetto si è concretizzato. Ha avuto un successo strepitoso perché riscopriva l’anima di quel decennio, dai cartoni animati alla musica, passando per i personaggi famosi in quel periodo. Ha fatto riscoprire la moda dei vestiti e delle scarpe che portavamo noi. Una cosa impressionante».La collaborazione con i Cugini di campagna dopo vent’anni, nel 2014, si è interrotta. Si era rotto qualcosa? «Si è rotto qualcosina perché io non ero d’accordo con Ivano su certe cose, volevo cambiare, mentre lui qualche volta è un po’ cocciutello, è proprio di carattere così. Io volevo fare qualcosa di personale e ho lasciato il gruppo per qualche anno. La storia che me la passassi male è stata un po’ pompata, lavoravo molto anche da solo, però rimanevo il cantante dei Cugini di campagna, non riuscivo mai a scrollarmi di dosso quell’immagine. Ci siamo risentiti, soprattutto quando Ivano ha avuto un ictus, ci siamo chiariti e, quando lui mi ha fatto la proposta di rientrare, ho accettato, anche perché mi sono ripreso quello che avevo seminato. Penso di aver dato parecchio a questo gruppo».Ivano l’ha definita «il figliol prodigo». «La mia mancanza l’aveva sentita molto anche a lui. Adesso è molto euforico perché viene da questa esperienza difficile e ha recuperato benissimo, è stato un miracolo. Ha capito che deve farsi aiutare dagli altri e dare più spazio, cosa che prima non faceva. Anche la collaborazione con “La rappresentante di lista” nasce in questa prospettiva. L’unione fa la forza: ognuno fa il suo e alla fine i risultati arrivano».Quali progetti avete dopo Sanremo? «Abbiamo già fissati cinquanta concerti in Italia e a dicembre andremo in Australia. Ci sono anche altre offerte da valutare. L’importante è stare calmi».Un sogno per il futuro? «Il mio sogno già ce l’ho avuto: è questo. Mi godo tutto quello che c’è, senza pretese».